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di Marta Capaccioni
Presentato il libro “Economia drogata” dell’ambasciatore Giorgio Malfatti di Montetretto alla Università degli Studi di Roma “Link Campus University”

“La guerra alla mafia è un intervento a difesa delle istituzioni di un Paese e della sua legalità, una guerra che va affrontata a 360°”, queste sono state le prime parole di Vincenzo Scotti, presidente dell’Università degli Studi “Link Campus University” e organizzatore dell’evento, nel discorso di presentazione al tema dell’incontro.
Il presidente ha continuato l’introduzione affermando che “l’obiettivo della mafia non è distruggere lo Stato, ma piegarlo e indebolirlo” per poter portare avanti in maniera indisturbata i propri traffici. Traffici che oggi non si limitano più al territorio italiano, ma che hanno assorbito in modo progressivo il carattere della globalità, diventando così un fenomeno di livello transnazionale. E quindi, quale deve essere il lavoro delle istituzioni italiane da un punto di vista giuridico e diplomatico, in connessione con gli altri Stati (in particolare con l’Europa e con i paesi dell’America Latina), nella guerra al narcotraffico e ad una mafia così integrata al suo interno e in ambito internazionale? Questo è stato il cuore del convegno, intorno al quale si sono susseguite le domande del moderatore e caporedattore di ANTIMAFIADuemila Aaron Pettinari.
“Non si può fare la guerra alla mafia da soli, ma bisogna avere la pazienza di costruire a livello internazionale una convergenza di decisioni di paesi diversi, perché è una catena e una serie di anelli che vanno affrontati in modo ordinato”, sostiene il presidente Scotti che, con dedizione ed entusiasmo, ha presentato l’avvio di un nuovo centro di analisi e di studi delle reti transnazionali in collaborazione con varie università estere. Un’iniziativa nata con lo scopo di studiare le conseguenze politiche, economiche e sociali del fenomeno negli stati, nella convinzione che il “lavoro di squadra” è fondamentale nella lotta alla mafia. Molti effetti del fenomeno organizzativo transnazionale sono stati analizzati dall’ambasciatore Giorgio Malfatti di Montetretto nel suo libro “Economia drogata” e sono stati frutto di riflessione durante tutto l’incontro. In effetti il libro offre un quadro dettagliato del contesto di criminalità organizzata in cui vive ogni stato dell’America Latina e fa capire come il fenomeno del narcotraffico italiano ed europeo sia intrinsecamente collegato a livello globale anche con paesi che si trovano oltre oceano. L’ambasciatore, dopo aver ringraziato i presenti, ha preferito lasciare la parola ai relatori seduti al suo fianco.
“Seguite il denaro” diceva il giudice Giovanni Falcone. È una realtà, soprattutto quella economica, che ci riguarda tutti. Infatti, muovendo da un dato statistico, in Italia gli 80 miliardi di euro all’anno che derivano dal narcotraffico vengono successivamente reinvestiti nel capitale dell’economia lecita ed illecita, sia nel nostro paese che in Europa. E non si può non fare riferimento, come ha affermato il moderatore Aaron Pettinari, ad un dato scioccante, ossia al fatto che a partire dal 2014 la stessa Europa ha chiesto all’Italia di inserire nel calcolo del proprio PIL il narcotraffico. Quest’ultimo fenomeno interviene sul piano economico e tributario nella nostra economia sia a livello nazionale, che internazionale. Ma in che modo?
Il prof. Piegiorgio Valente, straordinario di diritto tributario, ha illustrato come i “paradisi fiscali”, nel modo in cui venivano intesi tradizionalmente dall’opinione pubblica, non esistono più: sono Stati a fiscalità avanzata che legalizzano operazioni provenienti da altri paesi. L’aspetto più delicato è dato dall’evoluzione delle tecnologie, da nuovi mezzi come il dark web, dove “le operazioni sono effettuate da soggetti privi di identità” e questo rende ancora più problematico fare luce su quella “parte opaca” del ciclo illecito, che riguarda la fase del lavaggio e del riutilizzo di denaro. Il prof. Valente ha chiarito come ci sia la “necessità di una presa d’atto sovranazionale e multilaterale” e infine “dell’individuazione del beneficiario attivo in ogni fase del processo di riciclaggio”.
È stato poi il turno di Giuseppe Cucchiara, direttore Generale per i Servizi Antidroga che, partendo dal quadro complessivo illustrato nel libro “Economia drogata”, ha individuato quattro paesi che secondo il suo parere definiscono il “network del mondo del narcotraffico”: Colombia, Bolivia, Perù e Messico. E ha chiarito come il rapporto con questi stati non sia sempre facile, anche a causa di difficoltà di carattere culturale. In Bolivia nonostante “la grande cooperazione internazionale, il contrasto al narcotraffico non è nelle loro corde”, con altri paesi invece, come il Perù e la Colombia “il rapporto è molto più fluido” e in Messico infine “le relazioni istituzionali sono straordinarie ma il dato obiettivo è che lo Stato non ce la fa”, perché è uno Stato già piegato dalla forza militare dei narcos.

