di Davide de Bari - Video
Intervento del procuratore nazionale davanti alla Commissione parlamentare antimafia
“Nessuna cautela relativamente alla presenza di Marcello Bruzzese e del suo nucleo familiare era stata adottata, e quel che è peggio è che nessuno si è mai accorto che l'uomo si recava settimanalmente fuori dal territorio e da quella città 5 giorni su 7, rientrando solo il venerdì. E' evidente che questa è una carenza che sia la Commissione centrale che il Servizio centrale stanno verificando. Il Nop dovrebbe avere la possibilità di verificare puntualmente quali sono i movimenti dei collaboratori di giustizia e dei loro familiari e dovrebbe essere il riferimento al quale dovrebbe essere riportato ciò che è necessario e soprattutto l'allontanamento dal luogo di residenza che dovrebbe essere autorizzato e segnalato”. Sono queste le parole del Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, durante l’audizione alla Commissione parlamentare antimafia riguardo la vicenda dell’uccisione di Marcello Bruzzese, il fratello del pentito della ‘Ndrangheta Girolamo Bruzzese, assassinato sotto la sua abitazione a Pesaro dove viveva sotto protezione in qualità di parente del pentito. “La violazione di queste regole è rimessa al controllo del Servizio. - ha continuato il magistrato - È anche vero che Bruzzese ad oltre un anno e mezzo era stato espresso parere favorevole dalla procura per la capitalizzazione che consiste in una liquidazione forfettizzata, sottraendosi alle ferree regole del contratto che collaboratori e familiari sottoscrivono. Questo non modifica però i doveri del Servizio centrale e del soggetto che avrebbe dovuto osservare quelle regole”.
Il procuratore nazionale ha evidenziato che nel caso di Bruzzese “il problema era ancora più delicato in quanto il fratello Girolamo aveva reso dichiarazioni nel 2016 e quindi non era così lontano nel tempo l’esposizione al rischio. Il fatto ultimo che aveva determinato l’intervento di Bruzzese all’interno del processo a Teodoro Crea, capo della cosca dei Rizziconi, e degli uomini che in quei territori hanno il potere ‘ndranghetista”.
Sulle indagini, de Raho ha ricordato gli episodi della lunga scia di sangue che c’è stata tra la famiglia di Bruzzese e quella dei Crea. “Sono in corso accertamenti della Procura di Reggio Calabria per ricostruire il quadro anche riguardante soggetti in contatto con Bruzzese Girolamo e il territorio di Rizziconi. - ha detto - Sull’omicidio Bruzzese sta indagando la procura di Ancona insieme a quella di Reggio che ha un'indagine molto ampia sui Crea”. E poi ha aggiunto: “Le indagini stanno dando i risultati che sono coerenti all’enorme impegno che il Ros sta apportando in questa indagine e sono fiducioso che presto si arriverà all’identificazione degli autori”.
Il rischio e il sistema dei collaboratori
Durante l’audizione, de Raho ha ricordato come anche al Centro-Nord Italia c’è una presenza ’ndranghetista molto diffusa e per questo le famiglie dei collaboratori corrono dei rischi: “Quando c’è una ‘Ndrangheta così diffusa e c’è un famigliare così a rischio, gli si dà un sostegno economico. Lasciarlo a se stesso significherebbe l’esistenza di un sistema che funziona poco. Per questo la commissione parlamentare può svolgere un compito d’indagine affinché il sistema possa tornare a funzionare. Se si sapesse che è facile raggiungere i collaboratori di giustizia ne avremmo non uno, ma tantissimi fatti di questo tipo e nessuno più collaborerebbe”. Riguardo a questo rischio, il procuratore nazionale ha lanciato un allarme: “Il rischio che oggi abbiamo è che i collaboratori comincino a temere per la loro incolumità. In tanti hanno scritto che se a Bruzzese è successo questo può succede a chiunque”.
