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di Karim El Sadi
La sorella: “Il governo ha ritardato due anni per lanciare una pubblica inchiesta e lo ha fatto solo per le pressioni europee

Ci sono criminali ovunque io guardi, la situazione è disperata”. Erano le 14.35 del 16 ottobre 2017, circa mezz’ora più tardi, alle 14.58, l’autrice di questo post pubblicato sul blog Running Commentary, la giornalista investigativa Daphne Caruana Galizia, saltò in aria a Bidnjia (Malta) nei pressi di casa sua. Per eliminarla i killer hanno piazzato 400 grammi di tritolo a bordo della sua Peugeot 108 che dall’esplosione è rimbalzata più volte finendo tra le campagne. Un omicidio eclatante come a voler lanciare un messaggio di avvertimento alla comunità maltese e al mondo del giornalismo europeo in generale che ad oggi conta circa 2000 cronisti soggetti di violenti atti intimidatori, rei di aver messo il dito nei grandi interessi illeciti di certe sfere di potere, lì dove anche la magistratura se ne guarda dall’investigare. Daphne Caruana Galizia faceva parte di questa cerchia di giornalisti dalla mano ferma ed è per questo motivo che è stata eliminata. Daphne infatti stava scoprendo la corruzione ai livelli più alti del governo e stava rivelando i legami tra affari politica e criminalità. Oggi a distanza di due anni sono stati fatti alcuni passi avanti nelle indagini con l’arresto di quelli che gli inquirenti ritengono gli esecutori materiali del delitto, i fratelli George e Alfred De Giorgio e Vincent Muscat (fermati nel dicembre di quell’anno), ma del movente e soprattutto dei mandanti ancora nessuna traccia. Solo alcuni nomi. Ognuno di questi di primissimo livello appartenenti dell’establishment maltese, tutti in qualche modo collegati fra loro. La giornalista 53enne, madre di tre figli, infatti aveva denunciato per prima il coinvolgimento di membri del governo negli scabrosi file di Panama Papers evidenziando come la piccola isola del Mediterraneo sarebbe diventata una sorta di “isola del tesoro”, un vero e proprio paradiso fiscale all’interno dell’Unione europea. Oggetto delle sue inchieste era soprattutto Joseph Muscat, il premier maltese, il ministro dell'Energia Konrad Mizzi e Keith Schembri, capo dello staff del primo ministro maltese. Tutti personaggi incredibilmente chiamati in causa anche dal killer Vincent Muscat per testimoniare a sua difesa, come ha evidenziato in un’intervista a Fanpage l’avvocato della famiglia Caruana Galizia. Il suo blog aveva altresì sostenuto che la società panamense Egrant fosse di proprietà di Michelle Muscat, la moglie del primo ministro, e da questa società sarebbero confluite tangenti dall’Azerbaijan dove il presidente Muscat e il ministro Mizzi avevano guidato una delegazione per firmare un accordo commerciale per costruire una centrale elettrica alimentata a gas. Il titolare di questa centrale, come ha spiegato l’avvocato Jason Azzopardi, possedeva una società segreta a Dubai, la “17 Black”, dalla quale i ministri Schembri e Mizzi avrebbero ricevuto 5 mila euro di tangenti al giorno. Tutti elementi sufficienti a ritenere la giornalista una grande minaccia per gli interessi dei colletti bianchi maltesi, e quindi un ostacolo da rimuovere. Per farlo sono state attivate pesanti modalità di delegittimazione e isolamento, a partire da quella contro le sue fonti, affinché non potesse più capire ciò che accadeva attorno a lei, passando per quelle legali contro la sua persona, con cause milionarie civili che la potessero indurre a fermarsi. Fino all'atto più estremo: l'omicidio. Questa sera la blogger verrà ricordata con una veglia silenziosa sul luogo e all'ora dell'attentato nella località di Bidnija, con una messa alle 18 della Chiesa di San Francesco alla Valletta e con una manifestazione convocata dalle principali Ong maltesi per le 19 sotto la sede del Parlamento. "Quello che il suo assassinio ha dimostrato è che l'impunità per i reati ed i criminali rivelati dai giornalisti lascia questi stessi giornalisti da soli ad affrontare il fallimento dello stato di diritto" ha detto Corine Vella, la sorella di Daphne, al Times of Malta. Il governo del premier Joseph Muscat, ha continuato Vella, per lanciare una pubblica inchiesta "ha ritardato due anni" e lo ha fatto solo in risposta alle pressioni del Consiglio d'Europa. L’ennesima prova di uno Stato negligente nella ricerca della verità e giustizia per i propri martiri.

daphne caruana galizia memoriale

Daphne Project
La morte di Daphne Caruana Galizia ha scosso parecchio l’opinione pubblica maltese e soprattutto quella internazionale che ha deciso di far forza comune per denunciare l’isolamento e la macchina della delegittimazione che alcuni giornalisti dalla schiena dritta sono costretti a subire, talvolta con la complicità dei governi, per le loro inchieste. Va ricordato infatti che la stessa Daphne era stata sommersa da 47 cause per diffamazione, cinque delle quali in sede penale, quasi tutte intentate da politici e sostenitori di politici maltesi e il giorno in cui morì si stava recando in banca per cercare di risolvere la situazione economica in quanto era stata privata delle sue finanze e l’unica maniera per andare avanti era l’utilizzo di assegni in bianco che le venivano intestati dal marito Peter. Una condizione insostenibile. Questo è uno dei motivi per cui dopo la sua morte nacque il “Daphne Project”, un gruppo di 45 giornalisti proveniente da ogni parte del mondo impegnati a continuare il lavoro della collega maltese deceduta e nella ricerca, soprattutto, dei mandanti occulti del suo omicidio. In questo coraggioso progetto l’Italia si trova in prima linea. L’Italia infatti, al di là della breve distanza che intercorre con l’isola di Malta (appena 40 km), condivide una lunga e triste lista di giornalisti d’inchiesta come Daphne brutalmente assassinati da sistemi criminali. 13 in totale (Giuseppe Alfano, Carlo Casalegno, Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giuseppe Fava, Mario Francese, Peppino Impastato, Mauro Rostagno, Giancarlo Siani, Giovanni Spampinato, Walter Tobagi, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin). Un trascorso storico tragico che ha spinto altri giornalisti italiani a voler intraprendere questo progetto alla ricerca della verità. “Siamo tutte Daphne”, ha scritto su Facebook una delle giornaliste del “Daphne Project" Maria Grazia Mazzola, “rigettiamo ogni subalternità al potere dominante basato sulle menzogne e l'illegalità”.

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Omicidio #DaphneCaruanaGalizia

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