Magistrato cittadino onorario di nove comuni abruzzesi
di AMDuemila
'’E’ nel dna della mafia la ricerca di rapporti con la politica, le istituzioni economiche, finanziarie e il mondo delle professioni, che risultano fondamentali per il consolidamento del potere criminale. Purtroppo lo Stato e le istituzioni politiche non hanno ancora dimostrato coi fatti di voler rescindere definitivamente quei legami (con la mafia, ndr). Ecco perchè c'è stata qualche vittoria ma non è ancora stata vinta la guerra''. Il magistrato palermitano Nino Di Matteo ha parlato con chiarezza e fermezza alla platea di giovani (18 istituì superiori e medi di Pescara) presenti all’ex-Aurum di Pescara all’iniziativa pubblica "Dalla parte della legalità" assieme ai cittadini e rappresentanti di alcuni comuni abruzzesi che hanno voluto stringersi attorno al pm. Sono ben nove infatti i comuni (Pescara, Chieti, Montesilvano, Spoltore, Città Sant'Angelo, Bucchianico, Miglianico, Mosciano Sant'Angelo e Pineto) che questa mattina hanno conferito la cittadinanza onoraria ad Antonino Di Matteo, magistrato condannato a morte dal capo dei capi Totò Riina. Il titolo per lui, secondo le dichiarazioni di alcuni pentiti, sarebbe già a Palermo.
A riguardo il fratello del magistrato Paolo Borsellino (ucciso da Cosa nostra il 19 luglio 1992,ndr), intervenuto via Skype, ha affermato “Ritengo che le minacce al magistrato Nino Di Matteo non arrivino dalla mafia, che in fin dei conti ha molti dei suoi esponenti in carcere e poco da temere, ma da quella parte deviata dello Stato che ha voluto la trattativa e le stragi del 1992 e 1993, e che negli ultimi 20 anni ha dato vita alla congiura del silenzio, nel tentativo di affossare il processo”.
Il magistrato nel suo intervento ha quindi fornito un quadro sulla situazione attuale: “Oggi ci dobbiamo confrontare con un sistema criminale integrato, in cui i delitti contro la pubblica amministrazione rappresentano, spesso, uno strumento attraverso il quale le mafie penetrano le istituzioni pubbliche.
Eppure, ad oggi, il quadro normativo in vigore garantisce ancora purtroppo ai collusi, ai facinorosi delle classi piu' ricche, spazi troppo ampi di sostanziale impunità, in particolare, attraverso il sistema della prescrizione dei reati. Purtroppo - ha aggiunto tra gli applausi del pubblico - con l'estinzione dei processi, con la declaratoria di prescrizione, si finisce per vanificare non soltanto gli sforzi dei magistrati e delle forze di polizia, ma, prima ancora, si mortificano le aspettative delle persone offese e di tutti i cittadini onesti che hanno diritto alla trasparenza e alla pulizia dell'amministrazione della cosa pubblica”.
Nel raccontare poi ai ragazzi la complessità della criminalità organizzata e dei suoi legami con altri livelli di potere, Nino Di Matteo ha richiamato alla memoria l’omicidio di Peppino Impastato: “va ricordato perché è la vicenda madre della trattativa Stato-Mafia - ha detto il pm - per Lui venne attuata un'azione di clamoroso depistaggio delle indagini, volendo far passare Impastato per un suicida o per un attentatore. Se c'è depistaggio, non passa tra le mani di un Totò Riina o di un Badalamenti: sono cose che passano attraverso le mani di esponenti delle istituzioni, quindi chiediamoci cosa c'è dietro, cosa si vuole nascondere". E ancora: “Sappiamo chi ha ucciso Dalla Chiesa, ma non sappiamo chi ha prelevato appunti e diari dalla sua cassaforte. Conosciamo il nome di chi ha schiacciato il bottone del tritolo per Falcone ma non come sia stato possibile trovare il suo computer, al ministero, vuoto e manomesso...".
Nino Di Matteo ha anche sottolineato l’importanza di una politica sana che lotti affianco alla magistratura nel contrasto delle mafie: ''La politica si riporti in prima linea nella lotta alla mafia; sindaci e amministratori hanno la possibilità di chiudere la porta in faccia ai mafiosi e di sapere quali interessi e personaggi sono coinvolti ancora prima che certi fatti diventino reato. Si denuncino anticipatamente questi episodi e non diventeranno materia per carabinieri o polizia''.
Per anni invece: “la politica ha considerato la mafia elemento di esclusivo interesse penale, delegata alla giustizia penale- ha spiegato il pm - mentre nel passato ci sono stati partiti politici che hanno caratterizzato la loro lotta anche nelle relazioni parlamentari, come fece Pio La Torre, che prima ancora che intervenissero i giudici, nella relazione di minoranza, denunciò con nomi e cognomi gli esponenti del potere mafioso. Quella è la vera antimafia''.
Il magistrato ha rimarcato come oggi invece ci troviamo di fronte ad una parte significativa della politica che: “vorrebbe minare l'indipendenza della magistratura, per ridurla ad un organo collaterale al potere politico e soprattutto a quello esecutivo, ma questo sarebbe la fine del principio della separazione dei poteri".
"Sento parlare di opportunità dell'azione penale, ma io conosco soltanto la doverosità dell'azione penale - ha continuato Di Matteo -. Non è una guerra tra magistrati e politica, i giudici non fanno la guerra ai politici, ma la politica deve smettere di delegare completamente il controllo della legalità ai magistrati".
"Non è importante sapere se ho paura - ha detto in merito all’indagine sulla trattativa Stato-mafia Di Matteo a margine dell’incontro - conta fare piena luce sulle stragi del 1992 e 1993, trovando la forza e il coraggio di indagare non soltanto sugli esecutori materiali, ma anche su chi ha voluto e ispirato gli accordi con la mafia, e su chi ha gradito l'eliminazione di certi bersagli". "C'è l'esigenza di continuare a percorre la strada della verità - ha quindi concluso - Lo dobbiamo anche alla memoria dei nostri morti".