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via-dei-georgofili-4di Lorenzo Baldo - 3 dicembre 2014
Nella requisitoria al processo Mannino tornano sotto i riflettori la trattativa sancita dalla sentenza di Firenze e i nodi del 41-bis e della dissociazione
Palermo. E’ lo stralcio della sentenza di Firenze sulle stragi del ’93 (passata in giudicato) a tornare sotto i riflettori durante la requisitoria di Roberto Tartaglia, a dimostrazione di come fosse già stata cristallizzata la questione della “trattativa” in ambito processuale. “Non si comprende assolutamente – scrivevano i giudici fiorentini il 6 giugno 1998 – come sia potuto accadere che lo Stato, in ginocchio nel ’92 secondo le parole dello stesso Generale Mori, si sia potuto presentare a Cosa Nostra per chiederne la resa; non si comprende come Ciancimino, controparte in una trattativa almeno fino al 18 ottobre ’92, si sia trasformato dopo pochi giorni in confidente dei Carabinieri; non si comprende come il Generale Mori e il Capitano De Donno siano rimasti sorpresi per una richiesta di showdown, giunta, a quanto logico ritenere, addirittura in ritardo”. “Quello che conta – sottolineavano ancora i giudici della Corte di Assise – è come apparve all'esterno, e oggettivamente, l'iniziativa del ROS e come la intesero gli uomini di Cosa Nostra; conseguentemente  importa quale influenza ebbe sulle determinazioni di costoro; sotto questo aspetto, vanno dette alcune parole non equivoche: l'iniziativa del ROS, perché di questo organismo si parla, posto che vide coinvolto un capitano (De donno), il vice-comandante Mori, e lo stesso comandante del reparto Subranni, aveva tutte le caratteristiche per apparire come una trattativa”. Eccolo il termine – scritto nero su bianco in tempi non sospetti – al quale oggi viene quasi sempre accostato l’appellativo di “presunta”. “L'effetto che ebbe sui capi mafiosi – legge in aula il pm – fu quello di convincerli definitivamente che la strage era idonea a portare vantaggi all'organizzazione. Sotto questi profili, non possono esservi dubbi di sorta, non solo perché di trattativa, di dialogo ha espressamente parlato il Capitano De Donno, ma soprattutto perché non merita nessuna qualificazione diversa la proposta, non importa con quali intenzioni formulata, di contattare i vertici di Cosa Nostra per capire cosa volessero in cambio. Qui la logica si impone con tanta evidenza, che non ha bisogno di essere spiegata”. Per Tartaglia le parole della sentenza fiorentina “sono lapidarie e chiarissime” al punto che evidenziano “quella che fu la vera matrice di questa iniziativa, che è un’attività di matrice e di iniziativa politica, e non è mai stata – neanche solo per un attimo soltanto – un’attività di polizia giudiziaria o di generale prevenzione dei reati da parte delle forze di Polizia”. Del resto lo stesso Mori all’udienza del 27 gennaio ’98 di quello stesso procedimento penale era stato alquanto esplicito: “Ciancimino mi chiedeva se io rappresentavo solo me stesso o anche altri. Certo, io non gli potevo dire beh, signor Ciancimino, lei si penta, collabori che vedrà che l'aiutiamo, e gli dissi lei non si preoccupi, lei vada avanti. Lui capì e restammo d'accordo che volevamo sviluppare questa trattativa”.

Il nodo del 41 bis e della dissociazione
Tra le richieste di Riina allo Stato contenute nel famigerato “papello” il pm sottolinea l’importanza di quella relativa alla revoca del 41-bis, così come quella inerente alla “dissociazione”. Si trattava dell’estensione per legge, anche ai detenuti mafiosi, dei benefici processuali e penitenziari previsti per i terroristi politici in caso di dissociazione (in caso di semplice presa di distanze dall’organizzazione, pur senza alcun contributo collaborativo). In aula Tartaglia evidenzia che nel corso del ‘93 era stato proprio Mannino, nella veste di “motore ed input della trattativa del Ros”, ad intervenire ancora per “sollecitare e garantire l’adempimento degli impegni assunti con Cosa Nostra nel corso della prima fase della trattativa, con particolare riferimento proprio al discorso della revoca e dell’alleggerimento del regime penitenziario previsto dal 41-bis”. Secondo la ricostruzione del pm in quel momento era “ancora più chiara la veste articolata assunta da Mannino in questo procedimento”, e cioè quella di “motore-istigatore prima e di garante di continuità e di osservanza dopo”. Attraverso le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo Tartaglia evidenzia un importante riscontro: già nelle settimane immediatamente successive alla consegna del papello (giugno ’92) “si iniziò a lavorare alla questione dell’estensione dei benefici della dissociazione” e quindi “se si iniziò a lavorare, ciò significativamente vuol dire che lo si fece in via informale, posto che i primi discorsi pubblici sulla possibilità di estendere i benefici della dissociazione furono fatti ufficialmente molto più tardi, cioè nel ‘95-‘96”. Il pm ribadisce inoltre che a fronte della conoscenza diretta dello stesso Mutolo (che aveva ascoltato una conversazione tra Paolo Borsellino ed alcuni ufficiali della Dia a margine del suo interrogatorio tra il 16 e il 17 luglio ‘92) la circostanza di quel progetto di “dissociazione” era venuta direttamente a conoscenza di Borsellino “che si palesò fin da subito esterrefatto a fronte di questa possibile iniziativa”. E sono sempre le parole di Mutolo ad essere citate nella requisitoria del dott. Tartaglia: “Borsellino disse, nella pausa, che chi voleva la dissociazione era pazzo”. “Dai discorsi fatti – aveva specificato Mutolo – io capii che gli interlocutori facevano riferimento alla circostanza che l’allora colonnello Mori, che non venne espressamente indicato ma che era facilmente individuabile dai riferimenti fatti dai funzionari della Dia, scendeva spesso a Palermo in quel periodo e aveva contatti all’interno di Cosa Nostra per trattare”. Per il pm quindi la circostanza della dissociazione riferita da Mutolo in merito ai discorsi fatti nel luglio del ’92 è sostanzialmente “riscontrata” dalla testimonianza dell’ex Colonnello Domenico Di Petrillo, all’epoca in servizio alla Dia, che in quel periodo gestiva lo stesso Mutolo nella sua collaborazione. Ad avallo di ciò Tartaglia riprende infine le dichiarazioni rese nel 2010 da Edoardo Fazioli, all'epoca dei fatti vice-direttore del Dap. In quel verbale Fazioli aveva dichiarato che nel secondo semestre del ‘92 si era iniziato a discutere, non pubblicamente, ma all’interno del Dap, di organizzare nelle carceri le cosiddette “aree omogenee di detenzione”. Praticamente si trattava di aree che, così come era già accaduto per i terroristi dissociati, “accogliessero con un regime carcerario molto più blando di quello ordinario i detenuti di mafia che avessero semplicemente dichiarato di volersi dissociare da Cosa Nostra”. Lo stesso Fazioli non era stato in grado di spiegare da chi fosse partita questa indicazione di cui si parlava nel “papello” e che veniva “ufficiosamente” discussa in ambienti istituzionali.

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