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BRESCELLO SCIOLTO PER MAFIA: COFFRINI FA RICORSO
“Abbiamo presentato un’istanza per poter ottenere tutti gli atti relativi allo scioglimento, che ci sono stati negati nonostante una richiesta d’accesso agli atti alla quale non abbiamo mai avuto riscontro. Ma non abbiamo tutti gli atti relativi all’attività d’indagine che è stata compiuta. Senza questi documenti, ci difendiamo da questo procedimento amministrativo al buio. Specifico amministrativo, perché talvolta si dimentica che noi non siamo indagati e non abbiamo ricevuto alcun avviso di garanzia”. Marcello Coffrini torna in pista, chiedendo l’accesso agli atti in seguito allo scioglimento del comune di Brescello per infiltrazioni mafiose. Ma non finisce qui.  “Abbiamo impugnato il provvedimento di scioglimento del Comune richiedendone l’annullamento”. Il ricorso al Tar del Lazio viene firmato anche dagli ex assessori Gabriele Gemma e Giuditta Carpi e dall’ex consigliere comunale Susanna Dall’Aglio. Non si capisce se sia un atto di accusa o di difesa. Le motivazioni di tale gesto? Coffrini afferma sia un mezzo attraverso il quale difendersi dal procedimento amministrative. E’ però utile ricordare che lo scioglimento del Comune di Brescello ha comportato, tra le altre cose, anche l’incandidabilità degli ex amministratori alle prossime elezioni. Ma Coffrini precisa subito: “Non mi interessa molto questo aspetto ma è comunque la limitazione di un diritto”. Così come è utile ricordare alcune delle motivazioni per cui il comune amministrato da Coffrini sia stato sciolto. Nella relazione della commissione d’accesso si fa riferimento a diversi episodi ritenuti indicativi del condizionamento posto in essere dal clan della ’ndrangheta Grandi Aracri. Tra questi la delocalizzazione agli inizi degli anni 2000 che trasferì diritti edificatori residenziali verso via Pirandello, dove sorse poi “Cutrello”, luogo di insediamento del clan Grande Aracri. Ci sono poi altre operazioni in edilizia, come la costruzione del supermercato Famila di Brescello. La delibera con la quale il Governo ha sciolto Brescello ha accolto l’assunto che ci sono state «forme di condizionamento tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati».

Per comprendere l’importanza della testimonianza del maresciallo Calì e del Comandante Andrea Leo, si può partire presentando alcuni personaggi. Adesso faremo solamente i nomi, strada facendo spiegheremo anche chi sono e i loro collegamenti. Il primo nome da fare è senza dubbio Romolo Villirillo, la cui caratura criminale è già stata descritta da Andrea Leo. Il Maresciallo Calì focalizza la propria attenzione sul ruolo di “collettore” svolto da Romolo Villirillo tra i vari personaggi che operano soprattutto nella zona piacentina.

NICOLINO GRANDE ARACRI, IL BOSS
Capo indiscusso della cosca cutrese e punto di riferimento anche per la cosca emiliana. Il Comandante Leo lo descrive come una figura “sui generis”: “ Il suo nome viene usato come biglietto di presentazione, ma molte delle attività svolte, come quelle di recupero crediti non hanno nulla a che fare con la formazione di Cutro e spesso non vengono neanche comunicate a Nicolino Grande Aracri. Questo nome caratterizza più il gruppo, che il capo stesso”.

