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kuciak jan e kusnirova martina c vladimir simicek AFPLa Dda di Reggio Calabria aveva già allertato la Slovacchia sugli arrestati
di AMDuemila
Alle prime luci dell'alba di ieri la polizia slovacca ha arrestato sette italiani coinvolti nell'ambito dell'inchiesta sull'omicidio del giornalista slovacco, Jan Kuciak, ucciso con la sua fidanzata, Martina Kusnirova, qualche giorno fa. Le manette sono scattate per Antonino Vadalà, 42 anni, imprenditore al centro del reportage del giovanissimo giornalista che scriveva degli affari della criminalità organizzata italiana con i fondi europei in Slovacchia; Bruno Vadalà 40 anni, fratello di Antonino; Sebastiano Vadalà, un altro parente; Diego Rodà, 62 anni; Antonio Rodà, 58 anni; Pietro Catroppa, 54 anni e Pietro Catroppa di 26 anni.
I nuovi fermi si aggiungo a quelli di tre spacciatori che, in un'intercettazione, parlano di “prendere le armi per andare a Velkà Maca”, il paese dove abitava Kuciak. Oltre a questo, l'assistente del premier Robert Fico, Maria Troskova e il segretario del consiglio di sicurezza Vilian Jasan si sono dimessi dai loro incarchi, poiché secondo l'inchiesta del giornalista avrebbero avuto rapporti con l'imprenditore calabrese in odor di mafia. “Si sta facendo abuso dei nostri nomi nella lotta contro il primo ministro Fico” hanno motivato i due. Anche il ministro della Cultura slovacco, Marek Madaric si è dimesso, solo che le sue dimissioni vertono su altre motivazioni. “Dopo quello che è successo - ha detto il ministro - non posso rimanere calmo seduto nella mia poltrona”.
Adesso, la polizia sta provvedendo agli interrogatori, ma gli arrestati non hanno rilasciato ancora alcuna dichiarazione.
La pista più accreditata dagli investigatori è quella della 'ndrangheta calabrese. Durante la conferenza stampa dell'operazione a Kosice, il capo della polizia slovacca Tibor Gaspar ha escluso la connessione dell'omicidio con la pista della droga, anche se, secondo il Centro delle indagini su corruzione e criminalità organizzata (Occrp), con cui il giornalista collaborava, la polizia italiana sospettava Vadalà di traffico di stupefacenti. Inoltre, Gaspar ha parlato di una nuova pista, secondo cui l'omicidio di Kuciak potrebbe anche essere legato alla sua inchiesta su corruzione nella Corte suprema slovacca. “Stiamo collaborando con l'Fbi e con quattro esperti internazionali” ha concluso Gaspar. Alle indagini prendono parte anche la polizia italiana con l'aiuto dell'Europol e della Scotland Yard.

L'ultimo articolo del giornalista
Il giornalista nel suo ultimo articolo, pubblicato ieri dopo la sua morte, scriveva di quattro famiglie calabresi legate alla 'ndrangheta (Vadalà, Rodà, Cinnante e Catroppa) che avevano le mani in pasta in vari ambiti dei settori economici slovacchi, come agricoltura, fotovoltaico, biogas e immobiliare.
Dall'inchiesta giornalistica emergerebbe un sistema di favori e affari tra persone vicine al governo e imprenditori dalle attività sospette. Ciò che faceva gola erano i fondi europei per l'agricoltura e le energie rinnovabili: 2 miliardi Ue per lo sviluppo rurale (2014-2020), 6 milioni per le energie rinnovabili e oltre 8 milioni di euro “dissolti” nelle mani delle famiglie nel 2015-2016.

