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brusca giovanni arrestodi Davide de Bari
IMD: “C’è qualcosa che non funziona, dobbiamo rompere il sistema che mantiene la mafia e la corruzione”

Essere un poliziotto non è per nulla facile, richiede sacrificio e tanta abnegazione. “Affrontare i sacrifici e rinunce con la consapevolezza che tutto viene proiettato nella difesa dello Stato, delle istituzioni e quella stessa collettività da cui si proviene” diceva Carlo Alberto dalla Chiesa. C’è chi sceglie di entrare in polizia perché non sa che altro lavoro fare o chi lo fa per spirito di servizio. Ed è proprio quest’ultimo motivo che fa comprendere l’essenza di questo lavoro: mettere a rischio la propria vita per gli altri. E’ questo che ha raccontato giovedì scorso a Jesi uno dei poliziotti che faceva parte della sezione “Catturandi” di Palermo. Il suo nome in codice è IMD, acronimo scelto per fare in modo che i mafiosi o i suoi nemici non conoscano la sua identità. “Io sono entrato in polizia a 18 anni, dopo le stragi, - ha detto - nel novembre successivo come reazione emotiva a quello che era successo”. Prima di iniziare il suo racconto, l’agente ha ricordato la morte della madre del poliziotto, Nino Agostino, ucciso insieme a sua moglie Ida Castelluccio e il bambino che portava in grembo, il 5 agosto 1989, Augusta Schiera: “Sul tema della giustizia e della mafia per dare risposta a queste persone, non dobbiamo fermarci e non ci dobbiamo rassegnare”.
IMD ha poi raccontato il suo primo libro “Catturandi” che è nato da una richiesta di un professore universitario per far conoscere cosa fosse la “latitanza”. L’idea è poi confluita in un libro. “Far capire che cos è la polizia, non è così facile. I poliziotti sono quelle persone che si sacrificano insieme ai vigili del fuoco, il nostro contratto di lavoro ci dice che dobbiamo anteporre la nostra sicurezza a quella degli altri. - ha spiegato il poliziotto - La cura della polis deve partire dalla creazione delle guardie. Se le cose non funzionavano, è un pò colpa di tutti non solo di chi controlla”.

La cattura dei latitanti
“Catturandi” racconta di una grande attività di intelligence di una sezione che ha visto la sua massima adesione all’indomani delle stragi. “Dopo la cattura di Vito Vitale fummo chiamati da Renato Cortese che ci disse che dovevamo catturare Bernardo Provenzano. - ha raccontato - Non fu un indagine semplice, ma molto complicata. 8 anni di grosse difficoltà personali e famigliari”. IMD ha poi ricordato le difficoltà trovate durante le indagini per catturare Provenzano. “L’indagine su Provenzano è stata quella più complicata, c’erano dei chiari oscuri che non si comprendevano, perchè Provenzano aveva un apparato di protezione diverso rispetto agli altri. - ha spiegato - Noi abbiamo preso Provenzano grazie alle indagini dei carabinieri e in particolare alle dichiarazioni di Luigi Ilardo. Secondo il poliziotto come è stato complicato catturare Provenzano, lo è anche ora con l’ultimo dei corleonesi: “Come è caduto Provenzano, lo farà anche il boss di Castelvetrano. Oggi a Messina Denaro abbiamo sequestrato tanto dal suo patrimonio. Io ho lavorato un po' all’indagine su Denaro lui si è creato una rete sociale fortissima. La gente non lo venderebbe per niente”. Secondo il poliziotto sembra che un latitante è legato all’altro: “Da Cristoforo Cannella siamo poi arrivati a Brusca, da lui a Garofalo e poi Gaspare Spatuzza. Uno dei due fratelli, Garofalo, aveva un pizzino in tasca dove c’era scritto che alle 5 all’ospedale Cervello doveva incontrare Spatuzza. E’ così che lo abbiamo preso. Abbiamo chiamato l’ambulanza dicendo che c’era una persona che stava male, poi abbiamo svestito i secondini. Siamo entrati dentro l’ambulanza e abbiamo caricato sette persone. Io avevo il compito di aprire il portellone per far scendere i ragazzi che dovevano bloccare la macchina”. Sulla cattura dei boss Lo Piccolo, IMD ha raccontato un particolare che gli permise di arrivare a loro: “I Lo Piccolo li abbiamo trovati grazie a un'intuizione di un collega che aveva aperto la porta del bagno, dove ha trovato i pizzini gettati nel water. Lì non c’era la fognatura ma la fossa imof e lì abbiamo trovato le pallottole dei pizzini che ci hanno condotto da Lo Piccolo”.

