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latrattativa-film-guzzantiFotogallery
di Sara Donatelli - 12 dicembre 2014
Presentato a Palermo il film della Guzzanti
Piccoli sprazzi di quel fresco profumo di libertà di cui parlava Paolo Borsellino. Piccoli ma significativi tentativi di comprendere e confrontarsi su quella che è sicuramente stata una delle pagine più nere della storia del nostro paese: le stragi del 1992 e del 1993. Comprendere il passato per affrontare il futuro. Un futuro che è in mano ai giovani grazie ai quali Paolo Borsellino, negli ultimi giorni di vita, diceva di essere ottimista. Gli stessi giovani che ieri, incollati ad una sedia, guardavano con gli occhi sgranati il film “La Trattativa” di Sabina Guzzanti: bombe esplose, corpi dilaniati, stragi su stragi, attentati su attentati. Ed uno Stato che preferisce abbattere quel “muro contro muro” con Cosa Nostra. Uno Stato che si mostra sordo all’esplosione delle bombe, cieco al dolore dei familiari delle vittime di mafia, muto di fronte all’evidenza dei fatti. Pronto a negare l’innegabile, a giustificare ciò che giustificabile non è.  Uno Stato che delegittima, isola e disarma tutti coloro che fanno del proprio mestiere una missione, tutti quei magistrati che dedicano la propria esistenza ala ricerca della verità, al compimento della giustizia. Una giustizia piena, senza ombre e segreti, senza silenzi e omissioni.

Giornata importante dunque ieri a Palermo, dove, presso l’ex cinema Edison, grazie alla collaborazione di Contrariamente e Movimento Agende Rosse di Palermo,  si è proiettato il docu-film della Guzzanti che offre senza alcun dubbio un’ottima chiave di lettura per analizzare ciò che è accaduto durante quegli anni di fuoco. “Il film lascia sicuramente molte porte aperte- afferma la regista-  Per tale ragione si può parlare di un film “democratico”, in quanto permette di mettere tutti coloro che lo guardano nella condizione di capire, ma al contempo di porsi domande. Personalmente credo nella democrazia, ma ritengo che la cosa più importante sia credere in se stessi, nella propria intelligenza e capacità”. Molto commossi invece gli interventi di Sabrina Sanzone (Contrariamente) che afferma orgogliosa: “Oggi i giovani hanno dato un grande messaggio a tutti coloro che li accusano di “non curanza”; mentre Rosaria Melilli, portavoce del Movimento delle Agende Rosse di Palermo, dichiara “Il mio sogno è che la mafia venga sconfitta da un esercito di insegnanti, pronti ad infondere coraggio a tutti quei ragazzi che non vogliono che si ripeta una strage di Stato”. Prosegue Giorgio Colajanni di Scorta Civica “La nostra è una democrazia debole e sta a noi difenderla, lo Stato siamo noi e non tutti quei traditori che continuano a calpestare la nostra Costituzione!”. Tanta emozione, rabbia, voglia di cambiamento ieri a Palermo. Tante persone che, pur diverse tra loro, decidono di confrontarsi su un tema tanto importante quanto drammatico che ha profondamente segnato la storia del nostro Paese. “Se Cosa Nostra fosse stata sconfitta, non ci sarebbero ordini o tentativi di attentato. E’ dunque logico pensare che la mafia sia il braccio armato di Sistemi Criminali che vogliono uccidere tutti quei magistrati che “vanno oltre”. Da 150 anni lo Stato convive e governa con la mafia che ha ormai cambiato totalmente aspetto. E alla base di questo strettissimo legame vi è il denaro.