L'allerta della Procura di Reggio Calabria
Le famiglie calabresi investite dall'inchiesta del giornalista sono ben note ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Anche se non interessate direttamente da inchieste giudiziarie negli ultimi anni, non sono volti nuovi e nomi sconosciuti. Infatti la Procura antimafia di Reggio Calabria da tempo aveva comunicato agli organi di polizia internazionale e alla polizia nazionale slovacca la necessità di monitorare le attività degli italiani fermati ieri. Secondo il Procuratore reggino Gaetano Paci, il sospetto “era nato focalizzando i movimenti degli arrestati, tutti appartenenti e collegati a famiglie mafiose di Bova Marina e di Africo Nuovo, per l'improvviso esplodere di posizioni di grande valore economico ed imprenditoriale in Slovacchia di cui erano divenuti titolari”. All'Ansa, Paci ha anche detto che “l'affermarsi del 'modello 'Ndrangheta', capace di instaurare relazioni collusive con segmenti dell'establishment politico e amministrativo locale e condizionare a proprio vantaggio in maniera distorsiva e determinante in senso negativo i poteri locali nei territori in cui uomini della 'ndrangheta si riposizionano”. Un sistema sul quale il giornalista aveva puntato gli occhi.
Antonino Vadalà agli inizi degli anni 2000 è stato condannato per l'aiuto prestato ad un latitante di 'ndrangheta, mentre gli altri non risultano essere stati coinvolti in inchieste. Vadalà, in particolare, è anche imparentato col presunto boss dell'omonima cosca Domenico, detto "Lupo di notte". I Vadalà, indicati come cosca dagli investigatori, sono dediti alle estorsioni ed al reimpiego dei capitali illeciti in attività imprenditoriali, soprattutto nel settore agricolo ed edile. La 'ndrina è stata coinvolta nell'inchiesta "Bellu lavuru" (condotta in due tranche nel 2008 e nel 2012) che portò alla luce il patto spartitorio, dopo anni di scontri, tra le cosche di 'ndrangheta della fascia ionica reggina per accaparrarsi il denaro degli appalti per i lavori di ammodernamento della statale 106 ionica. L'imprenditore calabrese insieme con il fratello Bruno ed il loro cugino Pietro Catroppa si sono trasferiti nell'Est europeo nel 2003, ma non hanno mai reciso i legami con le famiglie di origine e tornavano periodicamente in Calabria, soprattutto in estate per le vacanze o in occasione di feste e cerimonie dei familiari. Mentre Pietro Rodà, che in Slovacchia ha avviato una fiorente attività come allevatore di bestiame, lo ricordano ancora quando, in estate, a Condofuri, piccolo comune di 5.000 abitanti alle pendici dell'Aspromonte, girava per le strette strade del paese con la sua Ferrari. Un soggiorno che ha interrotto da un paio d'anni.

Relazione Dia: in Slovacchia gruppo di riciclaggio legato alla 'ndrangheta

Anche dall'ultima relazione della Direzione investigativa antimafia è emersa la presenza di interessi della 'ndrangheta in Slovacchia. "I nuovi sbocchi commerciali determinatisi a seguito della globalizzazione dei mercati - si legge nel documento - potrebbero attirare verso alcuni Paesi dell'Est europeo, tra cui la Repubblica Slovacca, le mire espansionistiche delle organizzazioni criminali di matrice italiana, sempre alla ricerca di 'mercati nuovi' per poter riciclare proventi illeciti". In particolare - emerge dalla relazione - lo scambio delle informazioni con gli investigatori slovacchi ha riguardato: "società e soggetti collegati ad un'organizzazione legata alla 'ndrangheta, dedita al riciclaggio attraverso transazioni finanziarie all'estero".

Le parole di Gratteri
E' “verosimile che dietro l'omicidio ci siano le famiglie calabresi” ha detto il Procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, ai microfoni di “6 su Radio 1”. Il magistrato ha anche spiegato come la 'ndrangheta “è radicata, non infiltrata, non solo in tutta Italia ma anche nei Paesi europei come Germania, Svizzera ma anche nell'est europeo, oltre che in Slovacchia anche in Bulgaria e in Romania. La 'ndrangheta si sta estendendo verso l'Est. Va dove c'è da gestire potere e denaro e dove ci sono da gestire opportunità. Le mafie stanno acquistando latifondi per piantare vigneti, per piantare colture, il cui fine è quello di arrivare ai contributi europei. Un fenomeno che accade in Italia ma anche fuori”. E secondo Gratteri il vero dramma è che “l'Europa non è attrezzata sul piano normativo a contrastare le mafie, in particolare la 'ndrangheta. In Europa da decenni non c'è la percezione dell'esistenza della mafia, prova ne è che gli Stati europei non vogliono attrezzarsi sul piano normativo come l'Italia. Ancora stanno discutendo se inserire nel loro ordinamento l'associazione a delinquere di stampo mafioso".
In conclusione, il Procuratore capo di Catanzaro ha detto che l'Europa dovrebbe “omologare i codici penale e di procedura penale partendo dal sistema italiano, ma non quello detentivo che non funziona in Italia. Quando si parla di Procura Europea la mia paura è che si vada all'omologazione al ribasso, perderemmo un secolo di antimafia. Griderò fino a perdere la voce contro un'omologazione al ribasso”.

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