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di AMDuemila
La famiglia: “Finalmente possiamo sperare in una nuova verità”
E' una sensazione particolare quella che si prova nell'ascoltare la storia di Attilio Manca a San Donà di Piave, città che ha dato i natali al giovane urologo siciliano, poi trasferitosi con la famiglia a Barcellona Pozzo di Gotto in provincia di Messina. L'occasione, a tredici anni dalla sua morte, viene data dalla presentazione del libro di Lorenzo Baldo, "Suicidate Attilio Manca" (Imprimatur editore), che si è tenuta ieri pomeriggio al Centro culturale "Leonardo Da Vinci", organizzato dall'Associazione Nazionale Amici di Attilio Manca A.N.A.A.M. con il patrocinio della Città di San Donà di Piave.
Accanto all'autore, moderati da Elisa Rossi, sono intervenuti il fratello dell'urologo, Gianluca Manca, la madre Angelina (in collegamento telefonico), Elisabetta Bustreo, l'attrice Annalisa Insardà (che ha letto diversi passi del libro) e Giorgio Bongiovanni (direttore di ANTIMAFIADuemila).
Di fronte ad una platea attenta sono state ripercorse tutte le anomalie del caso a cominciare dai primi rilevamenti del 12 febbraio 2004 quando a Viterbo, in un appartamento di via Monteverdi, venne ritrovato il cadavere di Attilio. E' proprio Lorenzo Baldo, nel suo intervento, a mettere in fila tutti quei “pezzi mancanti” che avvolgono di mistero l'intera vicenda. Dalle testimonianze ignorate degli amici di Attilio Manca, che assicurano come l'urologo fosse tutt'altro che un tossicodipendente, alle impronte mancanti sulle siringhe ritrovate nel luogo del delitto. Poi ancora le telefonate scomparse nei tabulati, i mancati esiti degli esami tricologici, la non considerazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e tanto altro ancora.


“La Procura di Viterbo ha voluto prendere dall'inizio una direzione senza tenere conto di tante prove - ha ricordato Baldo - Attilio Manca non era un tossico. E la sua storia si interseca con quella di Bernardo Provenzano, operato in Francia per un tumore alla prostata. Non ci sono solo i mancati rilievi di impronte digitali sulle siringhe. Ci sono quei buchi nel braccio sinistro quando lui era un mancino puro ed operava solo con la sinistra. C'è il vuoto investigativo su quel che accadde l'11 febbraio, giorno in cui Attilio sparisce senza però annullare importanti appuntamenti. Ci sono i contrasti sull'autopsia. C'è l'impronta di Ugo Manca nel bagno dell'abitazione dell'urologo che a parere della Procura avrebbe resistito al tempo ed alle pulizie di Natale dal dicembre 2003. Oggi grazie alle dichiarazioni di Giuseppe Setola, dei collaboratori di giustizia Stefano Lo Verso, Carmelo D'Amico e Giuseppe Campo c'è una nuova speranza che si arrivi alla verità”. Alle parole di speranza dell'autore si sono affiancate quelle dei familiari di Attilio, Angelina e Gianluca. “La sensazione che si ha dopo tredici anni è che dietro a questa morte non vi sia stata solo la mafia - hanno detto entrambi - ma c'è stato qualcosa di più”. “In questi anni - ha ricordato la madre - non abbiamo mai smesso di lottare e non smetteremo ora. La forza la troviamo nell'indignazione ma anche nella volontà di far conoscere questa storia per far sì che non vi siano altri Attilio. I giovani, soprattutto, devono sapere e capire come difendersi nel loro cammino da certi pericoli”.
E' Gianluca Manca a ricordare le principali difficoltà di questi anni con la famiglia che continuamente si è scontrata con l'isolamento ed un muro di gomma che non voleva far sì che la verità venisse alla luce: “C'è stato un grande isolamento. Ogni anno alle commemorazioni a Barcellona Pozzo di Gotto vengono tanti cittadini delle città limitrofe, da Palermo e da altre parti d'Italia. Ma mancano quelli del nostro Comune. Non perché sono disonesti. Ma perché c'è una minoranza disonesta che condiziona tutti gli altri. Poi c'è il silenzio istituzionale. Quando chiedemmo al Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso di aiutarci ci fu risposto che se avessimo trovato le prove che Attilio era a Marsiglia alla fine di ottobre 2003 ci avrebbe aiutato. Io rispndo che se avessimo avuto quelle prove, probabilmente non saremmo andati a chiedere aiuto a lui”. E poi ancora: “Noi non abbiamo ancora una verità giuridica ma oggi abbiamo tante prove. E io credo che mio fratello è stato ucciso in nome di una trattativa Stato-mafia. Uno Stato che ha permesso a Provenzano, in latitanza, di andarsi ad operare in un Paese straniero per poi rientrare e curarsi nel Lazio. Oggi aspettiamo una nuova verità ed abbiamo la soddisfazione di un fascicolo aperto dalla Procura di Roma per omicidio volontario, anche se è ancora contro ignoti”.



Anche il direttore di ANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni ha preso la parola: Attilio Manca è stato ucciso per impedirgli di essere testimone di quanto aveva visto. Probabilmente non solo aveva capito che quell'uomo che curava altri non era che Provenzano. Ma avrebbe anche potuto aver riconosciuto qualcuno che lo accompagnava. Magari qualche uomo di Stato. Per questo è stato ucciso. Immaginate se oggi Attilio Manca, in vita, fosse stato testimone al processo in corso a Palermo. La Corte avrebbe dovuto tener conto di una testimonianza di rilievo come quella di un medico. A questo poi si aggiunge la modalità con cui è stato ucciso. Un lavoro degno di certi apparati”. E poi ancora sulla mancata risposta da parte delle Istituzioni: “Non tutti i magistrati, purtroppo, hanno lo stesso spirito nella ricerca di certe verità. Una figura come quella di Grasso, oggi Presidente del Senato e che poco tempo fa ha detto che Cosa nostra è stata braccio armato per uccidere il suo amico Giovanni Falcone, non può rispondere in quella maniera ad una famiglia che chiede verità e giustizia”. Verità che deve essere pretesa da ogni cittadino, da ogni rappresentante delle Istituzioni, di ogni Comune, come quello di San Donà di Piave. Ed è da qui che riparte il grido di giustizia per Attilio, un altro martire di Stato.

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