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toga-web7Si torna in aula il 18 marzo 2015
di Rino Giacalone - 21 novembre 2014
La partita processuale non è chiusa. L’ex sottosegretario all’Interno, senatore Antonio D’Alì, da poco rientrato in Forza Italia sotto l’ala “protettrice” del cavaliere Berlusconi,  tornerà il 18 marzo 2015 davanti ai giudici con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il processo di primo grado si è chiuso con una sentenza di marca “andreottiana”: prescrizione per i fatti contestati sino al 1994, assoluzione per tutti i fatti successivi sino alla data del rinvio a giudizio (2011). I pm Andrea Tarondo e  Paolo Guido hanno presentato appello, la stessa cosa ha fatto la Procura generale di Palermo con la firma del sostituto procuratore generale, Anna Maria Leone. Adesso toccherà ai giudici della IV sezione della Corte di Appello riprendere in mano il dibattimento. Una sentenza, quella pronunciata il 30 settembre 2013 dal gup Giovanni Francolini, che ha fatto registrare un dato pesante lo ha fatto registrare: fino alla data della sua elezione al Senato, nel 1994, D’Alì era a disposizione della famiglia mafiosa dei Messina Denaro. Fatto costituente reato che, però, per il giudice è da considerarsi prescritto.

Perché secondo i pm il processo D’Alì deve andare in Appello. Nei “motivi” di appello, i pubblici ministeri, Guido e Tarondo, hanno messo in evidenza quello che a loro avviso è stato un grave errore del giudice: “frammentare” le ipotesi di accusa. Sostanzialmente, dalla lettura della sentenza emerge, ad avviso dei pm, una valutazione singola di ogni fatto di reato contestato all’imputato.Sia dalle dichiarazioni del collaborante Nino Birrittella, che faceva parte della cupola trapanese di Cosa nostra, sia dal contenuto delle intercettazioni nonché dall’esito di indagini,  per i pubblici ministeri si coglie il fatto che determinate certezze nutrite dal capo mafia Francesco Pace, come quella sul trasferimento da Trapani del prefetto Fulvio Sodano, derivavano dalla certezza che Cosa nostra coltivava per via dei rapporti diretti con il senatore D’Alì.   Altro episodio preso in esame quello delle elezioni regionali del 2001, quando la mafia di don Ciccio Pace decise di schierarsi con l’on. Bartolo Pellegrino e non del tutto con Giuseppe Maurici, candidato del senatore D’Alì. Anche questa circostanza per i pm non è da leggersi a favore dell’imputato. I pm scrivono:  la mafia trapanese in parte decise di appoggiare Pellegrino “per un tornaconto economico , un patto su vicende relative all’edilizia, alle costruzioni, che è emerso dal processo a carico dell’on. Pellegrino (uscito prescritto dall’accusa di corruzione dal suo processo)…la mafia non fa scelte politiche ma di convenienza…ed era conveniente sostenere Pellegrino come risulta dalla sentenza del processo in cui l’ex vice presidente della Regione fu imputato.  Nei motivi di appello i pm contestano anche la valutazione del giudice rispetto alle dichiarazioni rese dall’ex moglie del senatore, Maria Antonietta Aula. “Non furono quelle dichiarazioni viziate da un personale risentimento. Ma la parte più consistente dell’appello è dedicata alla figura del teste Ninni Treppiedi, il sacerdote che sulla fase finale del dibattimento ha deciso di testimoniare dinanzi ai pm: il giudice non ha tenuto conto del rapporto stretto, confidenziale con l’imputato D’Alì tenuto dal teste Treppiedi… Stabile e continuativo – scrivono i pm – è stato il rapporto del senatore D’Alì con l’organizzazione mafiosa anche oltre il 1994 per come anche descritto dal sacerdote Treppiedi”. Rapporto che inizia nei primi anni ’90, dalla vendita fittizia di un terreno a soggetti notoriamente mafiosi. Nomi altisonanti Messina Denaro e Totò Riina. Episodio “che non è qualificabile – scrivono – come di piccolo cabotaggio ma semmai di grande rilevanza economica…una operazione messa in piedi da Matteo Messina Denaro all’epoca già latitante…una operazione di intestazione fittizia di un bene non per favorire un mafioso qualsiasi ma un mafioso dal nome altisonante, Totò Riina”. Fatto distinto da tutto il resto? Niente affatto: “Quello è un episodio che semmai illumina tutto il resto delle condotte del senatore D’Alì”.

A conclusione dei motivi di appello i pm Tarondo e Guido nonché il procuratore generale Anna Maria Leone che ha una richiesta d’Appello separata formalmente, ma analoga nei contenuti, hanno chiesto ai giudici di sentire il collaboratore di giustizia Giovanni Ingrasciotta, il sacerdote Ninni Treppiedi,  il col. Rocco Lo pane dirigente della Dia di Trapani e Vincenzo Basiricò factotum del Treppiedi.

Tratto da: liberainformazione.org

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