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di Luciano Armeli Iapichino
Nella vita dei familiari delle vittime di mafia, nella storia delle mattanze (troppe) dei servitori dello Stato, ma, in genere, nella esistenza di chi perde all’improvviso qualcuno assai caro, c’è sempre un prima e un dopo, una profonda faglia che si apre nella routine quotidiana che costringe figli, mogli, madri, fratelli a modificare per volontà di terzi la normalità dello scorrere del tempo; una linea oltre la quale non sarà più possibile tornare indietro, il passato acquisterà un valore diverso e in cui il fluire delle stagioni non sarà più coadiuvato dalla normalità pari grado alla visione delle umane cose.
È successo alla famiglia di Boris Giuliano, trucidato nella rovente estate palermitano del ’79 da un codardo alle spalle.
È successo a Selima Giuliano, figlia del funzionario di Polizia che, in occasione della consegna del prestigioso riconoscimento dedicato a Francesca Serio (a Galati Mamertino nel messinese lo scorso 23 novembre, organizzato dal Circolo Socialista Indipendente Nebroideo “Italo Carcione”) una delle prime madre-coraggio che nella terra dell’omertà e dell’invalidante indifferenza, aveva puntato il dito contro la mafia di Sciara che le aveva trucidato il figlio Turiddu Carnevale - correvano gli anni ’50 - ha riportato indietro le lancette di quarant’anni:
Volevo anzitutto dire che Boris Giuliano, che è stato descritto da molti come un poliziotto con doti eccezionali, è stato un padre eccezionale e lo dico da genitore, non da figlia. Perché per me non è assolutamente facile tornare a casa e “chiudere” veramente la porta … Lui tornava, si metteva a parlare con noi, giocava, cantava, suonava anche dopo quella telefonata dei primi di luglio (del 1979 ndr) in cui una voce ha avvisato: “Giuliano morirà!”. Questo l’esordio agghiacciante di Selima.
Una famiglia normale, con un padre che lavorava, una madre che non lavorava e che stava con noi in una Palermo molto particolare; una Palermo blindata … erano gli anni della strage di Ciaculli … già da qualche anno, motivo per cui mio padre da Milano decide di andare a vivere a Palermo in una città che non era la nostra … noi siamo palermitani: mio padre era messinese e anche mia madre. Qualche giorno dopo questa telefonata lui ci porta in un paesino sull’Etna dove noi avevamo una casa … e quella è l’ultima volta che noi vediamo nostro padre.

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Ed ecco il “dopo” fare il suo ingresso a sconvolgere quel “prima” che non tornerà mai più.
Selima continua: veniamo svegliati dalla radio, il 21 luglio 1979 … io avevo sette anni, mio fratello ne aveva dodici e mia sorella ne aveva nove. Dalla radio sentiamo che è stato ucciso il capo della squadra mobile. Mia madre manda mio fratello piccolissimo in piazza, in questo paesino Piedimonte Etneo dicendo: “telefona ai colleghi di papà per vedere se è vero…”; dodici anni… Selima, a questo punto, fa fatica a trattenere l’emozione da madre … Oggi a quell’età i bambini vivono in un altro mondo, in un altro contesto … lui è uscito, è andato in piazza, è andato a telefonare e hanno confermato che nostro padre era stato ucciso. Una macchina della polizia ci è venuta a prendere, abbiamo fatto una corsa verso Palermo e da lì quei sette colpi di pistola hanno cambiato la nostra vita.
E qui c’è il dopo, quarant’anni … Immaginate, chiede Selima all’uditorio, quante cose sono cambiate in quarant’anno nella vita di tre figli … La figlia di Boris è un fiume in piena: La Palermo di quegli anni è una Palermo che si gira dall’altro lato … noi avevamo una vita diversa, avevamo subìto … vedevamo le cose in maniera diversa: veniva ucciso Pio La Torre, veniva ucciso Terranova, veniva ucciso Chinnici … venivano uccisi tanti, troppi civili dimenticati soltanto per avere detto no alla mafia … Siamo cresciuti e il dolore ha lasciato spazio all’orgoglio di seguire un ideale … mio padre, come altri, è stato lasciato solo … sapevano di morire ma hanno seguito quello in cui loro credevano. Hanno avuto soltanto un senso del dovere … sono diventati eroi loro malgrado… hanno fatto semplicemente cose normali che per un poliziotto è perseguire i mafiosi … in questa terra paradossalmente è diventato eroe chi ha fatto il proprio dovere ed è questo che Selima Giuliano dice nelle scuole affinché anche uno solo dei ragazzi che incontra possa, dal suo racconto e per il suo racconto, dare una svolta alla sua vita. giuliano salima premio francesca serioNon è pensabile che il sacrificio di queste persone, che amavano la Sicilia, non sia valso a nulla: questo il messaggio di Selima che come tanti altri è rimasta in questa terra che non può diventare, oltre ogni slogan politico, bellissima.
Prima e dopo. Prima e dopo nella vita di Francesca Serio, Angela Manca, Sonia Alfano, Margherita Asta, Augusta Schiera Agostino, Fiammetta Borsellino, Selima Giuliano e tante altre donne che con le loro famiglie hanno, in nome di quel “prima” che non potrà mai essere vissuto hanno iniziato un “dopo” di battaglie anche paradossali: depistaggi, verità e giustizia che sono tardate e che tardano ad arrivare, isolamenti … Perché nella nostra isola assolata da un Sole unico, serpeggia nelle viscere di qualche coscienza insospettabile, “sporca”, al servizio della criminalità e a vario livello, anche il paradosso altrettanto unico di impantanare nelle zavorre dell’ingiustizia e dell’isolamento, nelle paludi dell’indifferenza e della collusione istituzionale, nei pantani dell’ipocrisia e dei mascariamenti anche coloro cui già la mafia ha troncato il passato, destabilizzato il presente, annebbiato il futuro. È come se nei calvari dei familiari delle vittime di mafia il misfatto subìto è solo l’inizio, il primo passo: il depistaggio nel percorso della verità è il successivo ostacolo e poi il resto, laddove per il resto è da intendersi i muri invalicabili di accidia e disinteresse che blindano un’insensata ragion di Stato che funge da preludio a lunghe, lunghissime attese.
Se la nostra terra, ed è abbastanza evidente, sul piano della cultura della legalità non è ancora diventata bellissima, bellissima è comunque la presa di coscienza di quel piccolo, grande esercito dei siciliani che hanno già le idee chiare e a cui, la memoria, non fa più brutti scherzi. Con buona pace di mascariatori, dossieratori, avvelenatori della verità.

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