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20150523-falcone-anniversarioVideo e Fotogallery all'interno!
di Miriam Cuccu e Francesca Mondin - 24 maggio 2015
Il "Golden" di Palermo ricorda la strage di Capaci
"Per me è importantissimo scegliere non solo da che parte stare, ma anche dove. Il disagio che si vive in certe manifestazioni è tale che viene voglia di scappare via perchè spesso chi ti invita sono persone a cui non dovremmo stare affianco". Le parole sono quelle di Brizio Montinaro, fratello di uno dei tre agenti di scorta, Antonio, che insieme a Vito Schifani e a Rocco Dicillo, quel 23 maggio di 23 anni fa si trovava a scortare il giudice Falcone e la moglie Francesca Morvillo, quando alle 17.58 centinaia di chili di tritolo esplosero sotto i loro piedi in prossimità dello svincolo autostradale di Capaci. Sul palco del Teatro Golden di Palermo, a Le Notti della Memoria (evento organizzato in ricordo della strage dal Comitato 23 maggio assieme ad altre associazioni) si cerca di andare oltre la retorica che, anno dopo anno, si è servita sempre più del 23 maggio. "Per un familiare di una vittima - ha proseguito Montinaro, che ha preso parte al dibattito moderato dal giornalista di Antimafia Duemila Aaron Pettinari, a margine dello spettacolo presentato da Cocò Gulotta e che ha visto la partecipazione di Ernesto Maria Ponte, Lucia Garsia, Gerardina Piazza, e tanti altri artisti - la cosa che più devasta è quando si fa molta passerella e poca testimonianza vera". Montinaro per 16 anni è rimasto in silenzio proprio per prendere le distanze dalle commemorazioni di facciata, che invece di rendere giustizia feriscono e isolano chi vive sulla propria pelle l'eredità che questi grandi uomini hanno lasciato.

"Il 23 maggio è una giornata particolare perchè l'aria si fa irrespirabile - ha detto di seguito il segretario provinciale del Siap di Palermo, Luigi Lombardo - vivere da poliziotto a Palermo significa sentire addosso l'eredità, consentire che il sangue dei martiri non sia stato versato invano". Lombardo ha parlato di ciò che vivono gli uomini delle forze dell'ordine e gli agenti di scorta, "angeli custodi invisibili" che con il loro corpo proteggono magistrati e persone minacciate e che si trovano a lavorare in pessime condizioni: "Il problema è gravissimo - ha spiegato - auto vecchie, pochi mezzi e spesso fatiscenti, e poi quando arriva la giornata delle passerelle le auto si trovano sempre, ma negli altri 363 giorni gli scortati di serie B che rischiano ogni giorno la vita non hanno i mezzi".
"Quello che spinge i ragazzi delle scorte a correre questo rischio - ha aggiunto dal palco (a fare da sfondo i quadri del pittore antimafia Gaetano Porcasi) Giuseppe Sammarco, caposcorta di Falcone - è che se tu sei pronto a dare la vita, allora il gioco vale la candela. Falcone e Borsellino erano magistrati che meritavano veramente il nostro sacrificio, facevano di tutto per cambiare la società, per realizzare qualcosa che desideriamo tutti: la libertà".

