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L’8% in più rispetto al 2017 secondo Reporters sans Frontiérs

Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”. E’ scritto così, nero su bianco, l’Articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo di cui pochi giorni fa, lo scorso 10 dicembre, abbiamo ricordato il 70esimo anniversario. Un testo imprescindibile che ricorda alle nazioni del mondo i diritti inalienabili dell’essere umano. Diritti che, malgrado ciò, vengono continuamente calpestati e non rispettati. In particolar modo quando si parla di libertà di stampa e di opinione. E’ uscito ieri il rapporto di Reporters sans Frontiérs (RSF) che ha appurato come l’anno 2018, ancora in corso, sia l'anno nero per i giornalisti di tutto il mondo. I numeri parlano chiaro. Secondo l'ultimo bollettino dell’ONG, 80 reporter sono morti nell'esercizio della loro professione nel 2018, l'8% in più rispetto al 2017, quando erano stati 65. Di questi oltre la metà dei giornalisti uccisi sono stati "presi deliberatamente come obiettivo e assassinati" (49, ovvero il 61%), come l'editorialista Jamal Kashoggi al consolato saudita di Istanbul, il giovane collega slovacco che indagava sulle ramificazioni della 'ndrangheta nel suo Paese, Jan Kuciak o la giornalista maltese uccisa con una autobomba Daphne Caruana Galizia. Mentre sono oltre 700 quelli rimasti uccisi nell'ultimo decennio. La triste classifica vede in testa l’Afghanistan con 15 morti nel 2018 che ottiene così il primato di “Paese più letale per i giornalisti”, seguito da Siria (11 morti) e Messico (9 morti).



"Le violenze contro i giornalisti raggiungono quest'anno un livello inedito, tutti gli indicatori sono in rosso", ha avvertito il segretario generale di RSF, Christophe Deloire, sottolineando che "l'odio contro i giornalisti propagato, se non rivendicato, da leader politici, religiosi o businessmen senza scrupoli ha conseguenze drammatiche sul terreno e si traduce in un innalzamento inquietante degli abusi". Secondo Deloire, sono inoltre "pesanti" le responsabilità dei social network, che fungono da cassa di risonanza all'odio anti-reporter. Una situazione, ha messo in guardia Deloire, che "legittima le violenze indebolendo ogni giorno di più il giornalismo e con esso la democrazia". Nel 2018 è cresciuto anche il numero di operatori dei media detenuti: 348 contro 326 nel 2017. Come lo scorso anno, oltre la metà si concentra in cinque Paesi: Iran, Arabia Saudita, Egitto, Turchia e Cina. Quest'ultima resta la prima prigione al mondo con 60 giornalisti dietro alle sbarre. Quanto al numero di ostaggi a livello globale, è anch'esso in crescita, dell'11%, con 60 reporter finiti tra le mani dei rapitori, incluso l'Isis, contro 53 lo scorso anno. Sui 59 trattenuti in Medio Oriente (Siria, Iraq, Yemen), 6 sono stranieri. RSF segnala infine 3 nuovi casi di giornalisti scomparsi nel 2018, due in America latina e uno in Russia. Sono molti i metodi posti in essere per “mettere a tacere” un cronista scomodo. E non sempre è necessario ricorrere all’uso della violenza. Come ha ricordato RSF, per fare ciò, sono sufficienti sequestri di materiale, perquisizioni senza mandato, o “cause civili esose”, come disse nel corso di una conferenza pubblica sull’omicidio della giornalista Daphne Caruana Galizia, il giornalista di La RepubblicaCarlo Bonini. Per questi motivi l’ONG Reporters sans Frontiérs ha lanciato un appello dove viene chiesto che “venga nominato urgentemente un rappresentante speciale per la protezione e la tutela dei giornalisti all’ONU”.

La mappa della classifica della libertà di stampa nel mondo
: rsf.org/fr/classement#

Foto © Reuters / Ibraheem Abu Mustafa

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