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siino-angelo-2di Aaron Pettinari - 16 marzo 2015
Alla prossima udienza l'esame del teste Michele Riccio
Non venne affiliato ufficialmente per “strategia” in quanto si occupava di politica ed appalti ma era ben inserito all'interno dell'organizzazione criminale a tal punto che Angelo Siino (in foto), oggi collaboratore di gisutizia, si guadagnò l'appellativo di “ministro dei lavori pubblici” di Cosa Nostra. Il pentito è stato ascoltato la scorsa settimana, presso l'aula bunker di Mestre, al processo d'appello contro gli ufficiali dell'arma Mario Mori e Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura di Bernardo Provenzano a Mezzojuso, nell'ottobre '95. Un esame durato poco più di tre ore in cui il teste ha riferito riguardo a quella strategia della tensione, messa in atto da Cosa nostra con le stragi dei primi anni novanta, e non solo. Secondo la Procura si tratta di elementi importanti in quanto, leggendo quanto scritto nella memoria depositata al processo “Assume rilevanza probatoria il fatto che invece il generale Mori, pur essendo venuto a conoscenza da fonti qualificate quali Paolo Bellini (la cui vicenda non è entrata all'interno del dibattimento nonostante la richiesta dei pg Roberto Scarpinato e Patronaggio, ndr) e Angelo Siino di taluni aspetti di tale complessa strategia della tensione, non solo non abbia svolto alcuna attività investigativa, ma neppure, tenuto conto della sua passata esperienza di uomo dei servizi e delle sue amicizie con esponenti della destra eversiva e della massoneria, si sia attivato per allertare comunque le istituzioni”.

Rispondendo alle domande del sostituto pg Luigi Patronaggio, Siino ha riferito del primo contatto avuto con gli uomini del Ros:“Avvenne in una pausa del processo Mafia-Appalti, che mi riguardava da vicino. C'era De Donno che faceva la sua testimoinanza e in quella occasione mi fece capire che c'era la possibilità di venirmi a trovare al carcere di Termini Imerese. Io rimasi particolarmente sorpreso di questa possibilità e mi preoccupai anche perché, siamo nel 1993, se vi fossero stati certi incontri fuori si sarebbe saputo. Questi incontri con De Donno e con il generale Mori, allora colonnello, vennero effettuati. Spesso anche smentiva quello che diceva De Donno. Erano incontri informali perché De Donno diceva che dovevamo sbrigarci e dava per scontato che da lì a poco avrei collaborato anche io. Da Termini venni poi trasferito a Carinola per evitare sospetti e mi portarono assieme ai coimputati Buscemi, Rosario Cascio”. Un altro incontro fu poi quello all'ospedale Umberto I, quando Siino era agli arresti domiciliari. All'epoca avvocato dell'ex “ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra” era Nicolò Amato (ex Direttore generale degli istituti di prevenzione e pena, nonché legale di Vito Ciancimino). “Durante questi incontri – ha ricordato Siino innanzi alla Corte presieduta da Salvatore Di Vitale – mi fanno capire, mi dicono che Vito Ciancimino sta parlando, e che si era messo a disposizione per risolvere i problemi attuali della Sicilia. E io intesi che c'era anche il riferimento a quei casini sulle bombe”. Siino ha anche detto che De Donno gli disse “di andare a parlare con Bernardo Brusca, come ad avere il benestare a questa mia collaborazione”. Inoltre, parlando di quei dialoghi in carcere ha anche aggiunto che in generale “c'era un certo andirivieni di personaggi della polizia, dei carabinieri, della finanza, frequentatori abituali delle carceri dello Stato”.

Quando Ciancimino “Diabolik” disse “vediamo di risolvere qualcosa”
Durante il periodo di detenzione al carcere “Rebibbia” di Roma, Siino si trovò a condividere il carcere con lo stesso Vito Ciancimino. “Lui – ha detto il pentito - era un Diabolik della politica e della mafia siciliana. Alcuni dicevano 'guai a chi ci capita. Lui sapeva dove mettere le mani e pur essendo un geometra per la sua conoscenza della politica riusciva a mettere le cose giuste al posto giusto al momento giusto”. “Quando eravamo in carcere assieme mi disse 'vediamo di risolvere qualcosa' – ha aggiunto – Eravamo in condizioni terribili a quel tempo. C'erano le legnatine, le pressioni all'interno delle carceri, si limitavano i contatti con le famiglie”.

