E intanto per il ministro Delrio è irrilevante la sede del processo
di Sara Donatelli
Il 28 ottobre scorso ha avuto inizio, all’interno del padiglione numero 19 della BolognaFiere, il più imponente processo contro la 'ndrangheta mai tenutosi in Emilia Romagna. L’accusa è rappresentata dai PM Marco Mescolini, Enrico Cieri e Beatrice Ronchi. Il Gup è Francesca Zavaglia. 219 gli imputati, più di 50 i reati contestati. Un terzo del numero complessivo degli imputati ha optato per riti alternativi (abbreviati e patteggiamenti) che verranno affrontati a partire dall’11 gennaio. Prima di quella data, però, il GUP dovrà pronunciarsi in merito ai decreti di rinvio a giudizio di coloro che invece verranno processati con il rito ordinario (circa 150 imputati). Sorge un problema: se un decreto di rinvio a giudizio non contiene giorno, ora e luogo del tribunale in cui si dovrà affrontare il procedimento penale, esso viene considerato nullo. Ergo, prima che il GUP emetta tali decreti ha bisogno di sapere la sede del dibattimento. Il problema è che ad oggi ancora non si sa dove si svolgerà la seconda fase del processo Aemilia. Le alternative sono tre: Firenze, Milano, Reggio Emilia. Ma quanto tempo ha a disposizione il Ministero della Giustizia per decidere dove incardinare questa seconda fase del processo? Venerdì termineranno tutti i difensori degli imputati che hanno scelto il rito ordinario. Le udienze già in programma fino al 22 dicembre serviranno al Gup per la camera di consiglio. Diversi difensori ritengono però che se il Gup dovesse realmente pronunciarsi il 22 dicembre, diventerebbe incompatibile nei confronti degli altri imputati che saranno invece giudicati con i riti abbreviati o che hanno optato per un patteggiamento. Da qui, la possibilità che la Zavaglia possa emanare i decreti solo al termine dell’udienza preliminare. A questo punto saremmo già alla fine di gennaio. Questo comporterebbe, sì, più tempo per decidere il luogo del processo, ma si farebbe sempre più concreto il rischio di scadenza dei termini delle misure restrittive che riguardano un numero considerevole di imputati. Una corsa contro il tempo dunque, che vede in prima linea il Presidente del Tribunale di Reggio Emilia, Francesco Maria Caruso, il quale giorni fa presentò un progetto in merito alla costruzione di una tensostruttura all’interno del cortile del Palazzo di Giustizia. Ne seguì un vertice a Roma al quale presero parte il presidente della Corte d’appello di Bologna, il procuratore generale presso la Corte d’Appello reggente, lo stesso presidente del Tribunale di Reggio, il sindaco ed il prefetto della città e il governatore della Regione. Il Comune di Reggio Emilia si mostrò collaborativo. La Regione si disse disposta a pagare per l’allestimento di un’aula-bunker (come già fatto per l’udienza preliminare a Bologna). Più cauto il Ministero della Giustizia che se da un lato assicurò ai rappresentanti delle competenti autorità giudiziarie emiliane “il più ampio supporto per verificare le ipotesi di celebrare il processo nella sede del tribunale territorialmente competente” sottolineò anche il fatto che tali ipotesi risultavano al momento “prive di sostanziale contenuto”. L’unico al quale sembri non importare nulla di tutto ciò è il Ministro Graziano Delrio: “Non ho seguito la vicenda. L’importante è che si celebri il processo. Dove si terrà non è rilevante”. Secca la risposta della senatrice del Gruppo Misto Maria Mussini: “La sua presa di posizione è un assist fornito al ministro Orlando per eludere la questione del dibattimento a Reggio e portarlo in altra sede. Un segnale molto preoccupante che non fa che confermare un dubbio: manca la volontà politica”.
E’ innegabile la gravità delle parole di Delrio. Considerando il fatto che tali affermazioni provengono da colui che ha amministrato la città di Reggio Emilia proprio in uno dei momenti in cui avvenivano i fatti incriminati nell’inchiesta Aemilia. Considerando il fatto che, proprio Delrio, fu ascoltato il 17 ottobre 2012 come persona informata sui fatti dai PM che conducevano l’inchiesta Aemilia. Considerando il fatto che nel 2011 ebbe un incontro con alcuni esponenti della comunità cutrese in Prefettura, proprio quando arrivarono i provvedimenti interdittivi del prefetto De Miro nei confronti di imprese considerate infiltrate dalla ‘ndrangheta (“Li ho accompagnati perché avessero garanzie che in tutto questo non c’era una vena anti-meridionalista o discriminatoria nei confronti della comunità”, sarà la sua giustificazione ai PM). Considerando il fatto che il famoso viaggio di Delrio a Cutro avvenne proprio poche settimane prima delle elezioni comunali 2009, quando, in qualità di sindaco uscente, si era ricandidato per un secondo mandato. “Sono andato a Cutro nel 2009 in occasione della festa del Santo Crocefisso che è una festa religiosa molto importante a Cutro. Noi abbiamo un gemellaggio. So che esiste Grande Aracri, ma non sapevo che era originario di Cutro”. Sono tanti i fatti che andrebbero presi in considerazione. Ma a quanto pare, per Delrio non è importante che un processo di tali dimensioni venga mantenuto proprio nella stessa città che lui ha guidato (e dove nel frattempo la ‘ndrangheta stava trovando terreno fertile per i propri affari). Per i politici, spesso, è troppo difficile fare un “mea culpa” ammettendo i propri errori. Quello sì, che sarebbe un ottimo segnale. Ma si sa, Roma è lontana da Reggio. Cutro ancor di più. Fatti vecchi, bisogna guardare avanti. Scurdammoce o passato, sti politici tengono altro per la capa.
In foto: l'aula bunker alle Fiere di Bologna