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di AMDuemila
La Dda ha notificato agli indagati l’avviso di conclusione delle indagini

Falsi certificati medici, false perizie psichiatriche e depistaggi con lo scopo di fare uscire dal carcere l’ex boss della ‘Ndrangheta di Vibo Valentia e capo della cosca “Pardea-Ranisi” Andrea Mantella, che dal 2016 è diventato collaboratore di giustizia. E’ questo che emerge dall’inchiesta condotta dalla Dda di Catanzaro che vede indagate 16 persone tra avvocati, medici legali nominati dai giudici e medici di parte incaricati dalla difesa dell’ex boss. La procura guidata dal procuratore capo Nicola Gratteri ha notificato, l’avviso di garanzia e contestualmente l’avviso di conclusione dell’indagine per i reati di false dichiarazioni, false attestazioni a pubblico ufficiale, corruzione in atti giudiziari, favoreggiamento, false dichiarazioni, false dichiarazioni al difensore, concorso esterno in associazione mafiosa. I provvedimenti sono stati eseguiti dai carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Vibo Valentia, Cosenza, Catanzaro, Lamezia Terme e dalle compagnie di Bari San Paolo e Locri. Dunque, a finire nel registro degli indagati, oltre a Mantella, sono stati i suoi ex avvocati Salvatore Maria Staiano e Giuseppe Di Renzo, i medici legali Massimiliano Cardamone, Francesco La Cava e Mauro Notarangelo, i medici Silvana Albani, Luigi Arturo Ambrosio (legale rappresentate della clinica “Villa Verde”), Domenico Buccomino, la consulente di parte Sabrina Anna Maria Curcio. Ma anche Antonio Falbo, Santina La Grotteria (ex compagna di Mantella), Francesco Lo Bianco, l’ingegnere minerario Sergio Lupis 48 anni, di Vibo e i due consulenti tecnici Massimo Rizzo e Antonella Scalise.
Per la procura gli indagati avrebbero agito per tentare di far uscire dal carcere Andrea Mantella che, secondo gli inquirenti nel 2006 avrebbe simulato un suicidio mentre era detenuto all’interno della casa circondariale di Siano, in provincia di Catanzaro. Un azione che non avrebbe preoccupato il medico di guardia intervenuto sul fatto, ma sarebbe bastato ai periti di parte per sostenere che il boss sarebbe stato affetto da “sindrome suicidiaria”, che era incompatibile con il regime carcerario e per questo andava posto ai domiciliari. Sempre in riferimento al quel fatto, anche il medico legale avrebbe parlato di “disturbo dell’adattamento con ansia e umore depresso” consentendo, quindi, all’avvocato Di Rienzo di presentare un’istanza di revoca della misura cautelare al gip di Catanzaro.
L’ex boss nel momento dell’inizio della sua collaborazione avrebbe confermato ai pubblici ministeri che era tutto falso e che anche i tecnici di parte Rizzo e Scalise sarebbero stati istigati da lui e dall’avvocato Staiano per redigere false attestazioni delle quali era emerso un quadro clinico che lasciava pensare a un “rischio di suicidio” e a un’”instabilità emotiva”.
Tra le accuse c’è anche quella di corruzione in atti giudiziari perché al medico legale del boss, una somma di denaro, che, per il tramite dell’avvocato Staiano e del consulente di parte Massimo Rizzo, sarebbe stati promessi al perito nominato dal gip per “redigere una patologia psichiatrica inesistente”.
E’ finita dal mirino degli investigatori la clinica “Villa Verde” dove Andrea Mantella e Francesco Scrugli (suo cognato ammazzato nel marzo 2012) avrebbe trascorso senza preoccupazioni gli arresti domiciliari grazie alle cortesie del rappresentante della struttura sanitaria convenzionata Luigi Arturo Ambrosio. Addirittura, proprio Ambrosio, tramite il medico Domenico Buccomino sarebbe riuscito a garantire il soggiorno a “Villa Verde” per Mantella che aveva la piena disponibilità dei locali dove si sarebbero svolti veri e propri summit di ‘Ndrangheta. Inoltre, tra il 2007 e il 2010 il rappresentante della struttura sanitaria avrebbe fornito all’ex boss della cosca “Pardea-Ranisi” e Scrugli i documenti di ignari soggetti ricoverati nella clinica per attivare schede telefoniche con le quali comunicare con gli altri esponenti della cosca. In tutto in cambio di denaro e regali come vini pregiati, divani per la figlia, Rolex in oro, una Mercedes per il figlio. Non solo. Anche prosciutti, parmigiano, televisori, materassi e condizionatori che poi sarebbero serviti per il bed & breakfast della moglie.

Foto © Imagoeconomica

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