Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Fotogallery all'interno!
di Luciano Armeli Iapichino

Reportage su una parte di Sicilia che non si arrende

E sì, la nostra è una terra di contraddizioni; un’isola tanto aspra quanto seducente; e più sono brutali e sevizianti certi aspetti di questo lembo del Mediterraneo, tanto più altri si trasformano in narcotizzanti canti di sirene da inchiodare all’albero maestro della magia viandanti e siciliani. Quest’ultimi anche a quello della nostalgia se hanno praticato la diaspora. E se vero che, secondo la nostra tradizione, “unni cc’è suli, ‘un cc’è bisognu di dutturi” (il Sole è vita, e per un grande assioma medico, salute - G. Pitrè), per quanto concerne le dinamiche umane ci sarebbe bisogno di un qualche Dio che discenda nelle terre che furono di Verga, Pirandello e Quasimodo a rimettere – se ci riesce - le cose a posto. Perché la matassa è davvero ‘mpignuniata mali, male avviluppata.

E sì, la Sicilia è strana. Strana davvero: una terra che, da un lato, pare aver dimenticato la sterminata lezione della storia, abbastanza tangibile da queste parti, dall’altro se ne vanta quando si espone a giudizi universali e impietosi sull’andazzo delle cose; da un lato odia i suoi governanti, rei di aver cancellato o, nella migliore delle ipotesi, rallentato il futuro di generazioni, dall’altro elegge a furor di popolo rappresentanti collusi, evasori e indagati; da un lato incarna ancora accidiosi retaggi spagnoli, dall’altro è laboriosa e creativa; da un lato perpetra mattanze e disastri, dall’altro piange le sue stesse vittime. Anche se per breve tempo: poi soggiunge l’amnesia, il mal di memoria. E così all’infinito. “Cancia e nun cancia” avrebbe borbottato Tomasi di Lampedusa o, parafrasando il titolo di un famoso romanzo di Giuseppina Torregrossa, questa terra è pari tempo Manna e miele, ferro e fuoco. E questo vale anche per i Nebrodi che negli ultimi tempi, e forse da qualche decennio - non hanno certo brillato quantomeno per costume: mattanze, abigeato, scialacqui, truffe AGEA, zona grigia, mascariamenti, arresti, il tutto incorniciato nel più ampio ventaglio delle sfumature della vergogna. Ma dal momento che la Sicilia è terra di fichidindia e quindi matri troppu ‘ngrata, fa li figghi ‘nta li spini, cu la testa ‘curunata, giriata di rubuni, (madre troppo ingrata, fa i figli dentro le spine, con la testa incoronata, circondata da rubini, G. Pitrè) anche i Nebrodi hanno l’altro lato della medaglia, quello che brilla, che crea, che conserva, che si eleva come canto elegiaco sin oltre il volo dell’aquila reale che nelle Rocche del Crasto (Alcara Li Fusi) dimora da tempo. E la stranezza, quindi, la bellezza di questi monti – come dell’intera isola – consiste proprio nella presenza di borghi e paesi che si caratterizzano come veri e propri forzieri di tesori a cielo aperto; una mappa di patrimoni ancora poco conosciuti ai soliti e stra-battuti circuiti del turismo di massa (e aggiungerei per fortuna); un pozzo di San Patrizio di ricchezze, visioni, cultura e prelibatezze. Incanto su incanto, stimoli tanto per l’intelletto quanto per l’anima, testi naturali e di tradizioni tanto millenari quanto, per certi aspetti, ancora muti. Ne è un esempio Galati Mamertino, nel messinese, situato a 850 m. s.l.m., paesino come tanti altri (San Marco d’Alunzio, Tortorici, Longi, San Salvatore di Fitalia, Frazzanò, Mirto, Capizzi, Cesarò, Mistretta) gravido di storia e di chiese, di tesori e contraddizioni. Ha dato i natali a Francesca Serio e al figlio Salvatore Carnevale, rispettivamente pioniera lei e martire lui della lotta alla mafia, e a Tony Lombardo, il consigliere che nella Chicago degli anni ’20 curava gli affari di Al Capone; è pari tempo snodo nevralgico dell’itinerario gaginiano e Jacopeo (anche per la presenza delle sculture di scuola gaginiana il centro è stato inserito di diritto nella Storia dell’arte italiana editata da Einaudi curata da Federico Zeri) ma il sentimento culturale pare essere moribondo in loco. Eppure chi giunge sin qua su a vario titolo, inerpicandosi tra declivi mozzafiato, rimane un attimo fuorviato e stordito da tanto “clamore” naturalistico e artistico.