ROMOLO VILLIRILLO, UOMO DI GRANDE ARACRI IN EMILIA ROMAGNA
 “Vergine”, proprio come dicono gli imputati nelle intercettazioni. Ovvero, fino al luglio del 2011, totalmente incensurato. Dunque un ottimo jolly da utilizzare per svolgere attività illecite senza attirare l’attenzione delle forze dell’ordine che invece si sarebbero insospettite delle azioni degli altri sodali, già con precedenti penali. Ritenuto dagli inquirenti come “promotore, dirigente ed organizzatore dell’attività dell’associazione”, Villirillo porta avanti numerose attività dell’organizzazione emiliana, procede al reinvestimento di denaro direttamente proveniente da Nicolino Grande Aracri.  Coordina il gruppo che gravita nella zona di Castelvetro Piacentino, e mantiene i rapporti con la casa madre di Cutro. Nelle carte è possibile leggere come Villirillo  garantisse “il collegamento tra i partecipanti all’associazione emiliana, individuando le linee di intervento del gruppo e le azioni di interesse comune, garantendo il rispetto delle gerarchie,  risolvendo i conflitti interni, decidendo le azioni di ritorsioni nei confronti dei partecipi che contravvenivano alle regole, pretendendo ed ottenendo obbedienza dagli appartenenti al sodalizio; mantenendo rapporti con imprenditori avvicinatisi alla cosca, e coordinando le attività compiute insieme a costoro. Organizza inoltre la raccolta dei voti da destinare ai politici vicini alla cosca (come per il caso delle  elezioni di Salsomaggiore del 2006 e Parma del 2007)”.

FRANCESCO LAMANNA, UOMO DI GRANDE ARACRI A PIACENZA
Mantiene un prestigio criminale ‘ndranghetistico unico nel suo genere in Emilia, proprio per lo strettissimo legame che ha con Nicolino Grande Aracri, aggiornandolo sulle attività in corso e sulla messa a disposizione di denaro, anche della stessa cosca cutrese, reinvestito negli affari in Emilia.  

NICOLINO SARCONE, UOMO DI GRANDE ARACRI A REGGIO EMILIA
Scrivono gli inquirenti: “Rappresenta internamente ed esternamente l’associazione nei rapporti di natura criminale ed in quelli di difesa, anche pubblica, dell’attività posta in essere dai singoli partecipi e dall’associazione (in particolare a seguito dell’emissione di provvedimenti interdittivi antimafia da parte del Prefetto di Reggio Emilia). Stringe un patto con politici locali al fine di effettuare pressioni sulle istituzioni. Mantiene rapporti con imprenditori e professionisti avvicinatisi alla cosca. Si occupa, per conto del sodalizio, delle elezioni per la carica di Sindaco di Bibbiano del 2009”.

SALVATORE MUTO, BRACCIO DESTRO DI LAMANNA
Nelle carte dell’inchiesta si legge: “E’ costantemente a disposizione di Francesco Lamanna di cui è uomo di fiducia. Utilizza in modo costante il rapporto con gli altri associati come forma di allargamento della propria influenza, capacità affaristica e di inserimento nel sistema economico emiliano. E’ un punto di riferimento degli altri sodali di Castelvetro Piacentino, in particolare per i fratelli Vetere e per Francesco Lerose”.

PASQUALE BATTAGLIA, BRACCIO DESTRO DI VILLIRILLO
E’ a totale disposizione di Romolo Villirillo, per il quale svolge di norma anche la funzione di autista e di uomo di fiducia, e dopo l’estate 2011 (a seguito del suo arresto) è a disposizione diretta anche di Antonio Gualtieri. Riprenderà i rapporti con Villirillo subito dopo la sua scarcerazione, nell’ottobre del 2012, aiutandolo nell’attività di recupero del denaro necessario per estinguere il debito con Nicolino Grande Aracri.

I FRATELLI ROSARIO E PIERINO VETERE
Vetere Pierino è, insieme al fratello Rosario, l’uomo di Romolo Villirillo a Castelvetro Piacentino. Entrambi svolgono la funzione di collegamento tra Maurizio Cavedo, Romolo Villirillo e Vincenzo Migale.  

