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di AMDuemila
L'ex direttore del Dap intervistato da Il Fatto Quotidiano: “Si parla della possibilità di far uscire dal carcere i mafiosi stragisti o coloro che ne hanno seguito le strategie

La fine dell’ergastolo ostativo? Non è facile prevedere cosa potrebbe accadere sul territorio. Attenuatasi la paura di nuove stragi, l’effetto potrebbe essere quello del ritorno in libertà di alcuni boss irriducibili. È facile immaginare che tornerebbero a guidare compagini che avevano deciso di abbandonare i sistemi tradizionali, in qualche caso disinteressandosi di chi stava sepolto dagli ergastoli e dal carcere duro, il 41 bis”. Ha espresso così il proprio parere, in un’intervista a Il Fatto Quotidiano, il consigliere del Csm Sebastiano Ardita, sull'ergastolo ostativo previsto sulla base della legge n. 356/1992 per l'omicidio volontario aggravato con l'associazione mafiosa in assenza di collaborazione con la giustizia (spesso in regime previsto dall'articolo 41 bis), che rischierebbe di essere messo in seria discussione dal CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) la quale dovrà pronunciarsi sul tema domani stesso. Ardita che in passato è stato direttore generale dell’Ufficio detenuti dell’amministrazione penitenziaria (Dap) e quindi profondo conoscitore della questione e delle dinamiche interne alle patrie galere assicura “che questi temi sono seguiti con grande interesse da coloro che rappresentano l’unico vero vertice di Cosa nostra e che attualmente sono pressoché tutti detenuti. E mi sembra evidente - ha continuato - che, dal loro punto di vista, trent’anni senza stragi cominciano a provocare i primi effetti sulla sensibilità della opinione pubblica. Quindi sperano o credono che ora ci sia spazio per ottenere benefici”. Una mossa rischiosa dunque. “Ne va della sopravvivenza del sistema mafioso tradizionale, che ha patito la crisi più grave in conseguenza della reazione dello Stato dopo le stragi del 1992-93. Ma sarebbe il successo più importante - non so quanto voluto in termini di risultato - della nuova mafia silente, impegnata a reinvestire nell’economia più che nelle azioni criminali visibili”. La mafia, e in particolare Cosa nostra, aveva già più volte tentato in passato di mettere mano sul regime carcerario 41bis. “Dal famoso “papello” di Riina in poi esiste una attenzione fondamentale a questo tema che sembra passo dopo passo avvicinarsi all’obiettivo finale del superamento dell’ergastolo anche per i boss”, ha rammentato il membro del Csm. Una speranza mai del tutto affievolitasi in quanto i boss “possono contare sulla buona fede di tutti coloro che non conoscono la capacità delle organizzazioni mafiose di rigenerarsi in pochissimo tempo con la sola presenza dei loro capi storici”. Per questo motivo, ha spiegato Ardita, “è rischioso confondere questo tema con quello della rieducazione di condannati, anche a pene severe, che però non operano all’interno della criminalità organizzata. Ci stiamo riferendo alle associazioni di tipo mafioso - ha sottolineato - dove i singoli operano nel quadro di compagini organizzate che pianificano delitti anche se non necessariamente di sangue. Il mafioso militante, una volta uscito dal carcere, dovrà tornare a servire l’organizzazione fino alla morte.” E poi, ha concluso Ardita “l’esclusione dai benefici ai mafiosi militanti, anche se filtrata da una legge, è prevista per chi nega alla radice ogni dialogo con lo Stato e dunque la possibilità di una risocializzazione. Qui parliamo della possibilità di far uscire dal carcere i mafiosi stragisti o coloro che ne hanno seguito le strategie”.

Foto © Imagoeconomica

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