I collaboratori di giustizia in Italia sono circa 1.200, i loro familiari 4.800, per un totale di circa 6 mila persone. Un paesino con un numero di abitanti rilevante. “Bisogna - ha sottolineato il magistrato - che i Nuclei di protezione possano contare su un numero di persone sufficienti a garantire verifiche frequenti e costanti, altrimenti faranno inevitabilmente delle scelte di priorità”. Per Cafiero de Raho, i collaboratori di giustizia sono lo strumento principale attraverso il quale si combatte la criminalità organizzata: “Più prezioso delle stesse intercettazioni telefoniche e ambientali che hanno costi elevatissimi: mafia, camorra e ndrangheta hanno il loro punto di forza nell’omertà e se tale omertà viene scardinata da elementi intranei all’organizzazione, quest’ultima comincerà ad accusare delle lesioni”. Inoltre, il procuratore nazionale, prendendo spunto del caso dell’ex sindaco di Rizziconi, Antonino Bartuccio, che dopo le denunce al clan Crea è rimasto a vivere sotto scorta nella stessa città, ha evidenziato “come fosse importante che i testimoni restassero nel territorio di origine. Questo perché il testimone è espressione della legalità, di un cambiamento, e non è pensabile che vada altrove. La nuova legge ha previsto questo cambiamento, il testimone può restare con delle forme di garanzia capaci di assicurare l’incolumità sua e dei suoi familiari. Lo Stato fa sforzi enormi, ma senza questo sforzo non può esserci un cambiamento”.
La deputata Piera Aiello ha sollevato la questione riguardo la protezione dei collaboratori e testimoni di giustizia, in quanto gli è stato riferito dagli stessi che “c’è un sistema che non li protegge e si sentono parcheggiati in una città e possono andare dove vogliono. Quando in realtà dal contratto devono informare degli spostamenti”. Riguardo questo, de Raho ha detto che “il problema maggiore è quello di dare loro un'identità”, affinchè “non possano essere riconosciuti che derivano da posti di mafia. Molto spesso, arrivano in comuni con pochi abitanti che all’arrivo dello ‘straniero’ attira la loro attenzione”. E poi ha spiegato: “Molto spesso i collaboratori vogliono lavorare, ma spesso non hanno i documenti quindi non si possono nemmeno presentare con un nome e cognome, come anche i figli. Ci sono anche problemi psicologici. Pur riconoscendo lo sforzo del servizio del centro di protezione, il sistema orami non è adatto a svolgere esattamente il compito che deve svolgere. Perché la struttura non è capace di dare tutto quello che un collaboratore si aspetta. E’ tanto, ma è pur vero che lasciano una cosca che gli ha mantenuti fino a quel momento e hanno commesso reati. Quando ne escono fuori devono avere la possibilità di trovare una sistemazione e lavoro. Per i testimoni, invece, la legge ha la previsione di questo”.
A intervenire è stato anche Pietro Grasso, ex procuratore nazionale antimafia e oggi membro della commissione, che ha evidenziato come il numero delle persone assisite è in aumento e rispetto a questo però non “c’è stato un aumento delle risorse”, ma c’è “una carenza di legislazione e attività amministrativa ed esecutiva per potare aventi il servizio ai collaboratori”. E poi anche: “Bisognerebbe rivedere il concetto di protezione alla luce di questo caso visto che il simbolo è importante e da spinta alla collaborazione”. Mentre l’on Mario Michele Giarrusso ha alzato degli interrogativi in riferimento al cambiamento di status di Bruzzese. “Come è possibile che venga valutato il grado di pericolosità di chi collabora o testimonia in base al processo? Con la fine del processo e della testimonianza non ci sono più rischi? - ha detto - Capisco che per la magistratura è la fine e quindi si passa ad altro. Ma per i Crea la fine del processo significa passare un lungo tempo in galera e andare a cercare chi ha permesso questo".
Foto © Imagoeconomica
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