di Karim El Sadi
I due magistrati intervistati oggi da "Il Fatto Quotidiano"
“Provenzano è rimasto al 41-bis fino alla morte, ma ha ricevuto fino alla fine le migliori cure da parte degli specialisti degli ospedali civili in cui è stato ricoverato. Tra l'altro presso l’ospedale San Paolo di Milano venne per lui approntato un reparto protetto dove rimase ricoverato dal 9 aprile 2014 sino al 13 luglio 2016”. A dirlo è il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo. Intervistato da "Il Fatto Quotidiano", il magistrato ha commentato la sentenza della Corte europea dei diritti umani che ha condannato l'Italia rispetto la decisione di continuare ad applicare il regime duro carcerario del 41bis a Bernardo Provenzano, dal 23 marzo 2016 fino alla morte del boss mafioso. Bernardo Provenzano, detto ”Binnu u tratturi” per via della sua violenza brutale, aveva passato gli ultimi anni della sua vita nel reparto ospedaliero del carcere San Vittore di Milano dove stava scontando 20 ergastoli ed era uno degli imputati del cosiddetto processo Trattativa Stato-Mafia. Processo, questo, che vedeva Nino Di Matteo come pubblico ministero, e quindi diretto interessato delle condizioni fisiche e mentali del boss corleonese. La cui posizione venne successivamente stralciata dal gup di Palermo, Piergiorgio Morosini, a causa delle gravi condizioni di salute nel quale riversava. “Fino a quel momento - ha ricordato Di Matteo - la Procura di Palermo e la Direzione nazionale antimafia avevano sempre fornito pareri favorevoli alla proroga del 41-bis, ma di sei mesi in sei mesi abbiamo continuato a monitorare le sue condizioni di salute, in particolar modo sotto il profilo della consapevolezza, e cioè della sua capacità di partecipare in modo cosciente alle udienze”. In pratica “Per lui restavano in vigore le restrizioni previste dalla norma, e cioè l’impossibilità di avere contatti con soggetti diversi dai suoi familiari, ma ciò non ha influito sull’efficacia delle cure, affidate ai migliori specialisti degli ospedali civili che le sue patologie richiedevano. Il regime di carcere duro, in sostanza, - ha sostenuto - non ha inciso in alcun modo sull’evoluzione della malattia e sulla sua morte”. Non sarebbe la prima volta che l'Europa si pronuncia su imputati condannati per associazione o concorso esterno in associazione mafiosa. Lo ha ricordato il giornalista de "Il Fatto Quotidiano" Giuseppe Lo Bianco durante l'intervista all'ex magistrato Gian Carlo Caselli, riferendosi al Caso Contrada. Quando la CEDU (Corte europea dei diritti umani) dichiarò che vi fu una violazione da parte dello Stato italiano del principio di legalità penale in relazione alla condanna dell'ex 007 per concorso esterno in associazione mafiosa. “Distinguiamo - ha detto Caselli - nel caso Contrada sono stato e continuo ad essere estremamente critico, ancora non capisco come si sia potuto dire che il reato di concorso esterno non esisteva”. L'ex procuratore della Repubblica tiene comunque a sottolineare l'importanza della giustizia europea la quale “sta difendendo in Polonia lo Stato di diritto contro i tentativi di licenziare i giudici scomodi e sostituirli con altri di gradimento del potere con un evidente rischio di deriva della Polonia in senso autoritario. In questo caso non c’è dubbio che la giustizia europea vada apprezzata e ringraziata. Ogni sentenza è storia a sé, e non può coinvolgere l’istituzione”. E riguardo la decisione della Corte di Strasburgo ha affermato: “Penso che dobbiamo attendere le motivazioni per avere un quadro completo... prima di sparare sull’Europa come qualcuno fa fin da subito”. Anche Di Matteo non è entrato nel merito della decisione della Corte di Strasburgo, tuttavia ha auspicato che “i tentativi di strumentalizzare la vicenda accostando il 41-bis alla sua malattia o alla sua morte (di Bernardo Provenzano, ndr) vengano bloccati sul nascere”.
Foto © Imagoeconomica
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