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di AMDuemila - Video
Stamani i Carabinieri della Compagnia di Siracusa, su richiesta della Dda di Catania, hanno eseguito ventiquattro arresti di cui 19 in carcere e 5 ai domiciliari (ma due sono ancora ricercati), a Siracusa, Floridia e Solarino. Le accuse sono, a vario titolo, associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico e spaccio di cocaina, marijuana e hashish, associazione per delinquere finalizzata all'usura, tentata estorsione ed esercizio abusivo di attività finanziaria, tutte aggravate dal metodo mafioso e dall'agevolazione del clan Aparo.
In manette sono finiti vecchi boss, nuove leve e anche le donne - come la mamma e la compagna di uno dei vertici - pronte a sostituire i capi quando erano in carcere. Numerose le perquisizioni con cani antidroga e di ricerca armi ed esplosivi. Le indagini, avviate a settembre 2017 e durate circa un anno, hanno consentito di smantellare il gruppo mafioso riconducibile alla sfera di influenza del clan Aparo storicamente dominante nei comuni dell'hinterland siracusano, come Floridia e Solarino, quest'ultimo denominato "San Paolo": da qui il nome dell'indagine. Il clan aveva al suo vertice Massimo Calafiore, investito della reggenza 'pro tempore' direttamente dallo storico boss Antonio Aparo, mediante l'invio di lettere spedite mentre si trovava nel carcere di Milano, una volta terminato il regime del 41 bis. Accanto a Massimo Calafiore, in qualità di luogotenente, era stato collocato Giuseppe Calafiore. Gestori dell'usura e del traffico di stupefacenti erano Salvatore Giangravè e Angelo Vassallo, da poco scarcerati dopo un lungo periodo di detenzione. Inizialmente ostili alla reggenza dei Calafiore, i due erano stati successivamente convinti da ulteriori missive trasmesse dal carcere da parte dello stesso Antonio Aparo.
Mario Liotta (deceduto di recente) e il figlio Francesco erano invece il braccio armato del sodalizio, utilizzato per mantenere il regime di controllo e omertà. Entrambi mettevano in atto atti violenti di intimidazione ai commercianti e ad altri privati. Il clan aveva dato vita a un vero e proprio dominio sui centri di Floridia e Solarino. In particolare, l'indagine è partita da alcuni incendi verificatisi a Floridia a esercizi commerciali. I due Calafiore, utilizzando denaro del gruppo criminale, avevano concesso prestiti a tassi usurari a cittadini bisognosi, compresi commercianti in difficoltà, applicando tassi di interesse del 20% mensile, del 240% annuo. A Giuseppe Calafiore spettava la tenuta della contabilità mediante appunti che materialmente erano custoditi dalla madre, Antonia Valenti, destinataria anche lei di misura cautelare. Negli appunti, oltre che sulle pagine dei calendari della casa della donna, erano annotati nominativi, ammontare delle rate, date in cui i pagamenti dovevano essere effettuati, oltre che la contabilità dei prestiti che Giuseppe Calafiore aveva erogato a titolo personale, fuori dall'influenza del clan. Le vittime di usura accreditavano ai loro strozzini le rate pattuite mediante bonifici bancari o trasferimenti monetari su Postepay, oltre che con il classico metodo del trattenimento di assegni dati in garanzia per l'ammontare del prestito. In caso di inadempimento, i Calafiore si impossessavano di auto, beni immobili ed esercizi commerciali delle vittime, gettandole letteralmente sul lastrico. In questo senso intervenivano in loro sostegno le donne del clan: la madre, col compito di custodire la contabilità e il denaro, e la compagna, Clarissa Burgio, inizialmente vittima di usura da parte dei Calafiore, poi divenuta compagna di Giuseppe e quindi diventata il suo naturale sostituto, quando era stato tratto in arresto per detenzione di sostanza stupefacente ai fini di spaccio e tenuto in carcere per un breve periodo.

L'usura e il traffico di droga
Dalle indagini è emerso che il giro dell'usura era vastissimo e in molti casi è venuta meno la collaborazione delle vittime. Florida era anche il centro del traffico e spaccio di droga. Il clan, per incrementare ulteriormente gli introiti, aveva deciso di utilizzare parte dei proventi derivanti dall'usura per l'acquisto di grosse quantità di stupefacenti, principalmente cocaina, hashish e marijuana, fornite dai catanesi Salvatore Mazzaglia e Victor Andrea Mangano, legati al clan etneo dei Santapaola-Ercolano, gruppo di Nicolosi-Mascalucia. La droga veniva poi rivenduta a numerosi acquirenti di Floridia alimentando lo spaccio al dettaglio in quel centro. Dall'associazione dei Calafiore si rifornivano anche spacciatori indipendenti come Andrea Occhiopinti, Paolo Nastasi, Antonio Amato (detto 'Cappellino') e Massimo Privitera, attivi tutti a Floridia. Sempre seguendo il canale dello stupefacente che da Catania giungeva a Floridia attraverso i Calafiore, è emersa, inoltre, l'esistenza di una vera e propria piazza di spaccio sita in via Fava, alimentata dallo stupefacente acquistato e rivenduto dai due e i cui promotori ed organizzatori venivano individuati in Maurizio Assenza e suo figlio Sebastiano Carmelo, che insieme a Joseph Valenti, Antonio Privitera, Angelo Aglieco e Jacopo De Simone, avevano dato vita ad una vera e propria organizzazione specializzata nello spaccio di cocaina, hashish e marijuana. Nel corso dell'indagine sono stati sequestrati complessivamente 300 grammi di cocaina. L'introito stimato del giro di droga scoperto grazie a questa indagine si aggirava intorno ai 350 mila euro in soli quattro mesi. Oltre all'usura e agli stupefacenti, il sodalizio si dedicava anche ai danneggiamenti mediante incendi, utilizzati per far sentire la forza di intimidazione del clan sul territorio, per punire coloro che non erano puntuali nei pagamenti o che avevano interrotto i rapporti con il clan, a volte, anche semplicemente per dare fastidio alle forze dell'ordine quando queste segnalavano qualcuno degli affiliati per violazione degli obblighi cui erano sottoposti.
Registrati infine almeno quindici atti incendiari attribuibili all'associazione, sia ai danni di auto, sia di esercizi commerciali, quasi tutti riconducibili al braccio esecutivo dell'associazione, identificata nei due Liotta. Emblematiche talune motivazioni scatenanti di attentati incendiari: l'incendio dell'autovettura dei proprietari di un bar di Solarino, accusati di non aver praticato uno sconto su una torta acquistata dal boss Massimo Calafiore per il compleanno del figlio, facendogli pagare anche un lecca-lecca per la figlia che lo accompagnava. Altro episodio l'incendio di un intero pub di Floridia dopo che Giuseppe Calafiore aveva giudicato troppo caro un tagliere di formaggi e non aveva potuto ricevere le ostriche e champagne, da lui richieste, ma non disponibili. Nel corso dell'indagine è emersa anche la figura di Domenico Russo, dapprima parte offesa in quanto vittima dell'usura dei Calafiore e, successivamente, mandante di una tentata estorsione nei confronti di un netino che lo aveva truffato grazie all'intermediazione mafiosa di Massimo Calafiore e di Giuseppe Crispino, esponente del clan Trigila di Noto.

Fonte: AGI

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