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lombardo-raffaele-web6di Francesca Mondin - 11 dicembre 2014
“I servizi contattarono boss per scagionare Lombardo”. Il pentito rivela il ruolo di “Faccia da mostro” nell’attentato all’Addaura
Esponenti dei servizi segreti avrebbero proposto ad un boss catanese di diventare un falso pentito per  scagionare l’ex presidente della regione Raffele Lombardo (condannato a febbraio per concorso esterno in associazione mafiosa a 6 anni e 8 mesi, ndr). “Faccia da mostro” avrebbe avuto un ruolo nell’omicidio di Nino Agostino e nel fallito attentato all’Addaura. Questi gli argomenti delle ultime dichiarazioni del neo pentito Vito Galatolo. I legami tra servizi segreti e mafia sono oggi come non mai al centro dell’attenzione per gli organi preposti alla ricerca della verità in Italia.  Basti pensare alle indagini del Copasir sul protocollo Farfalla e Rientro, alle ultime documentazioni ammesse agli atti del processo trattativa.

Proprio poche settimane fa il sottosegretario Marco Minniti ha assicurato che gli uomini dell’Aisi (Agenzia informazioni e sicurezza interna, ndr) non hanno fatto alcun accesso illegale nelle carceri.
Ma a smentire questa versione, oltre al racconto di Flamia ex confidente dei servizi segreti che ha parlato di 2 incontri avvenuti tra il 2008 e il 2011 con dei 007 in veste di finti avvocati, ora si aggiungerebbero le dichiarazioni Vito Galatolo, il neo collaboratore di giustizia che nelle scorse settimane ha svelato i particolari del piano di morte nei confronti del pm di Palermo Nino Di Matteo. L’ex boss dell’Acquasanta avrebbe rivelato di un incontro tra un boss catanese e alcuni esponenti dei servizi segreti avvenuto in carcere con il fine di scagionare Raffaele Lombardo.
Galatolo sarebbe venuto a conoscenza del fatto dal diretto interessato, in cella, mentre i due commentavano le tante notizie che in quel periodo giravano in riferimento al “Protocollo Farfalla”. La vicenda sarebbe saltata fuori quando, nella discussione, si sarebbe iniziato a parlare dell’ex presidente della regione Lombardo. Il compagno di cella di Galatolo a quel punto avrebbe iniziato a raccontare che qualche mese addietro gli sarebbe stato offerto un gran quantitativo di denaro in cambio di determinate dichiarazioni che avrebbero alleggerito la posizione di Raffaele Lombardo.
Di fatto il capitolo sulle frequentazioni illegali di uomini dei servizi segreti nelle carceri con detenuti sotto regime di 41 bis si infittisce, sarà compito dei pm capire chi si cela dietro questi due personaggi e se appartenevano o meno ai servizi segreti.

Nel fiume di rivelazioni che sta rilasciando Galatolo ai pm di Palermo e Caltanissetta il pentito avrebbe quindi nominato anche “Faccia da mostro”, il killer sfigurato in viso, citato da molti collaboratori di giustizia come l’uomo di collegamento tra cosche e servizi segreti, che avrebbe partecipato ad omicidi e stragi in Sicilia tra gli anni Ottanta e Novanta.
Vito Galatolo, sulla base di quanto appreso dal padre, avrebbe parlato di “Faccia da mostro” in riferimento al fallito attentato all’Addaura nel giugno del l’89 contro Giovanni Falcone e all’omicidio di Nino Agostino poliziotto ammazzato il 5 agosto dello stesso anno insieme a sua moglie Ida. Fatti di cui aveva parlato anche il confidente Luigi Ilardo nel 1995, “Noi – aveva raccontato al colonnello dei carabinieri Michele Riccio – sapevamo che c’era un agente a Palermo che faceva cose strane e si trovava sempre in posti strani. Aveva la faccia da mostro. Siamo venuti a sapere che era anche nei pressi di Villagrazia quando uccisero il poliziotto Agostino”.
“Faccia da mostro” a suo tempo era stato identificato in Giovanni Aiello, ex dirigente della polizia in pensione, per mesi indagato da quattro procure per certi suoi contatti con le cosche e per le vicende delle stragi del 1992. A giugno scorso la sorella di Vito Galatolo, Giovanna (pentitasi una anno prima del fratello, ndr), aveva riconosciuto l’ex poliziotto in un confronto all’americana indicandolo come “l’uomo utilizzato come sicario in affari riservati”.
Anche il padre di Nino Agostino avrebbe riconosciuto nell’ex dirigente di polizia l’uomo che si era presentato a casa sua due giorni prima dell’omicidio. “E’ quello che è venuto una settimana prima a chiedere di Nino, una faccia così non si può dimenticare” avrebbe detto difronte alla foto di Aiello. Fatti che Giovanni Aiello ha sempre negato.
L’associazione Aiello-“faccia da mostro” l’avevano fatta anche Nino Lo Giudice e Giuseppe Maria di Giacomo. Il primo ex capo di una cosca calabrese ritenuta da sempre in contatto con i servizi segreti che, prima di ritrattare, aveva parlato di lui e di una donna spesso in sua compagnia come di due esponenti dei servizi deviati preparati a commettere omicidi. Il secondo invece è un collaboratore di giustizia, ex killer del clan catanese dei Laudani, che aveva indicato Aiello come il coautore di una serie di omicidi, commessi da un gruppo di fuoco occulto, legato allo stesso clan Laudani. Di Giacomo sarebbe tra i boss che furono contattati per avere informazioni riservate in cambio di denaro sulla base del famoso Protocollo Farfalla firmato tra il Sisde e il Dap nel 2004 (quando il direttore del Sisde era Mario Mori mentre Giovanni Tinebra dirigeva il Dap, ndr).

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