di Rino Giacalone
Capaci: audizione oggi in Commissione nazionale antimafia dell’ex comandante della stazione, Paolo Conigliaro. “Impedito lo scioglimento antimafia del Comune”
Una lunga audizione per la gran parte secretata. Ma quello che si è potuto ascoltare di quanto accadeva nell’aula di Palazzo San Macuto dove si riunisce la Commissione nazionale antimafia basta già per poter parlare di un “caso Capaci” e di un “cortocircuito” dentro l’Arma dei Carabinieri.
Dirompenti le rivelazioni dell’ex comandante della stazione dei Carabinieri di Capaci, luogotenente Paolo Conigliaro. Ha parlato di tre capitoli investigativi a fronte dei quali è scattata una opera di delegittimazione del suo operato, rimosso dall’incarico, finito sotto indagine da parte delle Procure di Palermo e di quella militare di Napoli, impedito a poter tornare a comandare una stazione dei Carabinieri.
Nella introduzione – non secretata – il luogotenente Paolo Conigliaro ha fatto riferimento a sue indagini cominciate nel novembre 2014 che mettevano in evidenza rapporti stretti tra politici di Capaci, facenti parte della maggioranza che allora sosteneva il sindaco Napoli, e soggetti conclamati mafiosi, giudicati tali da condanne definitive. Gli interessi maggiori della criminalità mafiosa riguardavano i lavori di movimento terra, sotto il monopolio di Cosa nostra, l’esistenza di una confraternita religiosa alla quale appartenevano anche mafiosi, una sorta di camera di compensazione, luogo di incontri riservati tra mafia, politica e colletti bianchi, processioni religiose che si fermavano ad omaggiare la casa del capomafia, e poi ancora indagini su mala amministrazione, concessioni edilizie in cambio di voti.
Tutti atti finiti raccontati in una voluminosa proposta di scioglimento per inquinamento mafioso del Comune di Capaci, inoltrata, secondo regola, alla prefettura di Palermo, per via gerarchica, proposta di scioglimento che si fermò però sul tavolo dei due comandanti provinciali dei Carabinieri che in quel periodo si alternarono alla guida dell’Arma nel capoluogo siciliano. Proposta di scioglimento mai giunta sul tavolo dell’allora prefetto Antonella De Miro.
Nel corso della sua audizione il sottufficiale ha ricostruito l’intero quinquennio nella cittadina palermitana, parlando di “un sistema politico-affaristico- mafioso- che di fatto ha raggiunto i sui scopi; tra questi sia il trasferimento e demansionamento del sottoscritto e la conseguente sua delegittimazione e sia l’interruzione di quella attivita’ info investigativa gia’ avviata dal sottoscritto a riguardo il delicato contesto di Capaci”.
Fascicolo che a fine audizione il presidente della Commissione nazionale antimafia Nicola Morra ha anticipato che avvierà la procedura per la relativa acquisizione.
Ma tra i temi affrontati dal luogotenente Paolo Conigliaro ce ne è stato uno che ha riguardato la costruzione di un centro commerciale nella dismessa area industriale “Vanini”. La costruzione di questo centro commerciale, oggetto anche delle sue indagini, pare si inserisca nell’ambito degli affari cari al clan imprenditoriale vicino all’allora presidente di Sicindustria Antonello Montante. Con tutta una serie di collegamenti tra imprenditori e sembra anche con esponenti dell’Arma dei Carabinieri. Ma questa parte è finita secretata.
C’è di certo, perchè di questa vicenda come Alqamah ce ne siamo occupati, che l’indagine del luogotenente Conigliaro su questo affare è finita archiviata in un baleno dalla Procura di Palermo con una motivazione risibile, del tipo, volevano commettere un omicidio, non lo hanno fatto, e quindi archiviamo.
Nella sua introduzione ha anche parlato delle interferenze subite dall’interno dell’Arma, le stesse, ha detto, “che hanno portato al mio ridimensionamento degli incarichi”. Ha fatto riferimento ad una indagine, per diffamazione che lo ha riguardato, un troncone archiviato dalla Procura di Palermo, un altro ancora in corso a Napoli dinanzi alla Procura militare, e che per via di questa indagine la catena gerarchica gli ha negato la possibilità di assumere comando di stazione, “tutto questo mentre ufficiali dell’Arma indagati per depistaggio in questo nostro Paese restano comandanti provinciali, gli ufficiali coinvolti nel caso Cucchi restano ai posti di comando”. Grave disparità di trattamento.
Certamente per una presunta diffamazione è difficile credere che questo sia stato possibile e continua ad esserlo. Conigliaro infatti rispondendo alla domanda di un commissario ha raccontato che il nuovo comandante provinciale di Palermo, generale Guarino, lo convocò pronto a rivedere la sua esclusione dall’assegnazione di un comando: “Mi confortò e rimasi sorpreso, mi disse che aveva letto le mie carte e le definì aride, mi propose di assumere il comando della stazione di Belmonte Mezzagno. Ma qualche giorno dopo mi disse che anche lui era stato stoppato dal comando generale”.
