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di Aaron Pettinari
La denuncia presentata dal Procuratore capo di Caltanissetta Amedeo Bertone

"La richiesta di archiviazione è fondata e va accolta. Il reato ipotizzato (delitto di oltraggio a magistrato in udienza, ndr) non può ritenersi configurabile". Con queste parole il gip di Catania, Stefano Montoneri, ha archiviato la querela avanzata dal procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone (e dal figlio Vittorio, anche se per questa parte della querela gli atti sono stati trasmessi a Palermo, ndr) nei confronti dell’avvocato Fabio Repici, difensore del fratello del magistrato ucciso in via d’Amelio, accusato di avere utilizzato nel corso della sua arringa al processo Borsellino quater, il 13 gennaio 2017, espressioni ingiuriose nei confronti del magistrato e dell’ufficio di procura.
Nell'ordinanza si evidenza come le frasi "segnalate come oltraggiose" non vadano decontestualizzate dal contesto in cui erano inserite.
Secondo il giudice, infatti, la dialettica usata nella discussione, seppur con espressioni metaforiche, iperboli, metonimie o espressioni traslate, "rientra nell'ordinaria retorica forense, estrinsecandosi in artifici lessicali per richiamare l'attenzione dell'uditorio o rimarcare la valenza dei concetti espressi".
Non solo. "Dal verbale dell'udienza si evince come Repici più volte sollevi critiche nei confronti della pubblica accusa sia per le conclusioni cui giunge sia per il modo di gestione delle indagini. Tuttavia, tali critiche sono intrinsecamente prive di contenuto offensivo in quanto si traducono nell'estrinsecazione della facoltà intellettiva dell'esaminare e del giudicare. Le parole dell'indagato non sono mai trasmodate nell'insito o nell'offesa personale: non vi è mai in tutta la discussione un riferimento diretto, personale o fuori contesto".

Via d'Amelio strage di Stato
Nell'ordinanza il giudice approfondisce anche alcuni passaggi rispetto all'affermazione di Repici, durante l'arringa, in cui dichiarava: "Sarebbe davvero immorale, ha detto il mio assistito (Salvatore Borsellino, ndr) e io condivido in toto e sottoscrivo, chiedere la condanna di Vincenzo Scarantino". Il giudice riconosce l'asprezza delle critiche, ma al tempo stesso spiega che "il rischio di paventate incriminazioni arrecherebbe un vulnus al diritto di difesa, garantito a livello costituzionale".
repici fabio 610 c our voiceQuindi, riprendendo anche alcuni passaggi della sentenza del Borsellino quater, spiega come "la rilevanza della tesi sostenuta dall'avv. Repici, non risiede tanto nell'insussistenza della calunnia, quanto piuttosto nel suo presupposto".
Dopo avere premesso che "il processo Borsellino quater si innesta in un travagliato iter processuale ancora lontano dalla definitiva conclusione e riguarda una delle pagine più buie della storia del nostro Paese”, il gip aggiunge: “Rimane oscuro in modo inquietante perché uomini delle istituzioni abbiano consapevolmente e scientemente indotto una persona estranea ai fatti (Scarantino, ndr) ad accusare innocenti e ad autoaccusarsi. È questo il problema angosciante dei motivi e dei mandanti del depistaggio che, a sua volta, coinvolge altri aspetti rimasti oscuri della strage di via d’Amelio".
E poi ancora: “Quando si affronta il depistaggio delle indagini su via d’Amelio le parole pesano come macigni, in questa sede va solo fatto cenno alla distinzione semantica che corre tra dire che via d’Amelio è una strage di Stato e dire che è stata commessa da ‘uomini deviati delle istituzioni’. In realtà non vi è alcuna differenza. Gli Stati, secondo gli studi della migliore antropologia sociale, non esistono come entità autonome, rappresentando piuttosto funzioni sociali. Le istituzioni non possono che operare attraverso gli uomini".
Ma nell'ordinanza si legge anche che le critiche mosse dal legale di Salvatore Borsellino non sono affatto "gratuite", tenuto conto che le critiche sono rivolte anche in maniera generica. Il giudice evidenzia come nel depistaggio sono coinvolti (come artefici e come vittime) coloro che quelle indagini hanno svolto, sottolineando un’altra importante distinzione lessicale, questa volta esistente: “Basti menzionare - scrive il gip - quanto osservato circa l’iniziativa definita in sentenza come ‘decisamente irrituale’ (ma in realtà da qualificarsi, più correttamente in lingua italiana, come illecita in quanto contraria a norme di legge) del procuratore Tinebra che già nella serata del 20 luglio 1992 chiese a (Contrada) di collaborare alle indagini sulle stragi sebbene egli non rivestisse la qualità di ufficiale di polizia giudiziaria e nonostante la normativa vigente precludesse al personale dei servizi di informazione e sicurezza di intrattenere rapporti diretti con la magistratura”.
Ma il reato contestato a Repici è insussistente anche per un altro motivo: l'assenza dei pm al momento in cui il legale ha iniziato la propria arringa. Un dato di fatto incontrovertibile che fa decadere, sul piano giuridico-fattuale, la configurabilità della fattispecie di reato contestata.

In foto: Fabio Repici, al centro in piedi, durante l'udienza e Salvatore Borsellino, in piedi alla sua sinistra

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