provenzano bernardo bn 850

Il racconto passa per la cattura del capo mandamento di San Giuseppe Jato, Giovanni Brusca: “Quando entrammo a fare il blitz lì dentro proiettavano il primo film fatto su Giovanni Falcone. Erano seduti a tavola Giovanni Brusca, il fratello, il bambino, la cognata e sua moglie. Lanciammo le fleshbeng, noi entrammo e bloccammo tutti. L’ispettore più anziano gridò: positivo e ciò significava che era lui. Io presi il bambino che mi fu affidato e lo portammo fuori perché era terrorizzato”. Dopo il grande risultato “si prova una grande soddisfazione a fare questo lavoro. Brusca ha ucciso tante persone tra cui il piccolo Di Matteo. Ma in un certo senso un po' ti fa star male perché utilizzi violenza, anche se è il tuo lavoro. - ha sottolineato - Non dobbiamo perdere mai di vista che sono anche loro degli esseri umani. Dobbiamo essere diversi da loro, non come loro. Noi ci dobbiamo emozionare e non dobbiamo uccidere nessuno, dobbiamo provare sentimenti diversi a quelli di un mafioso”.
Il poliziotto ha poi raccontato la cattura del mafioso di Vito Vitale: “Io e l’ispettore più anziano eravamo sul retro della casa. Nel mentre si udirono gli spari, ma non erano i suoi. Ce lo vedemmo arrivare davanti, i suoi uomini gli avevano fatto guadagnare qualche minuto. Lui mi disse spara, ma io provai a fermarlo. Lo placcai senza sparare. Mi abbracciai alla sua gamba per fermarlo fino a quando non arrivarono gli altri”.

La criminalità straniera
Parlando dell’altro suo libro “100% sbirro”, l’autore ha sottolineato che “bisogna essere sbirri al cento per cento e cittadini al cento per cento”. “Spesso la parola legalità è vuota e bisogna vedere sempre da chi viene pronunciata. - ha detto IMD - A me piace dare un senso pratico alle cose. Per parlare di questo bisogna raccontare ai ragazzi di cose che partono dal basso”.
Dopo l’avventura alla sezione Catturandi, IMD si è trasferito all’immigrazione: “Abbiamo realizzato la prima operazione contro la mafia nigeriana, arrestando 23 persone che poi vennero condannate in primo e secondo grado per associazione mafiosa. Una cosa che a Palermo non si era mai vista. Così abbiamo scoperto che esistono altre realtà criminali”. In riferimento al suo libro sulla criminalità cinese (“Dragoni e lupare”), l’agente della squadra mobile di Palermo ha spiegato: “La comunità cinese viene considerata con un basso livello criminale in quanto non rubano e non picchiano. Sembrano buoni da quanto appare. Naturalmente non possiamo criminalizzare tutti per questo bisogna conoscere. Perché solo chi conosce può agire, mentre chi non conosce vive di ricatti”.
L’uomo della “Catturandi” ha poi parlato del momento in cui ebbe la consapevolezza di cosa fosse un poliziotto quando era innamorato della figlia del capo della mobile di Palermo, dopo l’uccisione di Ninni Cassarà. La ragazza era scortata, senza che lo sapesse. IMD e la figlia del capo della mobile andavano insieme a scuola e venne a conoscenza della scorta, nel momento in cui il poliziotto gli rimproverò per essersi allontanti dalla sua vigilanza. “Da lì ho capito cosa significa avere la scorta quando uno rischia la pelle e averla perché sei l’assessore allo sport - ha detto - Quando Paolo Borsellino venne ucciso in quella maniera, non puoi non indignarti. Perchè se l’assessore Raimondi ha il divieto di sosta sotto casa, com' è possibile che sotto casa della madre del magistrato più in pericolo d’Italia il comitato sulla sicurezza pubblica non abbia pensato a metterci un divieto di sosta”. Di qui ha poi raccontato di cosa una famiglia di una persona scortata vive: “Quando vedi tornare a casa tua padre festeggi, sembra una cosa folle. Quello era un periodo di guerra in cui i figli vivevano con l’angoscia”. Riguardo queste storie, il poliziotto ha poi detto: “Queste cose vanno raccontate perché possono cambiare le prospettive”. E poi ha continuato: “Il nostro Paese ha delle potenzialità infinite, come ci raccontano da sempre. Le mafie bloccano qualsiasi forma di progresso e siamo noi che possiamo fare qualcosa. Quando un gruppo di ragazzini di 20 anni decise di catturare i latitanti ci siamo riusciti. Abbiamo preso gli esecutori, ma non i mandanti”. Per IMD l’Italia “è piena di misteri e omicidi irrisolti. Sembra che ci piacciono i misteri, ma dobbiamo imparare ad avere un più di trasparenza”. “Non solo i poliziotti e magistrati riusciranno a vincere la battaglia. Solo una rivoluzione etica che parte da ognuno di noi. - ha concluso - Questo significa rinunciare a qualcosa di nostro, ma è l’unica strada. Se più persone la praticano la percentuale è maggiore, meno la praticano la riuscita sarà minore”.

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