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ciancimino massimo capPer i giudici “simulò attentato ai suoi danni”.
di Aaron Pettinari
Sono state depositate le motivazioni della sentenza della Terza sezione penale d'appello, presieduta da Raimondo Lo Forti, che lo scorso ottobre aveva confermato la condanna a tre anni e 20 mila euro di multa nei confronti di Massimo Ciancimino, accusato di detenzione e cessione di esplosivo, e a due anni (pena sospesa) per il coimputato, Giuseppe Avara, che era accusato di detenzione di esplosivo.
La vicenda è quella relativa al ritrovamento di 13 candelotti di dinamite nel giardino dell'abitazione palermitana di Massimo Ciancimino.
E' stato lo stesso Ciancimino jr ad indicare ai pm dove trovarli all'interno della propria abitazione.
Inizialmente il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo sostenne che gli erano stati consegnati da uno sconosciuto come forma di pressione per indurlo ad interrompere la sua collaborazione con i magistrati. Ma le videocamere piazzate a sua insaputa nella sua abitazione dagli inquirenti non avevano ripreso alcuna consegna di esplosivo.

E' sempre Ciancimino a raccontare che la consegna non sarebbe avvenuta a Palermo ma a Bologna, quando era ospite dai suoceri. E' in quell'occasione che avrebbe ricevuto il plico anonimo al cui interno si trovò una lettera di minacce, una foto del figlio, Vito Andrea, scattata con il teleobiettivo, ed i candelotti di dinamite.
Ciancimino aveva sostenuto di non avere segnalato subito i fatti a Bologna anche per non creare fastidi alla moglie e ai suoi familiari (il suocero era malato ndr) e di aver preferito perciò portarlo a Palermo, all'insaputa della scorta che all'epoca ancora lo seguiva, dove avrebbe potuto disfarsene più facilmente. In base a quello che è sempre stato il suo racconto, in parte la dinamite era stata eliminata dal suo amico, Avara, che l'aveva gettata in un cassonetto, mentre alcuni candelotti furono seppelliti in giardino, con tanto di accorgimenti per cercare di depotenziare gli effetti dei candelotti.
Adesso nelle motivazioni della sentenza si parla di un “simulato attentato pianificato” da parte del figlio dell'ex sindaco mafioso nel tentativo di “ricostruire la propria credibilità fortemente compromessa”. Tuttavia, nel documento, non vengono sciolti i dubbi sulla provenienza della dinamite che Ciancimino teneva nel giardino della sua casa di Palermo.
Quel che resta un dato di fatto, (a prescindere dalla condanna), è che senza le rivelazioni ed i documenti di Ciancimino jr, molto probabilmente oggi non si saprebbe poco o nulla su quel dialogo tra istituzioni e Cosa nostra avvenuto nel biennio stragista. E' dalle sue dichiarazioni che tanti politici e rappresentanti delle istituzioni hanno riacquistato la memoria. Senza di esse, come avevano fatto per vent'anni, avrebbero proseguito il proprio percorso di omertoso silenzio.

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