Abbandoniamo l’idea della coppola e della lupara: siamo di fronte a colletti bianchi, finanzieri, banchieri che riescono ad infiltrarsi in borsa, rendendo l’economia del nostro paese un’economia criminale. Il problema è che la nostra classe dirigente è formata da incompetenti ed ignoranti che non sanno cosa fare. Solo e soltanto noi possiamo liberarci da questo cancro, manifestando con forza la nostra voglia di cambiamento radicale” afferma il direttore di Antimafia Duemila, Giorgio Bongiovanni. Analizzare i fatti di quegli anni e comprendere quali conseguenze essi abbiano sul nostro presente non è sicuramente facile. Tanti, troppi i depistaggi, le verità occultate, i “non ricordo”. Tante, troppe le domande che ci poniamo di fronte alla possibilità, o meglio certezza, che gran parte delle nostre istituzioni siano colluse, malate, deviate. Tanta, troppa la rabbia di fronte a chi continua a giustificare la trattativa, sostenendo che essa fu necessaria per evitare altre stragi. Ma così non fu, ed è palesemente chiaro. Capaci, Via D’Amelio, Via Palestro, Via Fauro, Via dei Georgofili sono la risposta concreta e drammatica di come la trattativa servì solo a spargere altro sangue. “Rimango esterrefatto nel sentire come Mario Mori descriva quell’interlocuzione con Ciancimino come un “baratto”. Ma come si può pensare di chiedere la resa ai boss mafiosi nel momento di maggiore debolezza dello Stato e di maggiore forza militare della mafia? E’ inoltre ridicola l’ipotesi della sussistenza dello stato di necessità. Negli anni ’80 sono stati uccisi tantissimi servitori dello Stato.  Boris Giuliano, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Rocco Chinnici, Beppe Montana, Ninni Cassarà e tanti altri. Cosa cambiò allora nel 1992? Davvero lo Stato non ebbe alcuna alternativa? La verità è che alcuni apparati dello Stato, gli stessi sistemi criminali di cui parla anche Scarpinato, hanno utilizzato la forza violenta di Cosa Nostra per instradare l’Italia verso un’altra direzione e torcere l’indirizzo fisiologico del Paese. E la reazione del potere politico conferma questa ipotesi in quanto lo Stato si è dimostrato addirittura più omertoso della mafia” afferma l’avvocato Repici.  La mafia come “instrumentum regni”, la mafia come braccio armato di menti raffinatissime, la mafia come interlocutrice in quella scellerata trattativa intavolata da uomini dello Stato. “Non fu un’operazione di polizia giudiziaria – continua Repici -  e Vito Ciancimino non fu una fonte confidenziale dal quale ottenere informazioni, ma un vero e proprio tramite per arrivare ai boss corleonesi, soprattutto a Bernardo Provenzano. E’ dunque illogico giustificare queste scelte”. Illogico negare o giustificare la trattativa. Così come è illogico pensare che un uomo, per il semplice fatto di svolgere con diligenza il proprio mestiere di magistrato, rischi di saltare in aria insieme ai ragazzi della sua scorta. Illogico che ancora oggi non sappiamo dove si trovi l’Agenda Rossa di Paolo Borsellino. Illogico che dopo 22 anni siamo ancora di fronte ad un rischio attentato altissimo. Illogico che la classe politica non prenda seri e concreti provvedimenti per neutralizzare definitivamente il potere economico delle organizzazioni criminali. Illogico che dopo 25 anni dall’uccisione di Antonino e Ida Agostino, la famiglia stia ancora aspettando giustizia. Ma è logico e legittimo pensare che, nonostante tutto, la possibilità di cambiare le cose ci sia ancora e che aspetti solo di essere alimentata dalle speranze e dalle azioni di tutti coloro che chiedono a gran voce verità e giustizia. Proprio per questo la notizia comunicata ieri appare come uno spiraglio di luce in un tunnel buio e macabro. “Ad oggi mi sento di dire che il processo per l’omicidio di Antonino e Ida Agostino si farà”, afferma il legale della famiglia. Crederci dunque, crederci con tutte le proprie forze senza arrendersi mai. Ed essere “eretici” come ha ribadito l’avvocato Repici, “mantenendoci cittadini liberi e pensanti”. E poco importa se ad oggi viviamo in uno stato criminale di scribi e farisei. Quel fresco profumo di libertà arriverà, e porterà via definitivamente tutto il marcio del nostro Paese.

Foto © Antonella Morelli

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