È il caso della poetessa campana Daniela Mantice, oracolo per accademici di tutto il mondo tra i tesori di Pompei, Ercolano, Cuma, che così si esprime:

“Quando lo sguardo obliquo ti permette di deviare dalle traiettorie consuete e consolidate può capitare d’imbatterti in una Sicilia autentica fatta di verde rigoglioso e di antiche pietre.

Qui le facce della gente raccontano caratteri duri di ellenica stirpe, comunicano sentimenti ancestrali. Lontani dalle oleografie di copertina e dalle traiettorie artificiali di un turismo di massa, il viaggiatore, incontra sui Nebrodi la meraviglia delle piccole cose, riscoprendo la bellezza epicurea della natura primigenia e selvaggia. È come entrare in una grotta capace di amplificare i suoni.

Ove ogni crepa urla il suo passato di usurate memorie. Queste terre trasudano storie di sofferenza e verità, di semplicità e sapidità. Lo ritrovi nelle opere d'arte conservate nelle antiche pievi, nei piatti cucinati con amore. Lo ritrovi negli incontri casuali che non disdegnano lo scambio. Qui l'incontro con il viaggiatore si trasforma in accogliente e generosa ospitalità.

I momenti vissuti sui Nebrodi diventano indelebili ricordi.

La Sicilia ti segna per sempre e rimane vivo il desiderio di voler ritornare”.

Una testimonianza penetrante, quella della poetessa di San Sebastiano al Vesuvio, che ha voluto consegnare all’isola le tracce del suo passaggio con la lirica “Pantelleria”. Artisti di ieri e di oggi che solcano come crociati vie secolari, armati con l’ardente desio di sprigionare il seme senza tempo della creatività e della cultura. È il caso di Annibale Lo Bianco, organaro galatese attivo nel Regno delle Due Sicilie nella prima metà del ‘700, abilissimo nella costruzione di pregiati organi a canne, dai quali ancora oggi si eleva nelle chiese siciliane e maltesi una musicalità di rara fattura. E per seguire le sue orme, sono giunti proprio sui Nebrodi, compositori e artisti di fama internazionale. È il caso di Enrico Parizzi, violinista e violista, specialista di musica rinascimentale e barocca e quello di Calogero Giallanza, flautista e compositore, voce del Mediterraneo, che ha onorato Annibale Lo Bianco,“raffinato maestro, testimone diretto di questa Sicilia, un mare di suoni che testimoniano la vitalità, l’impegno e la creatività di un popolo fortemente legato alle proprie radici” con concerti organizzati sotto il firmamento siculo in suggestive location e tra queste la scalinata della cinquecentesca Chiesa di San Luca Evangelista e il giardino del Palazzo baronale del XVII sec.

