Il giornalisto querelato per aver definito il capomafia un "pezzo di m..."
di AMDuemila - 12 maggio 2015
Cinquanta mila euro da "devolvere in beneficenza" per aver offeso la "dignità" di un mafioso. Tanto varrebbe la condanna del giornalista Rino Giacalone (nostro collaboratore) secondo quanto richiesto oggi in udienza dalla vedova e dalla figlia del boss mafioso Mariano Agate, costituitesi parte civile al processo. Il giornalista, a loro dire, sarebbe "colpevole" di aver scritto, in seguito alla morte del capomafia, che lo stesso “era un pezzo di merda”. Un frase che, come aveva spiegato lo stesso Giacalone durante la scorsa udienza, “E' conseguenza solo e soltanto del curriculum criminale del soggetto e della considerazione che Peppino Impastato ha insegnato a tutti Noi siciliani onesti e cioè che ‘la mafia è una gran montagna di merda’ ”.
Nel merito a parlare sono i fatti. Agate, capomafia di Mazara del Vallo, infatti era un importante punto di riferimento nel trapanese per una famiglia sanguinaria come quella dei corleonesi, capeggiata da Toto Riina. Non si possono poi dimenticare le condanne all'ergastolo per numerosi omicidi, tra cui quello del giudice Giovanni Falcone e della sua scorta e l’omicidio del giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto, per una serie di azioni tutt'altro che "onorevoli". In questi mesi a difesa del giornalista si sono sollevate le voci di molti parenti delle vittime di mafia, di giornalisti e associazioni antimafia che, come nel caso di Libera e Scorta civica, hanno anche presenziato alla prima udienza come segno di sostegno. Il processo è proseguito con l'intervento del pm Belvisi che ha rinunciato ai propri testi producendo, in accordo con gli avvocati difensori del giornalista, Carmelo Miceli ed Enza Rando, i relativi verbali. Alla prossima udienza, prevista per il 9 luglio, saranno ascoltati lo stesso Giacalone, il quale ha deciso di non sottrarsi alle domande di entrambe le parti, e ill capo della mobile di Trapani Giovanni Leuci.
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