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Infatti, una caratteristica delle organizzazioni criminali sudamericane, come spiegato da Giovanni Tartaglia Polcini, magistrato e consigliere giuridico del MEACI (Ministero degli Affari esteri), è proprio quella della violenza. Una violenza che si estrinseca in una statistica di omicidi legati alla criminalità organizzata in costante crescita e che supera quella di tutti gli altri paesi: “questi sono scenari di guerra stranamente dimenticati, lontani, non ne veniamo a conoscenza se non con approfondimenti come questi. Il fiume di droga che investe l’Europa e che falcidia le nuove generazioni nel nostro continente proviene da lì, non possiamo immaginare che quella guerra, frutto di violenza, non ci appartenga. È di straordinario interesse nazionale anche per il profilo che hanno le nostre istituzioni”. Il magistrato Tartaglia ha parlato, infine, della “necessità di un’armonizzazione normativa tra gli stati e di assistenza tecnica in materia di giustizia e sicurezza”, ciò che il Programma El Pact sta cercando di fare, trasmettendo ai paesi sudamericani l’esperienza italiana nel contrasto al crimine organizzato.
Il nostro modo di contrasto alla criminalità organizzata, come ha affermato Federico Cafiero de Raho, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, fa scuola nel mondo. E questo è indubbio: le ragioni sono storiche, sociali e anche umane. “Sono passi in avanti che l’Italia ha fatto, non perché ci sono scesi dall’alto, ma perché l’Italia ha sofferto, ha sacrificato i propri uomini, magistrati, carabinieri, appartenenti alla polizia, imprenditori, uomini politici. Ha sacrificato tantissimi esponenti particolarmente attivi nel contrasto alla mafia con il sogno di migliorare la nostra società”.
Ma non ci si può fermare a queste considerazioni, perché davanti alla globalità del fenomeno e alla professionalità degli operatori, come dichiara il Procuratore: “l’ambito del circuito economico è uno di quei campi in cui bisognerebbe intervenire con maggiore capacità”. È necessario, continua il magistrato de Raho, affermare con forza i principi della economia legale per salvare l’Italia e le nostre famiglie “dall’erosione costante e quotidiana che il contrasto sta avendo nella legalità”.
“Le scuole e le università hanno un compito fondamentale, di insegnare ai ragazzi, di informarli e di far conoscere il traffico di stupefacenti e gli effetti del consumo. Aiutarli a comprendere e creare in loro coscienza sociale ed etica, che consenta di guardare al consumo degli stupefacenti come qualcosa che snatura la stessa natura e che offende la dignità di ognuno di noi. Se tutti i cittadini potranno partecipare a questo grande progetto di legalità le mafie almeno in Italia verranno battute”
, dichiara in ultimo il Procuratore nazionale.
In conclusione, davanti ad un fenomeno ormai così esteso e radicato a livello sociale, quali sono le soluzioni? “Se tutti insieme creiamo una coscienza convinta della necessità di una guerra a 360°” - ha tirato le fila del discorso il presidente Scotti - “e riusciamo a partire dalle scuole fino al nostro lavoro, questo sarà un dato per la vita della nostra democrazia. Perché questo era quello che si voleva, perché in fondo capissimo che la guerra alla criminalità mafiosa è la guerra per la difesa delle nostre libertà, della nostra legalità e della nostra democrazia. Se un paese ha queste ultime cose allora è forte, se non ce l’ha abbiamo visto che cosa succede: quando ci sono debolezze e la rottura del patto tra i cittadini e lo Stato”.
(23 Novembre 2019)

Foto © ACFB

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