di Salvo Vitale - 24 aprile 2015
Ad abolire il 25 aprile ci hanno provato in tutti i modi. Berlusca non partecipava alle parate, Fini ha istituito la giornata delle foibe, il 27 gennaio, pomposamente definita giornata della memoria, per ricordare i morti uccisi dai comunisti in Istria, Violante, sin dal 1996, ha sostenuto che i morti di destra e di sinistra sono tutti uguali e che bisognava dimenticare tutto per fare la riappacificazione, Pansa continua a scavare, con un astio personale, e con forti stravolgimenti dei fatti, alla ricerca di fango da gettare sui partigiani, oggi sembra solo, eccetto che per pochi reduci irriducibili e per qualche nuovo iscritto all’ANPI, un’occasione per far vacanza a scuola o per un giorno di ferie nella pubblica amministrazione, senza che nessuno, o pochi sappiano cosa si festeggi.
Il mio professore di storia, un socialista, si chiedeva e ci domandava: “Liberazione da chi?”, intendendo che gran parte di persone, istituzioni, modo di pensare, sistemi educativi, regole della comunicazione, rapporti stato-chiesa, erano rimasti immutati anche dopo la fine del fascismo.
Dopo l’armistizio del 9 settembre 1943 l’Italia rimase divisa in due, ma solo perché c’erano i nazisti a sostenere il regime pagliaccio della Repubblica di Salò. E solo perché nel naufragio dell’esercito italiano alcuni testardi combattenti vollero “resistere”, con l’aiuto a contagocce degli Alleati, timorosi della maggioritaria presenza comunista tra i partigiani, l’onore italiano fu salvo: le maggiori città, da Napoli a Bologna, a Genova, a Torino, si liberarono da sé e l’Italia, con una ipocrita definizione degli americani, venne definita “cobelligerante”, ma non alleata. Si è molto discusso se considerare la resistenza una “guerra di popolo”, una “guerra civile”, una “rivoluzione”, una “guerra di liberazione”: forse è tutto questo messo insieme. Nel Sud Italia non ci fu liberazione, perché gli americani misero a posto quanto già deciso dal re, nel Nord i “resistenti”, secondo calcoli con approssimazioni diverse, si aggirarono tra i 200.000 e i 400.000, considerando tra questi anche “l’indotto”, cioè la rete di protezione attorno: perciò parlare di “guerra di popolo” è esagerato, ma anche “guerra civile” è improprio, se si tiene presente che non era solo una guerra tra fascisti e antifascisti, ma anche contro i tedeschi occupanti; la “rivoluzione” forse c’era nella testa dei partigiani “comunisti”, che sognavano un modello liberatorio tipo sovietico, o comunque senza più proprietà privata, ma che furono ben presto raggelati dalla svolta di Salerno di Togliatti, dalle scomuniche di Pio XII, dagli accordi di Yalta, dalla consegna delle armi imposta quando finirono le operazioni militari. E comunque a ognuno di questi grandi uomini, in parte intellettuali, in parte politici, in parte uomini d’azione, da Parra, a Pertini, a Calamandrei, a Concetto Marchesi, a Luigi Longo, a Pietro Nenni, a Saragat, a Lelio Basso, a Leo Valiani, , a Rodolfo Morandi ad Ugo La Malfa, l’elenco è lunghissimo, si deve un contributo di vita e di idee nella scelta di un’Italia che era necessario far rinascere dalle ceneri del fascismo, mettendo insieme le varie componenti, quella liberale, quella cattolica, quella marxista, senza escludere i resti filomonarchici o i fedelissimi del passato regime, in una sorta di ibrida continuità con il passato. Ma già, sin da allora Calamandrei parlava di “Costituzione inattuata” o tradita. E oggi? Se “resistenza” vuol dire esaltazione e memoria del partigiano “morto per la libertà”, se vuol dire l’alba di una nuova Italia antifascista, se vuol dire ritorno alle regole della democrazia scritte nella Costituzione, che ne è di tutto questo? Le ombre delle persone che abbiamo citato si aggirano nell’aria con molta sofferenza, in attesa di essere risucchiate per sempre nel nulla, impallinate da cecchini spietati che si sono messi in testa che, una delle più avanzate costituzioni del mondo sia troppo democratica, poiché è nata in un momento in cui c’era troppa fame di democrazia. Pensano che si tratti di cosa ormai vecchia e superata e che bisogna scimmiottare la Costituzione degli Stati Uniti, vecchia di 250 anni. I principi che, purtroppo, solo alcune forze eterogenee, alcune delle quali inizialmente li hanno ispirati, oggi definiscono “autoritari” sono: la scelta del sistema maggioritario, che esclude in partenza le minoranze, la cancellazione del senato elettivo, che mette nelle mani della maggioranza del governo il nuovo senato eletto a tavolino, più o meno come si faceva ai tempi dei Savoia, la cancellazione delle preferenze, che toglie all’elettore la possibilità di scegliere il suo candidato e lo relega solo a un datore di consenso al partito, il cui leader deciderà chi deve sedere accanto a lui e infine il premio di maggioranza alla lista che vince, quello che una volta venne chiamato “legge truffa” dalla sinistra e che ora è invece sbandierato come scelta di governabilità. Difficile togliere a Renzi e ai suoi sodali la patente di killers della democrazia, il cui funerale si sta consumando proprio in questi giorni, tra l’indecisione di alcune mediocri figure, ombre di una lontanissima sinistra, che si atteggiano ad opposizione interna, ma che non trovano il coraggio di opporre un “vaffanculo” netto davanti al bullismo e alla prevaricazione del loro ducetto.
Quando questa fame di autoritarismo, che continuerà con l’elezione diretta del presidente della Repubblica, o di quella del Presidente del Consiglio, oppure con l’unificazione delle due cariche, all’americana, sarà finita, e finirà con un “referendum confermativo”, dovremo promuovere un altro referendum per abolire tutto quello che è stato deciso e tornare come prima. Per ora il risultato è che coloro che hanno fame di democrazia e vogliono difenderne gli spazi sono diventati conservatori, mentre coloro che vogliono instaurare forme di neofascismo, o comunque di autoritarismo all’italiana, sono definiti riformatori e progressisti.