di Aaron Pettinari
“Non ci si può presentare da soli ad un altro amico nostro, se non è un terzo a farlo”. “Non si guardano mogli di amici nostri”. “Non si fanno comparati con gli sbirri”. “Non si frequentano né taverne e né circoli”. “Si ha il dovere in qualsiasi momento di essere disponibile a Cosa nostra. Anche se c'è la moglie che sta per partorire”. “Si rispettano in maniera categorica gli appuntamenti”. "Si deve portare rispetto alla moglie”. “Quando si è chiamati a sapere qualcosa si dovrà dire la verità”. “Non ci si può appropriare di soldi che sono di altri e di altre famiglie”. “Non può entrare in Cosa nostra chi ha un parente stretto nelle varie forze dell'ordine”, “chi ha tradimenti sentimentali in famiglia”, e “chi ha un comportamento pessimo e che non tiene ai valori morali”.
E' questo il decalogo del “perfetto mafioso” che nel 2007 gli inquirenti avevano sequestrato tra i documenti del boss Salvatore Lo Piccolo.
Nove anni dopo, nell'ambito della duplice operazione “Brasca” e “Quattro Zero”, che ha portato all'esecuzione di 62 misure cautelari, si parla ancora delle rigidi regole di Cosa nostra. “Quelle che – ha ricordato il procuratore Capo Francesco Lo Voi – rendono forte la mafia sul territorio”.
Dalla presentazione rituale, al divieto di ricorrere alla giustizia dello Stato, ma anche l’obbligo di protezione dei ricercati. Un codice che le giovani leve faticano a rispettare. E di questo nuovo modo di essere mafiosi si lamentavano i boss. “Una vriuogna così mi l'ho vista io” si lamentava il capmandamento di Villagrazia-Santa Maria di Gesù, Mariano Marchese. “Ora ognuno se ne sbatte i c...” ribatteva un altro anziano, Vincenzo Adelfio, rimarcando: “A volte salivo pure di notte là, appena... lasciavo qualsiasi cosa... tutto... pure mia moglie al momento che partoriva, lasciavo io!”.
Eppure le regole sono semplici (sono le stesse di cui aveva parlato per primo Tommaso Buscetta, ndr) e vengono ricordate dai boss nelle intercettazioni riportate nell'ordinanza “Brasca”.
Per i vecchi padrini chi non rispetta le regole va punito.
Lo scandalo era dato dalla mancata opposizione di Michele Armanno alle nozze della figlia con un uomo che aveva un fratello in polizia. “Il mafioso moderno – stigmatizzava Adelfio – pure sul giornale è stato messo!”. Armanno avrebbe chiesto a Adelfio di interessarsi “se sapevo, c'era uno che voleva a sua figlia, mi ha dato nome, cognome, dove lavorava” e poi si scoprì che “lui non è niente, ma suo fratello è della polizia! Niente ha fatto, ha preso e se lo è infilato dentro, l'ha fatta sposare... Sul giornale è uscito!”.
Veniva anche stigmatizzata la scelta del capo del mandamento di San Giuseppe Jato di aver appoggiato in posizione di rilievo della famiglia di Altofonte la nomina di un esponente che, benchè cognato dell’ex latitante Domenico Raccuglia, è sottufficiale dell’esercito. Ed il medesimo rifiuto era manifestato anche nei confronti di soggetti legati con congiunti di magistrati (“… là nel portone gli abbiamo fatto la croce! ha fatto a sua figlia fidanzata con... un magistrato ma prima ci si teneva a tutte queste cose... minchia ora si sposano con gli sbirri!... Con i carabinieri…”).
Ma l'importanza del rispetto delle regole in questi mesi di indagine è emersa pià volte. E' il capomandamento Marchese a riferire la violazione della “consegna del silenzio” da parte di alcuni emissari del mandamento di San Giuseppe Jato. “Vossia è lo zio Mariano? ci manda lo zio Gregorio (Agrigento, ndr).. abbiamo il mandamento nelle mani noi altri...” avrebbero detto dei “giovani picciotti”. “Io che dovrei fare con Gregorio – diceva Marchese – sdisanuratu chi è! Cose dei pazzi! Quello è malato, perché ormai la vecchiaia gli ha fuso il cervello”.
A non essere ossservata era il divieto di rivelare l’appartenenza all’organizzazione o di affrontare argomenti ad essa inerenti con soggetti che, pur in rappresentanza di altri mandamenti, non erano stati introdotti secondo modalità e canali appropriati.
E proprio l'attuale vigenza della presentazione rituale sia sotto il profilo della necessaria presenza di un terzo che possa garantire la qualità di uomo d’onore degli interventuti, sia del mai abrogato uso della formula “questo è la stessa cosa” per introdurre un altro affiliato è emersa anche in un'altra int un altro racconto di Adelfio. “Un giorno – diceva – mi presentano Rosario Riccobono mi ha detto che era 'la stissa cuosa' e ho detto: 'Ma che c... significa?'. Mio padre quel giorno era pure là gli ho detto: 'Papà ma che vuol dire 'a stissa cuosa'?, si gira e mi fa: 'Zitto, non lo devi dire a nessuno!'”.
Poi c'è quel dovere di sostegno imprescindibile sia nei confronti dei reclusi della propria famiglia e, talvolta per motivi di opportunità e/o legami peculiari, anche verso i membri di altre articolazioni mafiose; il supporto economico è ovviamente assicurato mediante il ricorso ad attività illegali e si intensifica soprattutto in occasione delle festività ovvero a seguito di particolari condizioni (es. una infermità come nel caso di Benedetto Capizzi, già capo commissione in pectore ai tempi del tentativo di ricostituzione dell’organismo collegiale di vertice nel 2008, ricostruzione evitata con l'operazione Perseo). “Ora Benedetto che è caduto là, sua moglie ha bisogno di soldi, è caduto e ci vuole il busto, cammurrie, cose - diceva Marchese - … qualche cosa in più si devono mandare alla moglie di Benedetto, perché se no è vergogna”.
C'è poi l’assoluto divieto di ricorso alla giustizia statuale, sostituita da una sorta di autotutela mafiosa da attuare attraverso l’interessamento degli altri referenti mafiosi.
E' anche vietata la “trasmigrazione”, cioò di passare da una famiglia all'altra, e di deve avere un “moralità” ferrea nel non importunare le donne degli altri uomini d'onore e non ostentare relazioni coniugali.
Vi è poi anche il rispetto dell’obbligo di protezione dei ricercati, documentato nelle prime fasi successive all’omicidio di Giovanni Battista Tusa, già indicato come uomo d’onore, ucciso nel marzo 2013 dal cognato Vincenzo Gambino, poi invitato a consegnarsi per evitare la presenza di organismi investigativi sul territorio di riferimento.
Un aspetto sconosciuto attestato dalle attività d'indagine è rappresentato invece dalla consuetudine che le spese funebri in occasione della morte degli affiliati siano sostenute dall’organizzazione come è avvenuto per i funerali di Gioacchino Capizzi, figlio di Pietro, quando sarebbero stati raccolti 3400 euro. Perché anche ai morti, non si deve far mancare nulla.
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