FOTOGALLERY © Emanuele Di Stefano
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"Caponnetto mi telefonò la mattina per chiedermi se volevo far parte di quello sparuto gruppo di magistrati che iniziava qualcosa di importante, ma forse che in quel momento ancora non si capiva" così l'ex magistrato Leonardo Guarnotta ricorda il momento che precedette l'inizio della sua esperienza nel pool antimafia insieme a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. "L'idea geniale nacque da Rocco Chinnici, ma non ebbe tempo di vederla realizzata, che i magistrati si occupassero delle stesse indagini e che ci fosse grande circolazione di notizie" perchè ci si era resi conto che "tutto quello che succedeva a Palermo non era causato da un regolamento di conti ma erano atti di una sola organizzazione, Cosa nostra. Così è iniziata questa splendida avventura che ci ha visto a stretto contatto per diversi anni. Ero contagiato dall'entusiasmo dei colleghi, Giovanni e Paolo lavoravano in maniera indefessa, senza pensare ad altro". Guarnotta ha poi ricordato che "quando ero nella stanza accanto a Giovanni, a porte aperte mentre ognuno leggeva i suoi atti, a un certo punto diceva 'sono le 8, togliamo il disturbo allo Stato'. Una frase che sembra profetica". Secondo l'ex magistrato la verità sulla sua morte "ancora minaccia di non scendere, di non essere conosciuta, vola alta sopra le nostre teste".
"Esistono - ha dichiarato il sindaco di Palermo Leoluca Orlando - verità storiche che prescindono da quella giudiziaria", eppure "23 anni di retorica hanno schiacciato i fatti - ha protestato il giornalista de Il Fatto Quotidiano, Giuseppe Pipitone, secondo il quale il tempo trascorso è servito a "trasformare l'uomo Giovanni Falcone in un santino dietro cui nascondere la classe dirigente di un paese. Falcone è morto non solo perchè era nemico di Cosa nostra, sennò sarebbe successo dopo la "cantata" di Buscetta, o a Roma nel '92 quando non era scortato, invece è successo a Palermo con modalità terroristico militari". Parlando del nuovo dibattimento, il processo Capaci bis che indaga una seconda volta sull'eccidio di Falcone, il giornalista ha affermato che "a parte i mandanti a volto coperto non avevano indagato nemmeno bene su quelli a volto scoperto", circostanza "inverosimile in un paese occidentale, dove non abbiamo nemmeno le verità storiche" così come nel caso "della trattativa, sulla quale rimangono ancora molti punti oscuri. Solo che ogni anno non lo sento dire, il 23 maggio, che Capaci sia stato uno snodo importantissimo della trattativa, come non sento mezza parola per un pm ancora vivo, suo malgrado: Nino Di Matteo oggi il pm più scortato d'Italia" ma soprattutto "il più solo, penso che un ricordo dei vivi l'unico giorno in cui si commemorano i morti vada fatto".

FOTOGALLERY © Emanuele Di Stefano


Ieri, come ogni anno (per la prima volta senza le navi della legalità, sostituite da una serie di eventi organizzati a Palermo e in altre piazze d'Italia) la cerimonia in pompa magna sotto l'albero Falcone, in via Notarbartolo. Qui si sono riuniti i due cortei, uno partito da via D'Amelio, luogo della strage in cui morirono il giudice Paolo Borsellino con gli agenti della scorta, l'altro dall'aula bunker dell'Ucciardone. Sul palco anche Salvo Ficarra e Valentino Picone, che hanno letto un breve testo sull'omertà: "C'è il silenzio buono e quello cattivo, quello cattivo lo sapete di cosa stiamo parlando. Ma il silenzio che ci preoccupa di più è quello di chi sta dimenticando. Eppure c'eravamo tutti, eppure c'è ancora qualcuno seduto in poltrona che deve pagare. Come facciamo a raccontarvi del silenzio di tutti quelli che stanno dimenticando? Non si può spiegare con parole, al massimo si può disegnare con un albero con tante foglie e maestoso, solo che quell'albero è spoglio e senza bigliettini, questo è il silenzio che non ci piace".
A non piacere, oggi, è soprattutto il silenzio nei confronti di quei magistrati ancora vivi (ma già condannati a morte, dalla mafia e non solo) che di Falcone e Borsellino hanno raccolto il metodo e il testimone, e oggi portano avanti le inchieste più scottanti sui rapporti tra Stato e mafia: "Ho visto le più alte autorità dello Stato oggi commemorare Giovanni Falcone, e sentito i ministri della giustizia e dell'istruzione promettere ai ragazzi che la lotta alla mafia ci sarà e che vinceremo - ha affermato Giorgio Bongiovanni, direttore di Antimafia Duemila - ma non ho sentito dire che non vogliamo più leader politici che hanno fondato partiti collusi con la mafia, e oggi sono in carcere, come Marcello Dell'Utri, o presidenti che sono stati addirittura complici dell'assassinio di Mattarella, come Giulio Andreotti. Oggi avrei voluto invece sentire esprimere solidarietà a Di Matteo, che sta cercando di scoprire chi ha trattato con la mafia". Per questo Bongiovanni ha manifestato "il dubbio che negli alti vertici dello Stato ci siano i mandanti esterni".

VIDEO (Streaming)
Guarda la registrazione dell'evento "Le Notti della Memoria": 1° parte - 2° parte

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