Durante l’audizione il luogotenente ha riferito anche di alcuni fatti – riversati in apposite relazioni di servizio – che riguardavano presunte commistioni con alcuni carabinieri in servizio nella sua stessa caserma e altri eletti nel consiglio comunale di Capaci. “La quasi totalita’ di questi fatti non risultano neanche iscritti nei registri delle notizie di reato per l’esperimento delle indagini, ma bensì valutati come fatti non costituenti reato – ha continuato Conigliaro – sebbene siano stati forniti tutti gli elementi e documenti che circostanziano i gravi fatti verificatisi e sollecitato formalmente il pubblico ministero della procura ordinaria di Palermo a svolgere le indagini, sollecitazione a cui ovviamente non ha risposto”.
Il luogotenente Conigliaro – in servizio a Capaci dall’1 ottobre 2013 al 23 settembre 2018 – venne prima demansionato e poi, su sua richiesta, arruolato alla Dia (Direzione investigativa Antimafia) di Palermo.
A questo link è possibile ascoltare l’audizione del luogotenente Paolo Conigliaro. Parte del video è oscurato nei punti in cui il presidente Morra, su richiesta dell’audito, ha disposto la secretazione.
Caso Capaci, all’antimafia luogotenente dei Carabinieri
Dire cosa sia successo, parlando al passato, è sbagliato. Bisogna dire cosa sta ancora succedendo, cosa c’è dietro l’alt che sarebbe stato imposto a indagini che tra il 2013 e il 2018 venivano condotte dall’allora comandante della stazione dei Carabinieri di Capaci, luogotenente Paolo Conigliaro.
E cosa ci sia dietro al fatto che un comandante giudicato eccellente nel servizio oggi non siede più al comando di una stazione dell’Arma. Una pagina ancora non del tutto emersa e che però oggi con l’audizione in commissione antimafia nazionale del luogotenente Conigliaro potrebbe finalmente venire alla luce. Una pagina che rischia di essere compromettente per ufficiali dei carabinieri ma anche per magistrati della stessa Procura di Palermo, che sebbene a conoscenza delle rilevanti conclusioni alle quali era giunto Conigliaro hanno archiviato con troppa fretta e furia la stessa inchiesta.
Una indagine nata attorno a precisi interessi poco puliti che ruotavano attorno all’amministrazione comunale all’epoca guidata dal sindaco Napoli, con sottufficiali dei carabinieri, qualcuno anche consigliere comunale, si prestavano a cercare di spiare il lavoro del collega. Preoccupati forse che potessero venire fuori anche rapporti compromettenti con esponenti della criminalità mafiosa del palermitano. Già altre volte come Alqamah ci siano interessati a questa storiaccia, ma trovando difficoltà ad avere approfondimenti.
Uno dei capitoli dell’indagine riguardava la modifica della destinazione d’uso di un dismesso complesso industriale – cosiddetta area Vanini – per far lì realizzare un centro commerciale. Il nome emerso fu quello della imprenditrice Angela Pisciotta, ingegnere, che dal padre Calogero ereditò l’omonima impresa. La Pisciotta, esponente di rilievo del sindacato dei costruttori edili di Sicindustria a Palermo, e il cui nome è comparso tra gli indagati di una indagine della Procura di Catania a proposito del rilascio di Durc falsi, con la sua impresa doveva realizzare quel centro commerciale, il cui iter dopo una serie di ostacoli burocratici, miracolosamente venne sbloccato e questo durante la successiva nuova elezione a sindaco di Capaci del dem Pietro Puccio.
Ad oggi però la costruzione del centro commerciale, sebbene pare provvisto di quelle autorizzazioni che sembra non potevano essere del tutto concesse, non è stata avviata. Questo probabilmente perchè nel frattempo le indagini della Procura di Caltanissetta sul “clan” imprenditoriale dell’ex presidente di Sicindustria, Antonello Montante, se non hanno portato direttamente a Capaci, vedrebbero coinvolti soggetti che si ponevano tra la Pisciotta e Montante. Uno dei nomi ricorrenti quello dell’imprenditore Massimo Romano. Ma non è il solo nome che si fa.
E’ certo che è per questa indagine, finita in archivio a Palermo, sono cominciati i guai per il luogotenente Conigliaro, estromesso dal comando della stazione dei Carabinieri di Capaci. Sembra questo un racconto molto similare a quello che la penna di Sciascia ci fece conoscere tanti anni addietro, “Il giorno della civetta”, ancora più conosciuto per essere stato la trama del film firmato da Damiano Damiani. In quella storia, non del tutto di fantasia, un capitano dei Carabinieri, Bellodi, subì il trasferimento per avere sfidato il potere mafioso di don Mariano Arena.
Durante un convegno a Valderice, dedicato a ricordare tre vittime di mafia, un generale dei carabinieri venne a dire che “in Sicilia casi Bellodi non ce ne sono più stati”. Forse l’ultimo, in ordine di tempo, stava accadendo proprio sotto ai suoi occhi.
Tratto da: liberainformazione.org