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Indice articoli

aemilia fo effdi Sara Donatelli
L'Emilia Romagna è terra di mafia. Lo dimostra il processo, le deposizioni dei Carabinieri e ciò che sta avvenendo a Brescello e nella procura reggiana.

IL TRASFERIMENTO DI CARUSO
Sono state settimane molto intense per la procura di Reggio Emilia, e non solo. La commissione incarichi direttivi del Consiglio Superiore della Magistratura ha infatti proposto all’unanimità Francesco Caruso, attuale presidente del Tribunale reggiano, alla guida del Tribunale di Bologna (posto vacante in seguito al pensionamento di Francesco Scutellari). Cosa accade adesso? Innanzitutto, come detto, finora si è espressa a favore del trasferimento solo la quinta commissione, e lo ha fatto all'unanimità. Adesso bisogna attendere non solo il plenum del Csm che dovrà ratificare l’assegnazione, ma anche il parere del Ministro della Giustizia. Si tratta senza dubbio di una promozione, considerando il fatto che quello di Bologna sia un tribunale distrettuale. Ma una promozione che arriva in un momento delicatissimo, soprattutto per il futuro del maxi processo Aemilia, il cui collegio giudicante è presieduto proprio da Caruso (con a latere i giudici Cristina Beretti e Andrea Rat). Si fa sempre più concreto dunque il rischio che il procedimento penale possa ripartire da zero. “Sono disponibile a portare a termine i due incarichi proseguendo il processo Aemilia a Reggio anche dopo l’insediamento a Bologna”, dice tuttavia Caruso. Per poter procedere verso tale direzione (quella del doppio incarico di Caruso) serve il consenso delle parti. Se però gli avvocati difensori dovessero richiedere il cambio, la decisione spetterà alla Corte d’Appello. Se infine, tale richiesta non dovesse essere accettata, il dibattimento del processo dovrà ripartire da zero. Un processo, ricordiamolo, per cui Caruso ha impegnato innumerevoli forze e risorse, esponendosi in prima persona affinché potesse essere celebrato proprio nella città di Reggio Emilia, e non a Firenze (rischio che nei primi mesi dell’anno si fece realmente concreto). Molto tranquillo appare invece l’avvocato Noris Bucchi, presidente della Camera penale di Reggio, organo che rappresenta gli avvocati penalisti della provincia di Reggio Emilia: “Meglio cambiare subito visto che siamo all’inizio di un lungo processo, invece che attendere. Se fossimo in una fase intermedia dell’istruttoria dibattimentale ci sarebbe il rischio di ricominciare tutto da capo, con notevole perdita di tempo e di energie. Essendo ancora in fase embrionale e avendo sentito per ora pochissimi testimoni, possiamo dire che il ritardo sarà certamente minore. Se si riparte verranno sentiti nuovamente i testimoni già ascoltati e torneremo indietro di poche settimane. Nessun dramma se cambiamo in questa fase”. Di parere opposto, invece, alcuni esponenti del Movimento 5 Stelle (Maria Edera Spadoni, Luigi Gaetti, Giulia Sarti, Michele Dell’Orco e Vittorio Ferraresi) che hanno firmato un appello affinché Caruso possa mantenere il suo ruolo di presidente del collegio giudicante del processo Aemilia. Il M5S ha infatti esortato il Presidente della Corte d'appello di Bologna a confermare il doppio incarico di Caruso. “Il processo Aemilia è un processo importantissimo e delicatissimo che sferra un duro colpo al cuore della ‘ndrangheta e al suo radicamento nel nord d’Italia. Dobbiamo assolutamente fare in modo che esso proceda nel solco già tracciato, senza dover subire grandi scossoni e rallentamenti nell’assetto della Corte e nei tempi di realizzazione.  Nella completa autonomia della magistratura, siamo fiduciosi che il nostro pubblico appello e la volontà espressa dallo stesso Caruso siano prese seriamente in considerazione".

UN ARSENALE DI ARMI SEQUESTRATO A STECCATO DI CUTRO
Un fucile d'assalto Kalashnikov, quattro fucili (tra cui una carabina da caccia grossa), sette pistole semiautomatiche calibro 9 mm nuove e con matricola abrasa, oltre 500 cartucce di vario calibro. E’ questo l’arsenale sequestrato dai carabinieri del Comando provinciale di Crotone a Steccato di Cutro, all'interno della canna fumaria dell’abitazione  di un insospettabile imbianchino incensurato, il 41enne Leonardo Procopio. Sull’uomo, arrestato per ricettazione, detenzione illegale di armi clandestine e da guerra si concentrano adesso le indagini degli inquirenti che però, durante la conferenza stampa, non hanno nascosto la propria preoccupazione: “La scoperta di queste armi è un segnale di allarme, anche se ogni ipotesi è possibile e noi stiamo lavorando per capire a cosa servivano e per conto di chi erano state nascoste", ha detto il comandante provinciale dei carabinieri di Crotone, il Colonnello Salvatore Gagliano. L’ipotesi investigativa fa infatti riferimento ad un eventuale scontro tra cosche in una zona caldissima come quella di Cutro, in cui domina il clan retto dal boss Nicolino Grande Aracri ma che negli ultimi anni è stato decimato a causa di maxi operazioni come Aemilia e Kyterion. Questi fatti avrebbero dunque generato un vero e proprio vuoto di potere, e i clan usciti perdenti dalla guerra contro la cosca Grande Aracri potrebbero approfittare di questa situazione per tornare a farsi avanti. Da non sottovalutare nemmeno il fatto che si tratta del secondo sequestro di armi nella stessa zona, nel giro di pochi mesi. Le armi sono adesso poste sotto analisi da parte dei  RIS di Messina che dovranno stabilirne la provenienza e l’eventuale utilizzo pregresso.

ELEZIONI A CUTRO: TRASFERTA A REGGIO EMILIA
La storia si ripete, e quel legame strettissimo tra Cutro e Reggio Emilia diventa ancora più evidente proprio in periodo di elezioni. Uno scenario conosciuto: nel 2009, infatti, molti candidati reggiani si recarono a Cutro. Adesso si cambia direzione: pochi giorni prima le elezioni amministrative a Cutro, è stato il candidato sindaco, Antonio Lorenzano a recarsi a Reggio Emilia per confrontarsi con la comunità cutrese presente nel reggiano. Lorenzano, non dimentichiamolo, è un ex assessore della giunta Migale, commissariata nel marzo 2015 dopo le dimissioni di nove consiglieri. Insieme a lui, Reggio Emilia ha ospitato anche Pietro Migale, figlio dell’ex sindaco Salvatore e a sua volta candidato nella lista, Bruno Galdy e Giuseppe Muto, figlio dell’ex consigliere provinciale e imprenditore Ferdinando. Edilizia, turismo, economia: sono questi i punti toccati durante l’incontro. Ma di mafia guai a parlarne. Lorenzano, anzi, ha detto: “Non si può strumentalizzare una comunità perché c’è una percentuale minima che ha fatto altre scelte di vita, che noi condanniamo – aggiunge – noi siamo in trincea con questi ragazzi. Non è possibile che una intera comunità storicamente laboriosa, che ha dato lustro non solo a Cutro, ma anche alla crescita di Reggio Emilia, venga discriminata in questo modo. Il malaffare esiste a Cutro come a Reggio o a Milano e in tutte le parti del mondo”. Tra baciamano ed abbracci vari, i candidati hanno poi fatto ritorno a Cutro.


 

BRESCELLO SCIOLTO PER MAFIA: COFFRINI FA RICORSO
“Abbiamo presentato un’istanza per poter ottenere tutti gli atti relativi allo scioglimento, che ci sono stati negati nonostante una richiesta d’accesso agli atti alla quale non abbiamo mai avuto riscontro. Ma non abbiamo tutti gli atti relativi all’attività d’indagine che è stata compiuta. Senza questi documenti, ci difendiamo da questo procedimento amministrativo al buio. Specifico amministrativo, perché talvolta si dimentica che noi non siamo indagati e non abbiamo ricevuto alcun avviso di garanzia”. Marcello Coffrini torna in pista, chiedendo l’accesso agli atti in seguito allo scioglimento del comune di Brescello per infiltrazioni mafiose. Ma non finisce qui.  “Abbiamo impugnato il provvedimento di scioglimento del Comune richiedendone l’annullamento”. Il ricorso al Tar del Lazio viene firmato anche dagli ex assessori Gabriele Gemma e Giuditta Carpi e dall’ex consigliere comunale Susanna Dall’Aglio. Non si capisce se sia un atto di accusa o di difesa. Le motivazioni di tale gesto? Coffrini afferma sia un mezzo attraverso il quale difendersi dal procedimento amministrative. E’ però utile ricordare che lo scioglimento del Comune di Brescello ha comportato, tra le altre cose, anche l’incandidabilità degli ex amministratori alle prossime elezioni. Ma Coffrini precisa subito: “Non mi interessa molto questo aspetto ma è comunque la limitazione di un diritto”. Così come è utile ricordare alcune delle motivazioni per cui il comune amministrato da Coffrini sia stato sciolto. Nella relazione della commissione d’accesso si fa riferimento a diversi episodi ritenuti indicativi del condizionamento posto in essere dal clan della ’ndrangheta Grandi Aracri. Tra questi la delocalizzazione agli inizi degli anni 2000 che trasferì diritti edificatori residenziali verso via Pirandello, dove sorse poi “Cutrello”, luogo di insediamento del clan Grande Aracri. Ci sono poi altre operazioni in edilizia, come la costruzione del supermercato Famila di Brescello. La delibera con la quale il Governo ha sciolto Brescello ha accolto l’assunto che ci sono state «forme di condizionamento tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati».

Per comprendere l’importanza della testimonianza del maresciallo Calì e del Comandante Andrea Leo, si può partire presentando alcuni personaggi. Adesso faremo solamente i nomi, strada facendo spiegheremo anche chi sono e i loro collegamenti. Il primo nome da fare è senza dubbio Romolo Villirillo, la cui caratura criminale è già stata descritta da Andrea Leo. Il Maresciallo Calì focalizza la propria attenzione sul ruolo di “collettore” svolto da Romolo Villirillo tra i vari personaggi che operano soprattutto nella zona piacentina.

NICOLINO GRANDE ARACRI, IL BOSS
Capo indiscusso della cosca cutrese e punto di riferimento anche per la cosca emiliana. Il Comandante Leo lo descrive come una figura “sui generis”: “ Il suo nome viene usato come biglietto di presentazione, ma molte delle attività svolte, come quelle di recupero crediti non hanno nulla a che fare con la formazione di Cutro e spesso non vengono neanche comunicate a Nicolino Grande Aracri. Questo nome caratterizza più il gruppo, che il capo stesso”.

ROMOLO VILLIRILLO, UOMO DI GRANDE ARACRI IN EMILIA ROMAGNA
 “Vergine”, proprio come dicono gli imputati nelle intercettazioni. Ovvero, fino al luglio del 2011, totalmente incensurato. Dunque un ottimo jolly da utilizzare per svolgere attività illecite senza attirare l’attenzione delle forze dell’ordine che invece si sarebbero insospettite delle azioni degli altri sodali, già con precedenti penali. Ritenuto dagli inquirenti come “promotore, dirigente ed organizzatore dell’attività dell’associazione”, Villirillo porta avanti numerose attività dell’organizzazione emiliana, procede al reinvestimento di denaro direttamente proveniente da Nicolino Grande Aracri.  Coordina il gruppo che gravita nella zona di Castelvetro Piacentino, e mantiene i rapporti con la casa madre di Cutro. Nelle carte è possibile leggere come Villirillo  garantisse “il collegamento tra i partecipanti all’associazione emiliana, individuando le linee di intervento del gruppo e le azioni di interesse comune, garantendo il rispetto delle gerarchie,  risolvendo i conflitti interni, decidendo le azioni di ritorsioni nei confronti dei partecipi che contravvenivano alle regole, pretendendo ed ottenendo obbedienza dagli appartenenti al sodalizio; mantenendo rapporti con imprenditori avvicinatisi alla cosca, e coordinando le attività compiute insieme a costoro. Organizza inoltre la raccolta dei voti da destinare ai politici vicini alla cosca (come per il caso delle  elezioni di Salsomaggiore del 2006 e Parma del 2007)”.

FRANCESCO LAMANNA, UOMO DI GRANDE ARACRI A PIACENZA
Mantiene un prestigio criminale ‘ndranghetistico unico nel suo genere in Emilia, proprio per lo strettissimo legame che ha con Nicolino Grande Aracri, aggiornandolo sulle attività in corso e sulla messa a disposizione di denaro, anche della stessa cosca cutrese, reinvestito negli affari in Emilia.  

NICOLINO SARCONE, UOMO DI GRANDE ARACRI A REGGIO EMILIA
Scrivono gli inquirenti: “Rappresenta internamente ed esternamente l’associazione nei rapporti di natura criminale ed in quelli di difesa, anche pubblica, dell’attività posta in essere dai singoli partecipi e dall’associazione (in particolare a seguito dell’emissione di provvedimenti interdittivi antimafia da parte del Prefetto di Reggio Emilia). Stringe un patto con politici locali al fine di effettuare pressioni sulle istituzioni. Mantiene rapporti con imprenditori e professionisti avvicinatisi alla cosca. Si occupa, per conto del sodalizio, delle elezioni per la carica di Sindaco di Bibbiano del 2009”.

SALVATORE MUTO, BRACCIO DESTRO DI LAMANNA
Nelle carte dell’inchiesta si legge: “E’ costantemente a disposizione di Francesco Lamanna di cui è uomo di fiducia. Utilizza in modo costante il rapporto con gli altri associati come forma di allargamento della propria influenza, capacità affaristica e di inserimento nel sistema economico emiliano. E’ un punto di riferimento degli altri sodali di Castelvetro Piacentino, in particolare per i fratelli Vetere e per Francesco Lerose”.

PASQUALE BATTAGLIA, BRACCIO DESTRO DI VILLIRILLO
E’ a totale disposizione di Romolo Villirillo, per il quale svolge di norma anche la funzione di autista e di uomo di fiducia, e dopo l’estate 2011 (a seguito del suo arresto) è a disposizione diretta anche di Antonio Gualtieri. Riprenderà i rapporti con Villirillo subito dopo la sua scarcerazione, nell’ottobre del 2012, aiutandolo nell’attività di recupero del denaro necessario per estinguere il debito con Nicolino Grande Aracri.

I FRATELLI ROSARIO E PIERINO VETERE
Vetere Pierino è, insieme al fratello Rosario, l’uomo di Romolo Villirillo a Castelvetro Piacentino. Entrambi svolgono la funzione di collegamento tra Maurizio Cavedo, Romolo Villirillo e Vincenzo Migale.  

MAURIZIO CAVEDO
All’epoca dei fatti era un Sovrintendente della Polizia di Stato, in servizio presso la Polizia Stradale di Cremona. Scrivono gli inquirenti: “Partecipa mettendosi a disposizione del sodalizio criminale, mantenendo assidui rapporti con Villirillo, i fratelli Vetere, Migale, Lerose, Mercadante, Battaglia ed è costantemente in contatto con gli altri associati. Commette una serie di reati espressivi della consapevole e volontaria partecipazione all’associazione di stampo mafioso, della osservanza delle sue gerarchie e regole, della fedeltà alle direttive ricevute, del perseguimento dell’interesse dell’organizzazione”. Al momento sta scontando una condanna di dieci anni in Venezuela per traffico di droga.

VINCENZO MIGALE
Emblematico sarà il suo ruolo in seguito ad una vicenda che lo vede coinvolto con Maurizio Cavedo, il quale gli deve una somma di denaro. In quella circostanza, infatti, Migale accetta e riconosce le decisioni prese da Villirillo e Lamanna, identificandoli come autorità.

ANTONIO GUALTIERI
Mantiene uno strettissimo rapporto con Francesco Lamanna e con tutti gli altri capi dell’organizzazione emiliana, in particolare al fine di procedere all’individuazione ed al recupero del denaro di spettanza della cosca Grande Aracri di Cutro, di cui si era impossessato Villirillo. Individua  nuove zone di interesse operativo e settori di intervento diretto anche fuori dall’Emilia (coinvolgendo in tale attività professionisti esterni alla cosca ed in particolare Roberta Tattini, Fulvio Stefanelli e Giovanni Summo). Aggiorna costantemente Nicolino Grande Aracri sugli affari emiliani, subentrando parzialmente a Romolo Villirillo.

Presentati questi personaggi, possiamo entrare nel vivo delle deposizioni di Andrea Leo e Camillo Calì.

LA MAFIA IN EMILIA
Andrea Leo è stato il primo teste ascoltato durante il processo. Ex comandante dei Carabinieri di Fiorenzuola, Leo, adesso al ROS di Catanzaro, non ha solamente parlato delle indagini svolte dalla sua squadra, e da cui è partito il procedimento penale, ma ha descritto anche i caratteri peculiari della 'ndrangheta in Emilia, le cui intimidazioni “non sono come normalmente avviene, dirette a chiedere il pizzo, ma ad appoggiare le finalità dell'organizzazione del territorio. Gli interessi dell’organizzazione criminale emiliana non hanno avuto come obiettivo i settori classici dell'economia (trasporti, edilizia, movimento terra) ma hanno avuto come obiettivo principale, quello di stringere rapporti con istituzioni, faccendieri, forze dell'ordine e politici, allo scopo di agevolare le strategie economiche”. Il gruppo emiliano è unitario ma anche svincolato dal territorio: molti personaggi si muovono oltre il territorio di competenza, tra le province di Modena, Reggio, Parma, Piacenza e più marginalmente nel Cremonese, Mantovano, Veronese. Come, quando, dove e perché iniziano le prime indagini? Prima di rispondere a queste domande, è utile avere ben chiaro il quadro all’interno del quale operava l’organizzazione ‘ndranghetista. Andrea Leo, in aula, parla infatti di 124 atti intimidatori, da Modena a Piacenza, tra il gennaio del 2010 e l’ottobre del 2012. Danneggiamenti, bottiglie incendiarie, buste contenenti proiettili, un cuore di suino infilzato da una siringa, auto a fuoco, minacce a mano armata, luoghi in cui punire chi parla troppo “infilandolo in un sacco con la testa tutta dentro e la lingua fuori”: è questo il metodo utilizzato dagli ndranghetisti per far capire chi comandava. Atti intimidatori aventi come bersaglio soprattutto i beni di imprenditori di origine calabrese che operavano in Emilia. Il Carabiniere descrive dunque “un clima di intimidazione e grave compromissione della sicurezza in quel periodo”, a cui si accompagnava “una omertà nelle denunce”. Le vittime di tali atti intimidatori, infatti, “non hanno mai ammesso di avere dei sospetti sui responsabili o sul loro movente”.


 

L’INIZIO DELLE INDAGINI
Le indagini hanno sostanzialmente tre punti di partenza: l’inchiesta “Grande Drago”, che nel 2005 si concentrò sul racket dell’edilizia e che portò a numerosi arresti. “La sentenza stabilì che già negli anni 2000 era presente una cellula ’ndranghetista originaria di Cutro che spaziava tra Piacenza, Parma, Reggio Emilia. Siamo partiti da questa sentenza, che nel frattempo è diventata definitiva, per andare a vedere quali erano state le dinamiche evolutive”, dice Leo in aula. Gli altri due punti riguardano invece l’incendio di un’auto, una BMW 530, nel settembre del 2009 a Castelvetro Piacentino, e un esposto anonimo arrivato ai carabinieri di Fiorenzuola D’Arda nello stesso periodo, in cui si denunciano aziende collegate a imprenditori di origine cutrese che operano attraverso un meccanismo di false fatturazioni. Inizia così l’indagine Aemilia. Siamo nel 2011: a marzo iniziano i servizi di osservazione, a maggio partono le intercettazioni, sia ambientali che telefoniche. Come detto prima, è proprio partendo da un’auto incendiata, e da una lettera anonima, che i carabinieri, mettendo sotto controllo alcuni noti calabresi locali, si imbattono nello sconosciuto Romolo Villirillo, scoprendo, con sorpresa, che è in stretto contatto con il boss Nicolino Grande Aracri. Nelle prima fase di indagine emerge dunque, come elemento centrale e di collegamento tra le varie persone osservate, la figura di Villirillo, incensurato, ma solito frequentare soggetti già “attenzionati” dalle forze dell’ordine. I militari capiscono la sua importanza quando scoprono che Villirillo ha passato la notte accanto al boss Nicolino Grande Aracri, ricoverato a Crotone. Ma perché, secondo la DDA, Villirillo è una figura-chiave del clan sul piano affaristico? Proprio per il suo “essere vergine”: avendo la fedina penale pulita, infatti, Villirillo ha un margine di movimento maggiore rispetto agli altri personaggi, già noti invece alle autorità. Non a caso, Andrea Leo, durante la sua deposizione, lo definisce “un collettore, un personaggio chiave”.  

FUOCO AMICO
Il Maresciallo Calì, durante la sua deposizione, afferma di aver fatto, insieme alla sua squadra, una scelta investigativa ben precisa: quella di preservare le indagini. Il carabiniere sostiene infatti che lui è i suoi colleghi hanno individuato più di un carabiniere o poliziotto colloquiare con personaggi “discutibili”, e non fidandosi di nessuno hanno agito, soprattutto durante la prima fase, in maniera autonoma e assolutamente segreta.

I PRIMI SOSPETTI
Il 26 marzo 2011, durante un appostamento, i Carabinieri di Fiorenzuola d’Arda, vedono Maurizio Cavedo, all’epoca poliziotto della Stradale di Cremona, in compagnia di personaggi sospetti, ovvero: Vincenzo Migale, Romolo Villirillo, Pierino e Rosario Vetere, Salvatore Minervino e Pasquale Battaglia (questi personaggi li abbiamo presentati in precedenza). Questa circostanza viene spiegata durante la deposizione del Maresciallo Calì, il quale in aula mostra anche le foto di quell’incontro. Ed è proprio in una di queste foto che è possibile vedere Maurizio Cavedo firmare un documento e consegnarlo a Romolo Villirillo. Occorrerà aspettare fino al 21 luglio dello stesso anno per comprendere di che tipo di documento si tratta.

L’ARRESTO DI ROMOLO VILLIRILLO
Romolo Villirillo viene arrestato per la prima volta il 21 luglio 2011. Nella sua casa, i Carabinieri di Crotone trovano numerosi assegni, tra cui quello che viene visto firmare da Cavedo il 26 marzo. Si tratta di un assegno di 25.000 firmato da Maurizio Cavedo e destinato a Romolo Villirillo. Questo primo arresto di Romolo Villirillo apre due scenari importantissimi: da un lato, i Carabinieri riescono a scoprire quello che era il meccanismo di frode fiscale utilizzato per ripulire i soldi sporchi della cosca attraverso l’emissione di fatturazioni false per operazioni inesistenti. Sull’altro fonte, invece, si viene a creare una vera e propria frattura all’interno dell’organizzazione criminale. Questa frattura è riconducibile a due motivazioni: da un lato Romolo Villirillo non è più “vergine”, ovvero incensurato, e dunque non può essere utilizzato dalla cosca con gli ampi margini di libertà finora adottati. Dall’altro lato, invece, proprio in seguito a questo arresto, Nicolino Grande Aracri scopre di essere stato tradito proprio dal suo uomo in Emilia Romagna: Romolo Villirillo, infatti, si è appropriato di una grande cifra di denaro, senza renderne conto al boss.

LA FRODE
Bisogna dunque fare un passo indietro e comprendere cosa accade prima dell’arresto di Romolo Villirillo. Come già detto, dunque, il 26 marzo, i Carabinieri vedono Maurizio Cavedo firmare un assegno. Solo il 21 luglio, giorno dell’arresto di Romolo Villirillo, si scoprirà che quell’assegno di 25.000 era destinato a Romolo Villirillo. Perché? E’ questa la domanda che si pongono gli investigatori, considerando il fatto che non erano mai stati documentati rapporti lavorativi tra i due. Ecco che adesso entra in gioco anche un’altra persona, ovvero la moglie di Maurizio Cavedo: Stella Petrozza. La donna è titolare di un consorzio, il Consorzio Edil Stella. La Guardia di finanza, nel giugno 2011, aveva effettuato una verifica fiscale nei confronti del consorzio e, una volta rinvenuto un assegno riconducibile ad una falsa fatturazione, le fiamme gialle denunciano la donna. A questo punto, all’interno del consorzio, subentra il marito: Maurizio Cavedo diviene infatti il consigliere della ditta. Ecco dunque che aggiungiamo un altro tassello: quel famoso assegno di 25.000 euro viene firmato da Maurizio Cavedo in rappresentanza del Consorzio Edil Stella, e la cifra viene incassata Romolo Villirillo. Ma come detto prima, non esistono rapporti lavorativi certificati tra il Consorzio Edil Stella e Romolo Villirillo. Gli inquirenti comprendono che il consorzio è il mezzo attraverso il quale ripulire i soldi della cosca. Ma come arrivano a questa conclusione? Di fondamentale importanza per gli investigatori è una conversazione che viene intercettata all’interno di una Doblò tra due personaggi: uno è Pierino Vetere e l’altro è Luigi Mercadante. I due uomini vengono intercettati dai Carabinieri mentre contano 19.000 euro in contanti. Il problema è che nemmeno tra Pierino Vetere e Luigi Mercadante sono mai stati tracciati legami lavorativi. Perché questo scambio di denaro? Attraverso una lunga e dettagliata indagine gli investigatori riescono a comprendere come e da chi venivano gestiti questi soldi. Questi soggetti, “nella piena consapevolezza della provenienza di parte del denaro affidato a Romolo Villirillo dall’associazione mafiosa dei Grande Aracri di Cutro e da singoli delitti commessi anche da taluno degli indagati”, emettevano false fatture per operazioni inesistenti coinvolgendo alcune imprese, tra cui il Consorzio Edil Stella, il Consorzio General Contractor Group e la Minorca SRL. I soldi provenienti dagli affari illeciti della cosca vengono presi in gestione da Luigi Mercadante che li porta a Pierino Vetere (ecco spiegato perché vengono intercettati mentre contano 19.000 euro in contanti). Vetere è il ponte di collegamento tra la cosca e Maurizio Cavedo. Vetere infatti, una volta presi i soldi della cosca da Mercadante, fa avere i soldi a Cavedo. Quest’ultimo, attraverso la sua ditta, il Consorzio Edil Stella, emette una serie di fatture a favore di Romolo Villirillo. Ecco dunque il meccanismo di frode fiscale: Romolo Villirillo non ha mai effettuato nessun lavoro per il Consorzio Edil Stella. Gli assegni dunque firmati da Cavedo fanno riferimento all’emissione di fatture false per operazioni inesistenti, mezzo attraverso il quale vengono ripuliti i soldi sporchi della cosca. Gli inquirenti parlano di un giro di affari di circa 8 milioni di euro.

IL DEBITO DI CAVEDO E I DISSAPORI INTERNI
Ma non è solo questo il motivo per cui avviene questa frode fiscale. I motivi sono riconducibili a un debito che Maurizio Cavedo aveva contratto non solo nei confronti di Vincenzo Migale, ma anche con altri personaggi. Anche in questo caso, per gli inquirenti si rivela di fondamentale importanza il servizio di pedinamento. I Carabinieri assistono infatti ad un incontro in cui sono presenti Vincenzo Migale e Pierino Vetere. Ad un certo punto arriva Maurizio Cavedo, il quale però vai via subito. Questo è un primo tassello che fa comprendere agli investigatori la presenza di dissapori tra Cavedo e Migale. Sempre grazie al servizio di intercettazione e pedinamento, i Carabinieri ricostruiscono i viaggi che vengono compiuti in una giornata da Romolo Villirillo. L’uomo da Cutro arriva a Milano e insieme a Pasquale Battaglia (come già detto, suo autista) si incontra, a Fiorenzuola, con Migale e Vetere. Si tratta di un incontro chiarificatore. Come già detto, infatti, Cavedo deve restituire a Migale circa 32.000 euro (in una intercettazione Migale dice a Cavedo “Io te la faccio pagare, ti mando all’ospedale”). Cavedo, in seria difficoltà economica, chiede allora a Villirillo di intervenire affinché possa convincere Migale ad attendere. Proprio in questo incontro, dunque, vengono definite le dinamiche attraverso cui Cavedo deve restituire i soldi a Migale. Dopo questo incontro, Villirillo e il suo braccio destro, Battaglia, si recano a Reggio e incontrano Luigi Muto e Giuseppe Fontana. Ancora una volta, al termine della chiacchierata, Villirillo si rimette in viaggio e si dirige, sempre con Battaglia, verso il casello autostradale di Campegine. Qui incontra proprio Maurizio Cavedo, al quale comunica che Migale può aspettare e che gli deve ridare i soldi attraverso una rateizzazione. Ecco però che lo scontro si fa sempre più duro. Nonostante infatti Migale avesse dato la sua parola a Villirillo che avrebbe potuto attendere, Migale invece preleva forzatamente dal conto corrente di Maurizio Cavedo una grande cifra. Cavedo, rimasto senza soldi, è adesso in difficoltà con gli altri personaggi a cui deve del denaro. Così facendo, però, Migale mette in difficoltà anche lo stesso Villirillo, che si era impegnato in prima persona a garantire agli altri creditori che Cavedo avrebbe ridato loro indietro i soldi. Lo scontro, a questo punto, non è più solo tra Cavedo e gli altri creditori, tra Cavedo e Migale, ma anche tra Migale e Villirillo, il quale si è sentito profondamente tradito. E’ utile, prima di passare alla fase successiva, comprendere come queste dinamiche possano collegarsi a quel meccanismo di fatturazioni false emesse da Cavedo attraverso il Consorzio Edil Stella. I soldi che Vetere e Mercadante contano all’interno dell’auto, vengono fatturati da Cavedo. Questa fattura presenta anche l’IVA. Ed è proprio dall’IVA che Cavedo riesce a ricavare i soldi per sanare il debito con Migale. Il problema all’interno del gruppo, come detto, sorge quando Migale non rispetta la parola data a Villirillo e preleva i soldi dal conto corrente di Cavedo. Quest’ultimo a questo punto si rivolge nuovamente a Villirillo, che sceglie di “convocare” Migale anche alla presenza di Lamanna.

IL FUOCO AMICO (2)
Il Maresciallo Calì parla inoltre dei numerosi controlli che Cavedo effettua all’interno della Banca Dati SDI, luogo in cui è possibile verificare se qualcuno è sottoposto a indagine o accertamenti. Per accedere a questa banca dati occorrono User ID e password, ed ogni accesso viene registrato. Gli inquirenti riescono dunque a vedere come Cavedo abbia fatto ricerche sulla moglie, Stella Petrozza, su Vetere Pierino, su Ferrari Aldo Pietro ed addirittura su se stesso. Controlli volti a certificare se lui, o le persone attorno a lui, fossero oggetto di indagine o accertamenti.  

ANCORA DISSAPORI INTERNI
Continuano ad essere i soldi il motore delle dinamiche interne al gruppo. Una vicenda emblematica, anche del ruolo di “autorità” riconosciuto a Romolo Villirillo, riguarda un diverbio sorto tra Pierino Vetere e Salvatore Procopio. Il primo ha infatti contratto un debito con il secondo, che è inoltre un ex socio di Nicolino Sarcone. In questo scenario, il ruolo di “intermediario” viene svolto da Salvatore Muto che chiama Vetere rimproverandolo per il mancato pagamento. Alla vicenda si interessa, a questo punto, direttamente Romolo Villirillo che, non avendo contatti diretti con Procopio, proverà a mettersi in contatto con Nicolino Sarcone.


 

CAMBIO DI GUARDIA
Fatta questa parentesi in merito al ruolo di Maurizio Cavedo, è molto interessante analizzare cosa accade all’interno dell’organizzazione subito dopo l’arresto di Romolo Villirillo. Come detto, in primo luogo viene meno la “verginità” dell’uomo. In secondo luogo, proprio attraverso il primo arresto (nel luglio 2011) ed in seguito al secondo arresto (ottobre dello stesso anno), Nicolino Grande Aracri verrà a conoscenza del tradimento subito dal suo uomo al nord, che ha incassato un’enorme somma di denaro senza renderlo partecipe di tali “investimenti economici”. A questo punto, dunque, Villirillo non gode più della massima fiducia del boss. In questo scenario, è di fondamentale importanza la figura di Antonio Gualtieri e, in particolar modo, un incontro che avviene tra l’uomo e Nicolino Grande Aracri all’interno della sua auto, una Maserati, dove sono però presenti le cimici installate dai carabinieri. La conversazione intercettata è importantissima per comprendere come stanno cambiando gli equilibri tra i personaggi in gioco: Gualtieri dice infatti che “doveva essere vergine per noi” e i due uomini parlano di come risolvere “la questione Villirillo”. Da questo momento in poi, sarà proprio Gualtieri a “sostituire parzialmente” il ruolo di Villirillo, e piano piano entrerà nelle grazie di Nicolino Grande Aracri che lo incarica di “investigare” per capire dove sono finiti i soldi della cosca investiti al nord ma della cui presenza Villirillo non aveva informato il boss.

CACCIA AL TESORO
Grande Aracri, attraverso Gualtieri, cerca dunque persone vicine a Villirillo che possano dargli informazioni. Il primo ad essere chiamato al cospetto del boss è Pasquale Battaglia, braccio destro di Villirillo, che viene convocato a casa di Grande Aracri. Circostanza in cui sono presenti, oltre a Battaglia, Gualtieri, Lamanna e, appunto, Grande Aracri. Per capire “l’aria che tira” è importante analizzare un dialogo intercettato tra Battaglia e Mancuso, personaggio vicino sia a Villirillo che a Gualtieri. Durante una telefonata, Battaglia e Mancuso si mettono in guardia a vicenda, parlando delle “malefatte” di Villirillo. In un passaggio di quella intercettazione, si sente Battaglia dire a Mancuso (riferendosi appunto a Villirillo): “Tu arrivi carico e a me mi fai fare l’elemosina. Non è per i soldi, io non sono attaccato ai soldi. Lui però la verità a volte non la dice. Lui questo difetto ce l’ha e poi si ritrova male”. Questa conversazione si registra dopo che Battaglia è stato convocato da Grande Aracri. Dopo questo incontro, Battaglia decide infatti di avvisare Mancuso di ciò che sta accadendo. Ma l’uomo non si ferma qui, e parla anche con Salvatore Cappa, soggetto intercettato dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Modena. Anche in questa circostanza, Battaglia dice “ha chiuso con tutti. Quello che ha fatto con me l’ha fatto pure là. Là gli hanno chiuso i viveri. Sono solo guai poi. Bugiardo, bugiardo. Quando ci vediamo ti racconto, era troppo convinto che la palla girava sempre come diceva lui”. Con queste parole Battaglia si riferisce, naturalmente, nuovamente a Villirillo. Continua, nel frattempo, la “caccia al tesoro” nascosto da Villirillo. Anche Alfonso Paolini viene convocato da Grande Aracri e, intercettato mentre conversa con Gaetano Blasco, dirà: “un casino là, ha sbagliato assai. Non le sai le ultime cose?” (parlando sempre di Villirillo). Vengono chieste informazioni anche a Nicolino Sarcone ma soprattutto a due cognati di Romolo Villirillo: Antonio Colacino e Domenico Olivo. Successivamente a questo incontro, si registra una conversazione in carcere in cui Villirillo dice a Olivo di andare “da Stefano di Verona” e recuperare 55.000 euro. 5.000 sarebbero andati alla moglie di Villirillo. Gli altri 50.000 doveva tenerli Olivo e “quando esco ne riparliamo”, dice Villirillo. Proprio in questo periodo avvengono atti intimidatori ed incendiari nei confronti di personaggi vicini a Romolo Villirillo (Michele e Nicola Colacino, Luigi Villirillo e lo stesso Romolo). Questi eventi sono collegabili alla strategia usata da Grande Aracri per colpire determinate persone, non in qualità di parenti di Villirillo, ma come personaggi interposti per risolvere la “questione dei soldi al nord”. Ultimo tassello per completare il quadro, è un dialogo tra Gualtieri e Lamanna, in cui Gualtieri dice: “queste sono le cazzate che combina”. In questo momento, per colmare il debito che Villirillo ha contratto con l’intera organizzazione, si ipotizza di “appropriarsi” di alcuni appartamenti di Villirillo a Reggio Emilia.

L’INCONTRO TRA VILLIRILLO E GRANDE ARACRI
Tutti questi fatti avvengono durante il periodo di detenzione di Villirillo, un periodo che va da ottobre 2011 a settembre 2012. Una volta scarcerato, Villirillo si reca da Nicolino Grande Aracri, per confrontarsi con lui e trovare un compromesso per risolvere la delicatissima questione del tradimento e dei “soldi al nord”. La conversazione viene intercettata dai carabinieri ed alcuni passaggi vengono letti in aula dal Maresciallo Calì:
Grande Aracri: Io vorrei sapere tu che stai facendo. Questi problemi tu non li avevi. Tu i soldi te li sei presi. Non è che stiamo cercando una mazzetta. Non ti stiamo cercando una cosa che è tua, ma una cosa che è nostra.
Villirillo: Io ora mi devo cacciare il debito.
Grande Aracri: Allora tu quando lavoravi per noi i soldi te li sei abbuscati. Fino a quando tu lavoravi per noi ed eri onesto i soldi te li abbuscavi. Ora solo che tu per noi non lavori più perché hai dimostrato la cosa più schifosa che un essere ha sulla faccia della terra che non so nemmeno come devo descrivere quello che hai fatto tu. Più di una volta facevo finta di niente e tu hai peggiorato tutto. E invece tu eri convinto che a me mi impapucchiavi. A me non mi può imbrogliare nessuno. Mi ammazzo solo io. Mi prendo due milioni tutti in una volta.
Villirillo: Un’ultima possibilità. Se io sbaglio di nuovo è chiuso il convento.
Grande Aracri: Tu con me meno hai a che fare meglio è.
Villirillo: Mi volete un’ultima volta?
Grande Aracri: io non sono come te.
Villirillo: L’ultima possibilità.
Villirillo tenta spudoratamente di rientrare nelle grazie di Nicolino Grande Aracri.

ALLA RICERCA DEL DENARO PERDUTO
Dopo questo incontro Villirillo torna al nord e si rifugia a Castelvetro Piacentino. In questo periodo Villirillo inizierà una spasmodica ricerca di denaro per sanare il suo debito. L’uomo però non è assolutamente tranquillo, e il suo stato d’animo traspare da numerose conversazioni intercettare dagli investigatori (addirittura in una telefonata Villirillo afferma: “e se mi ammazzano?”). Prova di questo stato di paura e preoccupazione per la propria incolumità è il fatto che Villirillo verrà arrestato, nell’agosto 2014, in possesso di un’arma.

VILLIRILLO, “ABILE FINANZIERE”
“Villirillo si è dimostrato un abile finanziere. Ne sapeva tantissimo di banche e finanze, era una persona che stava sempre al telefono e cercava di far soldi in modo illecito. Gestisce affari illeciti con modalità mafiose. Villirillo lo faceva per conto dell’organizzazione di cui faceva parte. Infatti in una telefonata con Migale, Villirillo dice: “in nome di ciò che sono, ti spiego”. Noi abbiamo intercettato circa 26000 telefonate dell’uomo. Ed è in quelle telefonate che è possibile comprendere come Villirillo si muova tenendo all’oscuro Grande Aracri. Ecco perché avviene l’inghippo: tutti si accorgono di chi è realmente Villirillo”. Sono queste le parole, fortissime, del Maresciallo Calì in aula.

E vogliamo chiudere con queste “parole di fuoco” questo nostro tentativo di ricostruire il quadro, molto contorto, delle modalità con cui la mafia emiliana agiva. Piccoli, piccolissimi tasselli. Ma fondamentali per avere contezza di cosa è stato fatto, da chi e come. Codice d’onore, auto di lusso, tradimenti, vendette. Ma soprattutto “i picciuli”. Tanto, tanto denaro. Che mai bastava ai mafiosi, pronti ad appropriarsene senza tener conto della “famigghia”, dell’“appartenenza”. Un codice d’onore non esiste, in realtà. Esiste la fame di potere. Un’immensa bulimia che ha portato un sistema marcio a diffondersi prepotentemente sul territorio emiliano. Grazie alla complicità di professionisti, avvocati, impiegati di banca, imprenditori, e persino poliziotti. Tutti schiavi del potere. Tutti fagocitati dalla sete di denaro. Tutti. Nessun escluso.

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