di Aaron Pettinari
L'ex giudice istruttore accanto alla famiglia per chiedere verità
Il prossimo 26 giugno saranno trentasei gli anni senza una verità completa per l'omicidio del Procuratore di Torino, Bruno Caccia. Una battaglia senza fine per la famiglia che in questi anni si è spesa più volte per far riaprire fascicoli di indagine, chiedere approfondimenti e far definitivamente luce su quei misteri che circondano il delitto oltre la semplice responsabilità della criminalità organizzata calabrese, dopo le condanne di Domenico Belfiore, capo dell'omonima ‘ndrina operante in Piemonte, per essere il mandante dell'omicidio, e lo scorso 14 febbraio, in appello, anche per Rocco Schirripa, condannato all'ergastolo con l'accusa di essere stato autore materiale dell'assassinio.
Qualche anno fa, in occasione del trentennale dell'omicidio, un appello dei figli del procuratore ucciso sollecitava gli inquirenti a riaprire il fascicolo “congelato” nei cassetti della procura milanese, competente per legge sui reati riguardanti i magistrati torinesi.
Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dal sostituto procuratore Marcello Tatangelo, ripartirono proprio dall'esposto presentato dall'avvocato Fabio Repici, legale della famiglia Caccia, in cui si proponeva di guardare oltre le 'ndrine, evidenziando gli interessi di Cosa Nostra per i casinò del nord Italia e i rapporti con i servizi segreti ed anche denunciando i depistaggi che si sono susseguiti, oltre alle inerzie nelle indagini da parte di alcuni magistrati torinesi e milanesi.
Ieri la famiglia Caccia è tornata a chiedere verità e giustizia in un convegno organizzato a Torino dalle Agende Rosse e dalla Commissione legalità del Comune, intitolato "Bruno Caccia- Ucciso per il futuro”, che ha visto la partecipazione di Paola Caccia, una dei tre figli dell'ex procuratore di Torino, dell'avvocato Fabio Repici, Davide Mattiello, consulenze della Commissione Antimafia, e l'ex magistrato Mario Vaudano oggi consulente gratuito della famiglia Caccia. "Chiedere la verità è stato faticoso, ma doveroso - ha ricordato Paola Caccia - sono tanti i procedimenti in Italia rimasti ancora aperti nonostante gli anni trascorsi e sono convinta che se qualcuno trova un pezzo di quella verità questa servirà anche ad altri. Perché ci sono tante altre storie collegate a questa. E nonostante i processi e 36 anni trascorsi, ancora non si sa chi abbia materialmente sparato e quale sia il movente".
"L’omicidio di Caccia era ineluttabile - ha ribadito l’avvocato Repici - ma ancora non si sa molto. Familiari e colleghi non furono mai sentiti, le indagini di Milano furono gestite sottobanco da Torino, affidate ai servizi segreti e a un detenuto per mafia. È chiaro che di quest’omicidio si doveva sapere poco e non si doveva conoscere il movente".
Tra i fascicoli rimasti ancora aperti alla procura di Milano vi è quella sull'avvocato siciliano Rosario Catafi, molto vicino a Cosa Nostra, e uno dei possibili killer, Demetrio Latella.
Un'indagine che di fatto inquadra l'omicidio dell'ex Procuratore capo di Torino all'interno delle indagini che stava svolgendo sul riciclaggio di denaro della mafia al Casinò di Saint Vincent.
I familiari hanno chiesto più volte in questi mesi di non archiviare l'indagine così come in passato si erano opposti all'archiviazione dell'inchiesta aperta nei confronti dell'ex militante di Prima Linea, Francesco D'Onofrio.
Due inchieste che mostrano i contorni di un'omicidio che, come si diceva, va oltre la 'Ndrangheta.
Sul punto Vaudano, all’epoca giudice istruttore a Torino, ha ricordato le indagini dell'epoca e di quel lavoro che fu intralciato da colleghi poco limpidi. "Non so se ci sia una sola verità - ha detto - certo quando ho accettato di fare questa consulenza sapevo che ci sarebbero state delle sorprese non gradevoli. Se esiste ancora un magistrato che sa qualcosa di più, lo dica. Aiuti a spiegare le cose fino in fondo. Hanno basato l’inchiesta sulle carte giudiziarie del passato. La maggior parte delle persone che potevano essere sentite non sono state chiamate, tranne il magistrato Olindo Canali e un ufficiale dei carabinieri”.
Canali è un giudice che, all’epoca dell’inchiesta sull’omicidio Caccia, era l’uditore giudiziario del pm titolare dell’indagine, Francesco Di Maggio. Da quest’ultimo, alcuni anni dopo, avrebbe appreso che in casa di Cattafi era stato trovato il finto volantino delle Brigate Rosse che rivendicava l’assassinio del magistrato. Ma quella rivendicazione fu smentita dalle stesse Br nel corso di uno dei processi in corso a Torino.
Secondo la Dda di Milano Canali sarebbe stato poco convincente e la sua dichiarazione è stata smentita da quella dell’ufficiale dei carabinieri, Eugenio Morini, che partecipò alla perquisizione di Cattafi.
L'avvocato Repici, nelle sue memorie, ha indicato anche altri possibili testimoni ma questi non sono stati fin qui ascoltati perché ritenuti privi di rilevanza.
Vudano, parlando della pista del Casinò di Saint Vincent, su cui all’epoca a Torino erano in corso indagini per riciclaggio di denaro della mafia, ha aggiunto: "Lì però si riciclavano anche tangenti della politica. Un giro molto più grande di Cattafi”.
Ma ci sono anche aspetti ulteriori che non hanno fin qui convinto l'ex magistrato.
Secondo le risultanze emerse nel corso dei processi contro Belfiore e Schirripa Caccia sarebbe stato ucciso perché incorruttibile e inavvicinabile, a differenza di alcuni suoi colleghi che all’epoca avevano rapporti stabili con il milieu criminale. “In base a questa chiave di lettura, quanti altri magistrati incorruttibili avrebbero dovuto essere uccisi? - si è domandato Vaudano -. Caccia ha avuto un merito: arrivato in procura, ha rotto un clima non sano. Ricordo il mio capo all’ufficio istruzione, Mario Carassi, quando arrivai mi disse di fare attenzione ad alcune persone”.
Vaudano ha raccontato di alcuni contatti con ambienti massonici che erano emersi nel corso di alcun sue inchieste ("Nel corso della mia inchiesta sullo scandalo ‘Petroli’ scoprii che alcuni alti ufficiali della Guardia di finanza erano iscritti alla P2 e a Torino, in corso Vittorio, c’era la loggia Aletheia che serviva da copertura della sede distaccata della P2”) ma anche quelle frequentazioni dubbie di alcuni magistrati che furono anche indagati e processati, anche se ne uscirono indenni, se si esclude qualche sanzione disciplinare. Per fare un esempio basta ricordare che Moschella , procuratore messinese al tempo a Torino ed oggi deceduto, fu indagato per associazione a delinquere insieme a Gianfranco Gonella, Mimmo Belfiore e Placido Barresi (cognato di Belfiore, processato e assolto dall’accusa di aver preso parte all’omicidio Caccia), e poi venne prosciolto anche se quei legami furono confermati.
"Tutte queste piste - ha ricordato Vaudano - negli ultimi anni non sono state mai approfondito e mi risulta che la procura di Milano non abbia neanche sentito i figli di Caccia. Sembra esserci un rifiuto a scavare nel passato. Ma c'è ancora possibilità di fare giustizia”.
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