L’attrice nazionale Annalisa Insardà giunta sui Nebrodi, riferisce: “Andai a parlare di poesia e di poesia fui travolta. Lì c’è tutto ciò che all’uomo serve per pensare”. È non ha torto. Le alture, i laghi, i colori, la biodiversità di questa Sicilia, vergini testimoni di un passato che non c’è più ma del quale è rimasta intatta l’originale pellicola della sicilianità contadina (piene di pathos le giornate dedicate alla raccolta del grano, a pisera, la pesatura) e della sicilitudine narrata da cineasti, attori e scrittori, si prestano al ricovero dello spirito anche in tempi di globalizzazione e immagini di buchi neri. E se per certi aspetti a tiritera è sempre a stissa, la musica non cambia e il silenzio continua ad avvolgere questi boschi spesso assurti a cimiteri di mafia, dall’altro, proprio dinanzi a querce secolari qualcuno medita talmente troppo da accendere la lampadina della creatività e del rilancio anche aziendale, aprendo scenari impensabili. È il caso di Giacomo Emanuele, apicultore che alla fine degli anni '90 ha saputo cogliere appieno le enormi potenzialità del territorio. E infatti, dal livello del mare alla cima di Monte Soro, a diverse quote altimetriche, è presente una biodiversità unica che le api trasformano in delizioso nettare contribuendo a garantirne l’esistenza. Da anni l’Azienda Emanumiele collabora con le varie Università Siciliane e con Slow Food per la tutela la salvaguardia e la diffusione dell’Ape Nera Sicula, conducendo apiari in purezza in diverse isole delle Eolie e attorno alle cime più alte dei Nebrodi, tanto che una vasta area degli stessi, attraverso un Decreto Legge Regionale e soprattutto grazie all’Ente Parco dei Nebrodi, sta per essere adibito ad area protetta per la riproduzione in purezza di questa specie a rischio di estinzione. E quando l’idea è supportata dalla costanza e dalla professionalità, allora i risultati arrivano anche nella terra dei Gattopardi assurta a marketing mafioso con la finzione cinematografica: in autunno è stato girato un documentario “l’Ape Nera Sicula” di Davide Mocci che è stato trasmesso già due volte dalla nota trasmissione Rai Geo & Geo, partecipando alla realizzazione di altri due documentari internazionali rispettivamente con i canali Arté Francia e Arté Germania. Non solo Padrini dunque.


E alla fine il rilancio di questo forziere siciliano della biodiversità passa anche attraverso l’ape che “vola pi l’aria vola, senza stigghi e senza cazzola, sapi fari palazzi a prova” (il riferimento è all’alveare, G. Pitrè). Una bella storia, questa, e non è l’unica. Ne servono ancora altre.

Un territorio quello dei Nebrodi, come sottolinea lo storico dell’Università di Messina, Prof. Antonio Baglio, “partecipe degli sviluppi della vicenda storica nazionale nel corso del secolo scorso. Si pensi al contributo di sangue offerto durante la Grande Guerra; al cooperativismo del primo dopoguerra che si andava a inserire in quel processo di mobilitazione fondiaria messo in moto dai sacrifici e dalle legittime aspirazioni dei cosiddetti fanti-contadini; e ancora al protagonismo assunto dall’associazionismo mutualistico locale; nel secondo dopoguerra l'assistenzialismo democristiano e le rimesse degli emigranti avrebbero garantito la sopravvivenza di una realtà montana legata ad una agricoltura in gran parte di sussistenza e all'allevamento, capace solo negli ultimi decenni di trarre beneficio. Oggi si possono avere sviluppi rigogliosi sul versante turistico, coniugando la valorizzazione dei prodotti della terra, la riscoperta delle tradizioni popolari e del notevole patrimonio artistico locale con l'erogazione di servizi adeguati”.

Sarebbe impensabile poter condensare la storia e il tesoro di questa parte di Sicilia in un articolo. Ogni borgo, ogni paese, ogni piccola contrada racconta qualcosa di speciale. Galati Mamertino è solo un esempio tra i tanti. Il messaggio che si vuol far passare è che quest’isola può farcela nonostante le insanabili ferite che si è procurata, con la Maffia prima e la Zona grigia dopo, come devota flagellante medievale e nonostante le mille contraddizioni che la attanagliano in una sorta di limbo senza speranza.

Si apprezza la dolcezza del ficodindia dopo la sofferenza scaturita dalla scorza.

Siciliani, e questo lo sapete!

In foto i Tesori dei Nebrodi di:
N. Serio,
N. Zingales,
G. Emanuele.

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos