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di Gilda Sciortino
Accanto al testimone di giustizia tanti familiari di vittime di mafia

Alla fine non si è dato fuoco, ma non perché non ha avuto il coraggio quanto perché crede ancora che in questa bella terra di Sicilia si possa ancora pensare di dare un futuro migliore ai nostri figli.
In tanti si sono dati convegno questo pomeriggio nei pressi della Prefettura di Palermo, vicino piazza Tredici Vittime, dove campeggia il tanto amato e odiato monumento ai caduti di mafia. Lui, Ignazio Cutrò, imprenditore siciliano di Bivona, sottoposto, assieme alla famiglia, a un programma speciale di protezione per aver denunciato i suoi estorsori, aveva deciso di darsi fuoco per il reiterato silenzio delle istituzioni rispetto alla sua vicenda. A nulla, infatti, sembra essere valso l’avere contribuito con le sue denunce all’arresto, a gennaio del 2011, dei fratelli Panepinto nell’ambito dell’operazione "Face off".



Rincorso dai creditori per mutui non onorati e cartelle esattoriali lievitate in maniera insostenibile sino a circa 550mila euro - ovviamente non certo per sue inadempienze, visto che la sua attività era fiorente - ora è sul lastrico.
“Non solo mi chiedono di rientrare economicamente - afferma Cutrò, mentre la folla comincia ad aumentare per essergli accanto in un momento di forte tensione per lui e tutta la sua famiglia - ma non ottengo risposta a nulla. Quando, in qualità di testimone di giustizia, ho deciso di rimanere nella mia terra, l’ho fatto perché è chiaro che non devo essere io ad andare via, ma la mafia. Sembrano averlo dimenticato e lo dimostra il fatto che questa mattina mi volevano impedire di venire a Palermo, dicendomi che non ci sarebbe stata la scorta. Poi è tutto rientrato, ma io sarei arrivato anche a piedi”.


Fondamentale il ruolo che Ignazio Cutrò ha avuto come presidente dell’associazione nazionale “Testimoni di giustizia” per l’approvazione del disegno di legge che oggi permette ai testimoni di giustizia di essere assunti nella pubblica amministrazione, come avveniva fino ad allora per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata. Lavoro portato avanti da Cutrò insieme ad altri due importanti testimoni di giustizia, Piera Aiello e Giuseppe Carini, entrambi oggi residenti in località segreta. Testimoni che in tutta Italia sono 180, 84 sotto altra identità, mentre il resto rimasti “coraggiosamente” nella loro terra di origine.
“Andar via significa dimenticare la propria identità e storia. Una violenza inaudita, non ripagata dalla vicinanza dello Stato, che dovrebbe invece stare al tuo fianco e colmare tante mancanze.  Nessuno, invece, ricorda che, solo grazie al lavoro fatto dalla nostra associazione, oggi i testimoni di giustizia possono avere un futuro”.
Inevitabile la partecipazione di tanta gente che, avendo saputo del gesto che voleva compiere Ignazio Cutrò, ha voluto esserci per chiedergli di resistere. Tra i più vicini all’imprenditore di Bivona, Vincenzo Agostino e Augusta Schiera, i genitori di Nino Agostino.  

“Cutrò è vittima dello Stato più che della mafia - tuona Agostino - e non possiamo tacere. La sua è una storia che può essere la storia di tutti noi”.
Vicini in maniera sentita e partecipata, quasi commossa, Placido Rizzotto, omonimo nipote del sindacalista ucciso dalla mafia a Corleone il 10 maggio del ’48, come anche Gregorio Porcaro, che fu il vice di don Pino Puglisi, presente oggi come Libera insieme a Flora Agostino. Partecipi anche rappresentanti di Scorta Civica, Cittadinanza per la magistratura, del Comitato inter condominiale di via Hazon rappresentato da Pino Martinez. In ultimo, ma non certo per importanza, Luciano Traina, fratello di Claudio, rimasto ucciso nella strage di via D’Amelio, in quanto uno degli uomini di scorta di Paolo Borsellino. E’ proprio grazie a persone come Luciano e Vincenzo Agostino, senza nulla togliere ai tanti altri, che la memoria riesce a restare viva, che quanti hanno sacrificato la propria vita per difendere i valori della legalità e della giustizia vengano oggi ricordati come e più di prima. Dimostrando che, nonostante tutto, nonostante dallo Stato troppo spesso non giungano i segnali giusti, c’è la gente comune, quella gente che crede che le cose possano ancora cambiare. Persone come Ignazio Cutrò e la sua famiglia, che fanno e faranno sempre la differenza.

In foto: Ignazio Cutrò insieme a Vincenzo Agostino e la moglie Augusta

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