MAURIZIO CAVEDO
All’epoca dei fatti era un Sovrintendente della Polizia di Stato, in servizio presso la Polizia Stradale di Cremona. Scrivono gli inquirenti: “Partecipa mettendosi a disposizione del sodalizio criminale, mantenendo assidui rapporti con Villirillo, i fratelli Vetere, Migale, Lerose, Mercadante, Battaglia ed è costantemente in contatto con gli altri associati. Commette una serie di reati espressivi della consapevole e volontaria partecipazione all’associazione di stampo mafioso, della osservanza delle sue gerarchie e regole, della fedeltà alle direttive ricevute, del perseguimento dell’interesse dell’organizzazione”. Al momento sta scontando una condanna di dieci anni in Venezuela per traffico di droga.

VINCENZO MIGALE
Emblematico sarà il suo ruolo in seguito ad una vicenda che lo vede coinvolto con Maurizio Cavedo, il quale gli deve una somma di denaro. In quella circostanza, infatti, Migale accetta e riconosce le decisioni prese da Villirillo e Lamanna, identificandoli come autorità.

ANTONIO GUALTIERI
Mantiene uno strettissimo rapporto con Francesco Lamanna e con tutti gli altri capi dell’organizzazione emiliana, in particolare al fine di procedere all’individuazione ed al recupero del denaro di spettanza della cosca Grande Aracri di Cutro, di cui si era impossessato Villirillo. Individua  nuove zone di interesse operativo e settori di intervento diretto anche fuori dall’Emilia (coinvolgendo in tale attività professionisti esterni alla cosca ed in particolare Roberta Tattini, Fulvio Stefanelli e Giovanni Summo). Aggiorna costantemente Nicolino Grande Aracri sugli affari emiliani, subentrando parzialmente a Romolo Villirillo.

Presentati questi personaggi, possiamo entrare nel vivo delle deposizioni di Andrea Leo e Camillo Calì.

LA MAFIA IN EMILIA
Andrea Leo è stato il primo teste ascoltato durante il processo. Ex comandante dei Carabinieri di Fiorenzuola, Leo, adesso al ROS di Catanzaro, non ha solamente parlato delle indagini svolte dalla sua squadra, e da cui è partito il procedimento penale, ma ha descritto anche i caratteri peculiari della 'ndrangheta in Emilia, le cui intimidazioni “non sono come normalmente avviene, dirette a chiedere il pizzo, ma ad appoggiare le finalità dell'organizzazione del territorio. Gli interessi dell’organizzazione criminale emiliana non hanno avuto come obiettivo i settori classici dell'economia (trasporti, edilizia, movimento terra) ma hanno avuto come obiettivo principale, quello di stringere rapporti con istituzioni, faccendieri, forze dell'ordine e politici, allo scopo di agevolare le strategie economiche”. Il gruppo emiliano è unitario ma anche svincolato dal territorio: molti personaggi si muovono oltre il territorio di competenza, tra le province di Modena, Reggio, Parma, Piacenza e più marginalmente nel Cremonese, Mantovano, Veronese. Come, quando, dove e perché iniziano le prime indagini? Prima di rispondere a queste domande, è utile avere ben chiaro il quadro all’interno del quale operava l’organizzazione ‘ndranghetista. Andrea Leo, in aula, parla infatti di 124 atti intimidatori, da Modena a Piacenza, tra il gennaio del 2010 e l’ottobre del 2012. Danneggiamenti, bottiglie incendiarie, buste contenenti proiettili, un cuore di suino infilzato da una siringa, auto a fuoco, minacce a mano armata, luoghi in cui punire chi parla troppo “infilandolo in un sacco con la testa tutta dentro e la lingua fuori”: è questo il metodo utilizzato dagli ndranghetisti per far capire chi comandava. Atti intimidatori aventi come bersaglio soprattutto i beni di imprenditori di origine calabrese che operavano in Emilia. Il Carabiniere descrive dunque “un clima di intimidazione e grave compromissione della sicurezza in quel periodo”, a cui si accompagnava “una omertà nelle denunce”. Le vittime di tali atti intimidatori, infatti, “non hanno mai ammesso di avere dei sospetti sui responsabili o sul loro movente”.

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