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papa-francesco8Il procuratore Roberti: “Per secoli non si è fatto niente”
di Stefano Perri - 25 febbraio 2015
“A fronte di tanti segni di falsa religiosità, chi doveva coglierli e contrastarli davanti allo stesso popolo non lo ha fatto”. E’ durissimo il giudizio della relazione della Direzione Nazionale Antimafia nel passaggio dedicato al rapporto tra le mafie e le strutture ecclesiastiche. “Preti e Vescovi in Calabria, Sicilia e Campania sono stati, salvo rare e nobilissime eccezioni, silenti e hanno perfino ignorato messaggi forti che pur provenivano dall’alto”. Un’accusa precisa e circostanziata quella della Dna, che non lascia spazio ad interpretazioni. La chiesa ha tollerato, ha omesso, ha consentito lo svilupparsi del potere criminale. Non ha saputo o non ha voluto utilizzare la sua proverbiale influenza sociale per contrastare l’ascesa della ‘ndrangheta. L’inchino davanti alla casa del boss Mazzagatti durante la processione di Oppido Mamertina è solo una delle manifestazioni più evidenti, l’ultima in ordine cronologico, di un rapporto che affonda le sue radici in decenni di connivenza. “Sono convinto che la Chiesa potrebbe moltissimo contro le mafie e gran parte delle responsabilità le ha proprio la Chiesa perché per secoli non ha fatto niente” ha detto il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti durante la presentazione della relazione annuale.

Roberti ha anche ricordato alcuni esempi chiari ed inoppugnabili: “Penso al discorso di Giovanni Paolo II fatto alla Valle dei Templi ma dopo quello? Silenzio assoluto. Zero reazioni, nonostante omicidi come quello di Padre Puglisi, fino al 2009 quando la Conferenza Episcopale ne parlò. Oggi dopo altri sei anni Papa Francesco ne parla apertamente e parla di scomunica”. Del cambio di rotta che si è manifestato di recente si parla anche nella relazione. Un primo segnale arriva con il Decreto del Vescovo di Acireale che il 20 giugno 2013 ha vietato nella sua Diocesi il funerale in chiesa “al mafioso condannato che non abbia manifestato, “nel faro esterno”, alcun segno di ravvedimento”. Un provvedimento che la relazione definisce “innovativo”, che "quasi anticipa il senso religioso della scomunica lanciata ai mafiosi da Papa Francesco in Calabria”. E’ qui, secondo i magistrati della Dna, il segno più evidente del nuovo corso inaugurato dal Santo Padre. Durante la sua visita in Calabria il Papa “ha pronunciato parole di grande impegno, quasi un programma antimafia”. “E dopo quella visita - segnala la Direzione Antimafia - l’atteggiamento della chiesa locale è cambiato: sono così finalmente risuonate esplicite parole di condanna contro quella blasfema manifestazione di finta religiosità avvenuta a Oppido Mamertina e sono stati maggiormente sostenuti giovani preti che operano sull’esempio di due eroi dell’antimafia che sono don Peppino Diana e don Pino Puglisi, uccisi a causa dei valori che divulgavano”. Un cambio di rotta al quale i magistrati della Dna assegnano un’enorme valenza culturale e valoriale. Una vera e propria rottura. “Il mutato atteggiamento della gerarchia ecclesiastica non può sfuggire - si legge nella relazione - esso può essere determinante per una crescita di cultura e legalità”. A dare ancora più valore alle considerazioni della Dna proprio nei giorni scorsi il Santo padre è tornato ad ammonire i mafiosi con forza durante l'udienza in Vaticano alla diocesi di Cassano allo Jonio: “A quanti hanno scelto la via del male e sono affiliati a organizzazioni malavitose rinnovo il pressante invito alla conversione. Aprite il vostro cuore al Signore!”. E poi ha aggiunto: “Il Signore vi aspetta e la Chiesa vi accoglie se, come pubblica è stata la vostra scelta di servire il male, chiara e pubblica sarà anche la vostra volontà di servire il bene. I gesti esteriori di religiosità non bastano per accreditare come credenti quanti, con la cattiveria e l'arroganza tipica dei malavitosi, fanno dell'illegalità il loro stile di vita. Non si può dirsi cristiani e violare la dignità delle persone; quanti appartengono alla comunità cristiana non possono programmare e consumare atti di violenza contro gli altri e contro l'ambiente. I gesti esteriori di religiosità non accompagnati da vera e pubblica conversione non bastano per considerarsi in comunione con Cristo e la sua Chiesa”. Infine ha concluso: “Vorrei riaffermare un pensiero che vi ho suggerito durante la mia visita: chi ama Gesù, chi ne ascolta e accoglie la Parola e chi vive in maniera sincera la risposta alla chiamata del Signore non può in nessun modo darsi alle opere del male”.

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