Cosa nostra divisa
In merito al periodo successivo all'arresto di Riina, Siino ha riferito di una divisione che vedeva contrapposti Bagarella e Provenzano, con il primo che si trovò di fatto al comando di Cosa nostra: “C'era Bagarella che si portava sempre appresso Brusca. Ricordo che una volta Piddu Madonia, che era vicino a Provenzano, mi dice di Bagarella che questi era un pazzo , un esaltato, che con il cervello non ci stava più. Mi fa capire anche che Provenzano non era d'accordo con le stragi. E tramite mia moglie, che parlava con Sangiorgi (vicino a Brusca, ndr) vengo anche a sapere che non vi saranno più stragi in Sicilia ma in Italia qualche altra cosa.

Gioé e la torre di Pisa
Di questi attentati in continente, parlò a Siino anche Antonino Gioé, morto suicida in carcere in una notte di luglio nel 1993: “Lui portava sempre notizie di prima mano. Intuivo che lui parlava con i servizi segreti perché sapeva sempre qualcosa di cui mai si parla in Cosa nostra. Da Gioé appresi che vi sarebbero stati gli attentati alle opere d'arte e addirittura alla torre di Pisa. E lo stesso mi disse Simone Benanti, che parlò anche lui con Gioé”. Alla domanda di Patronaggio se di queste cose ne parlò con Mori e De Donno, Siino ha risposto deciso: “Sono loro a parlarne a me. Mi vengono a trovare e per farmi cercare di collaborare. Mi dicono 'lo vedi che sta succedendo e le situazioni che ci sono'. Vennero decisi a chiedermi dell'attentato a Costanzo mostrandomi una foto di una donna e mi chiesero chi fosse. Io risposi che era la fidanzata di Giovanni Brusca. Loro mi spiegarono che sarebbe stata vista alla guida della Mercedes che seguiva Costanzo”. “Quindi loro sapevano nel 1993 che era Cosa nostra e non altre sigle esterne ad essere dietro a queste cose?” ha proseguito Patronaggio. E ancora Siino: “Si. Me lo dissero loro”.

“Flamia? Mi dicevano di non fidarmi di lui”
Tra le questioni toccate durante al dibattimento, anche quella del pentito Sergio Flamia. Mentre si parlava di Servizi segreti, Siino in aula ha aggiunto: “Ho saputo della collaborazione di Flamia, io lo conoscevo. Ho letto che era confidente o spia per i servizi segreti e subito ho pensato. Se così era perché non hanno preso Provenzano 10 anni fa?”. E poi ancora: “Su di lui mi risultano dei sospetti da parte di un certo Di Salvo, uno che faceva i movimenti terra (quindi Gino, ndr) mi diceva di non fidarmi di questo Flamia. Siamo nel 1991. Questo era chiacchierato ed io lo conoscevo non come uomo d'onore ma a disposizione. Era molto vicino a Piddu Madonia”.
Siino ha successivamente raccontato l'episodio intercorso tra il '94 ed il '95, quando ancora non si era pentito ma rivestiva il ruolo di “confidente”. “Andammo ad Aspra, uno dei luoghi di solito frequentati da Provenzano e Brusca. Mi trovavo in macchina con il colonnello Meli. Ad un certo punto vidi in un'auto che conoscevo, in quanto utilizzata da Carlo Guttadauro, altro mafioso, la presenza di Provenzano. 'C'è Provenzano c'è Provenzano' dissi in auto. Meli restò sorpreso, non riuscì a fare inversione, non venne fatto alcun inseguimento e perdemmo di vista la macchina”.

Cosa nostra e la massoneria
Personalmente Siino era iscritto alla loggia massonica “Orion” di Palermo. Ma c'erano anche altri soggetti, all'interno di Cosa nostra che avevano a che fare direttamente o indirettamente con la massoneria. Ha confermati che tra questi vi era Stefano Bontade “che era iscritto alla loggia massonica Camea” e che si era adoperato anche con una sua loggia, nota come dei “Loggia dei Trecento”. “Poi- ha aggiunto Siino - c'erano Francesco Bonura, di Uditore, affiliato e massone così come Enzo Piazza. Entrambi erano all'interno della loggia Grande Oriente d'Italia e molto vicini a Vito Ciancimino”. Il processo si è quindi concluso con il rinvio all'udienza del prossimo 15 aprile quando, secondo calendario, è prevista l'audizione di uno dei teste principale dell'accusa ovvero l'ex colonnello Michele Riccio. 

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