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martello giustizia 9di AMDuemila
Il gup Guglielmo Nicastro ha condannato a trent'anni ciascuno Fabio Chianchiano e Stefano Biondo per l'omicidio di Franco Mazzè, il pregiudicato ucciso allo Zen il 29 marzo del 2015.
Erano accusati di omicidio, detenzione illegale di armi e di avere sparato contro l'abitazione di Michele Moceo, amico di Mazzè che doveva essere il secondo obiettivo del commando. Per favoreggiamento sono stati condannati Rosario Sgarlata (2 anni) e Claudio Viviano (1 anno e 4 mesi). Si sono costituiti parte civile la moglie e i due figli minorenni, con l'assistenza dell'avvocato Maurilio Panci, e gli altri due figli della vittima: Paolo Mazzè, difeso da Ezio De Benedictis, e Antonietta, assistita da Dimitri Di Giorgio. Inoltre il giudice ha stabilito di trasmettere gli atti alla Procura per valutare l'ipotesi di falsa testimonianza da contestare al venditore ambulante Pasquale Romito. Ha dunque retto l’impianto accusatorio del pm Geri Ferrara. Il movente dell’omicidio sarebbe frutto di vecchi dissapori sfociati nella lite in un bar fra Chianchiano e uno dei fratelli Mazzè e poi all'agguato. Le telecamere del locale ripresero la scena. Qualche ora dopo Mazzè fu affiancato da un'auto blu con due persone a bordo che scesero e gli spararono. Secondo la ricostruzione degli inquirenti a sparare contro Mazzè fu Chianchiano, mentre Biondo lo ha accompagnato in auto, salvo poi condividere il tentativo di uccidere il “figlioccio” della vittima, Michele Moceo, scampato alla morte per una manciata di secondi.
Importantissimo per le indagini il contributo di uno dei gigli di Mazzé che, con un registratore in tasca, ha compiuto delle vere e proprie indagini sugli assassini del padre. Pian piano ha registrato varie testimonianze per poi consegnare tutto alla sezione Omicidi della squadra mobile. Durante il processo persino l’imputato principale, Chianchiano, ha “confessato” in parte il fatto sostenendo di essersi solo difeso mentre, in realtà, si tritò di una vera spedizione punitiva.

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