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fragala enzo homeCollega legale conferma movente delitto, vendetta mafia
di AMDuemila
“Andai a trovare al carcere Pagliarelli un assistito di papà, Onofrio Prestigiacomo. Appena entrai in sala colloqui lui pianse e mi disse che mio padre veniva chiamato ‘l’avvocato sbirro’ e che lui era stato sbeffeggiato e minacciato in carcere. Mi disse che gli dicevano che doveva togliersi quell’avvocato che lo avrebbe spinto a parlare. Gli dissi di stare calmo, era un momento di grande confusione. Prestigiacomo venne condannato e poi collaborò con la giustizia”. Marzia Fragalà, figlia del penalista Enzo Fragalà assassinato a Palermo il 23 febbraio del 2010, aveva la voce rotta dalla commozione ma con tutta la sua determinazione non ha rinunciato a dire quanto le raccontò quel detenuto. E’ la forza di chi cerca giustizia. Chiamata a testimoniare dai pm Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco, ha ribadito quella parola, “sbirro”, che poi si ritiene essere il movente del delitto, ovvero quell’azione di Fragalà nello spingere i suoi assistiti a fare ammissioni nei processi e a collaborare con la giustizia.
L’esame è durato lo spazio di pochi minuti con le parti, pm e legali degli imputati, che decidono di acquisire le dichiarazioni rese in fase di indagine da Marzia Fragalà.
“E' una forma di rispetto per la figlia del collega", ha detto uno dei difensori degli imputati. Sono sei mafiosi sotto processo davanti alla corte d'assise di Palermo con l'accusa di omicidio aggravato.
Ad avallare la tesi dei pm vi è anche la deposizione di una collega di studio di Fragalà, l'avvocato Loredana Lo Cascio che in aula ha ricordato la vicenda che vede protagonisti due favoreggiatori del boss Nino Rotolo, uno dei quali assistito proprio da Fragalà. Quando il penalista scoprì, attraverso indagini difensive, che il cliente gli aveva mentito, usò nella difesa una lettera della moglie del capomafia da cui si evinceva il ruolo di prestanome di beni mafiosi che l'imputato aveva svolto per conto della donna e del marito. Secondo l’accusa dopo quella udienza partì la decisione del clan mafioso di punirlo.
I legali degli imputati, Francesco Arcuri e Antonino Siragusa, Salvatore Ingrassia, Antonino Abbate, Paolo Cocco e Francesco Castronovo, hanno domandato alla teste particolari su una effrazione nel garage della vittima prima del delitto, garage in cui erano contenuti archivi della cause dell'attività politica svolta da Fragalà e di un episodio di richiesta di pizzo che il penalista subì allo studio. Le difese mirano a introdurre scenari e moventi del delitto differenti rispetto a quelli prospettati dall'accusa. Durante l'esame di uno dei testimoni oculari dell'aggressione - Fragalà fu massacrato a bastonate a pochi metri dallo studio, dietro al tribunale di Palermo - il boss Antonino Abbate, che aveva contestato la decisione del presidente della corte, Sergio Gulotta, di non ammettere le domande di alcuni legali alla teste, è stato duramente bacchettato dal giudice. Il processo è stato rinviato al 9 novembre.

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