“Attentato Falcone deciso dopo morte Chinnici"
di AMDuemila - 13 gennaio 2015
"Nel 1984, 1985, 1986 Cosa Nostra fece fronte comune per frenare l'attacco giudiziario. Come sempre quando non si otteneva il risultato di 'addomesticare' i processi avvicinando magistrati e giudici popolari, si andava per le vie criminali, di uccidere i magistrati o chi non si metteva a disposizione”. A dichiararlo è stato il pentito Bernardo Brusca, nel corso della testimonianza avvenuta questa mattina in collegamento videoconferenza al processo di Firenze sulla strage del rapido 904 del 23 dicembre 1984, unico imputato Totò Riina. Il collaboratore ha parlato anche dell’uccisione del giudice Falcone: "La morte di Giovanni Falcone, per quello che so io, fu decisa dopo la morte di Chinnici, ma l'attentato venne rinviato più volte" per diversi motivi. Brusca ha inoltre ricordato che "dopo la strage del 904 ci fu l'attentato al giudice Carlo Palermo, perché tentava di avere collaboratori di giustizia" tra i mafiosi. Tra gli obiettivi di Cosa Nostra durante i processi dagli anni '80 c'era quello di evitare gli ergastoli, anche inquinando le prove nella fase difensiva.
"In aula bunker a Palermo per il maxi processo - ha proseguito Brusca - mi avvicinai alla gabbia degli imputati e Pippo Calò mi disse di far sparire, occultare l'esplosivo, in particolare si riferiva a mine anticarro, perché, mi diceva, se avessero trovato questo materiale, diventava una prova a suo carico per la sua corresponsabilità nella strage” parlando del tentativo di Calò (condannato all'ergastolo per la strage del 904) di nascondere l'arsenale di Cosa Nostra dove c'era esplosivo analogo a quello ritrovato in provincia di Rieti.
"Dopo qualche giorno riferii la richiesta di Calò a Salvatore Riina - ha proseguito Brusca - ma, col sorriso sulle labbra, mi disse di non preoccuparsi, 'Me la vedo io'". "Calò - ha raccontato il pentito - era preoccupato che se si fosse trovato quel deposito diventava prova che Cosa Nostra era responsabile nella strage del treno 904". Brusca ha dichiarato di non sapere altro del rapido 904. Nel 1996 a San Giuseppe Jato fu ritrovato l'arsenale di cui lo stesso Brusca fu a lungo custode per il suo mandamento. "Io all'epoca" del maxi-processo, nel 1986, - ha anche detto il pentito - "ero libero: dopo esser stato arrestato ero in sorveglianza speciale ma avevo la possibilità di partecipare al maxi-processo, così potei avvicinare Calò all'aula bunker". Invece, "Riina era latitante, ma lo incontravo in tantissimi posti, specialmente a Palermo", ha riferito Brusca, facendo i nomi di alcuni boss presenti a questi incontri. "I rapporti tra Riina e Calò erano ottimi", ha anche detto Brusca rispondendo alle domande, "anche perché nella guerra di mafia del 1981 erano i primi due obiettivi che dovevano morire, essere uccisi". Brusca ha detto anche che "Pippo Calò prendeva ordini da Salvatore Riina che era il capo provincia". "Io - ha aggiunto in un altro passaggio della testimonianza - mi rapportavo con Totò Riina, quello che diceva lui, io facevo. Abbiamo raggiunto un rapporto di stima e di fiducia che superava quello di mio padre, quello filiale". Inoltre, riguardo all'arsenale di San Giuseppe Jato, Brusca ha anche riferito che "ogni mandamento aveva il suo piccolo arsenale, per quello che mi riguarda l'avevamo in contrada Giambascio presso San Giuseppe Jato. Queste armi provenivano da varie parti, o dalla zona di Palermo o tramite la Svizzera, in parte dalla Thailandia col traffico di droga, allora si parlava di eroina". Si trattava di "mine anticarro, bazooka, mitragliatori, munizioni" arrivate con partita di droga.
Fonte ANSA