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riina salvatore big3E' il rimborso per le spese di detenzione
di AMDuemila

Aveva poco più di 18 anni, Totò Riina, quando vide per la prima volta una cella. Appena maggiorenne era stato arrestato con una grave accusa: omicidio di un coetaneo, durante una rissa, per cui venne condannato a 12 anni. Uscì nel 1956 e ricevette subito il benestare di Luciano Liggio, suo compaesano, che lo fece entrare in Cosa Nostra e nelle file del suo gruppo di fuoco. Tornato in cella nel 1963 per una carta di identità rubata e una pistola illegale, tornò dietro alle sbarre per uscire, dopo un'assoluzione per insufficienza di prove nel 1969. Venne infine catturato il 15 gennaio del 1993 dopo 23 anni di latitanza, nel corso della quale è stato autore e mandante di 100 omicidi efferati senza fare distinzioni tra amici e nemici passando in carcere gli ultimi 24 anni della sua vita al regime carcerario duro 41bis. Oggi, che Totò Riina è passato a miglior vita, lo Stato chiede conto di quanto fece, in termini economici. E’ giunta ieri la notizia della presentazione alla famiglia Riina, e in particolare alla vedova Ninetta Bagarella, delle spese carcerarie di "Totò u Curtu" riguardanti i 24 anni di detenzione al carcere di Parma. La cartella esattoriale presentata da Riscossione Sicilia, la società che riscuote i tributi nell’isola, ammonterebbe intorno ai due milioni di euro. Ad attivare la procedura di recupero del credito sarebbe stato, attraverso il ministero della Giustizia, il carcere di Parma, ultimo istituto penitenziario in cui il capomafia è stato detenuto. “A noi sembra una boutade perché la legge esclude espressamente che il rimborso per le spese di mantenimento in carcere si estenda agli eredi del condannato. Perciò stiamo studiando bene la questione per vedere in che termini è”, ha commentato il legale dei Riina, l’avvocato Luca Cianferoni. Il legale ha fatto riferimento all’articolo 189 del codice penale che, dopo aver disposto l’obbligo per il detenuto di rimborsare le spese sostenute dall’Erario dello Stato per il suo mantenimento in cella, esclude che l’obbligazione si estenda agli eredi: in questo caso moglie e figli del capomafia corleonese. La notizia viene resa nota nello stesso giorno in cui, proprio a Corleone, il sindaco si è accorto della richiesta di Maria Maniscalco, moglie di Rosario Lo Bue, uno dei fedelissimi di Bernardo Provenzano. La donna, infatti, ha chiesto l’accesso al reddito d’inclusione, che prevede l’erogazione di un sostegno economico per le famiglie con Isee inferiore ai seimila euro.

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