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cuffaro-totodi Lorenzo Baldo - 6 novembre 2014
Condannato, per “aver leso gravemente  la reputazione del dr. Ingroia Antonio”. Per Totò Cuffaro, attualmente detenuto nel carcere di Rebibbia per favoreggiamento a Cosa Nostra, probabilmente non sarà il pensiero principale, ma di sicuro questa notizia si aggiunge a complicare un periodo difficile, segnato dalle richieste di scarcerazione, finora tutte respinte. A distanza di otto anni dall’apertura del fascicolo il Tribunale civile di Caltanissetta ha dato ragione all’attuale commissario di “Sicilia e-servizi” Antonio Ingroia. Vediamo i fatti. Il 16 novembre del 2006 Cuffaro era stato ospite della trasmissione di Michele Santoro “Annozero” in onda su Rai2, in quella occasione aveva rilasciato pesanti dichiarazioni nei confronti dei pm Antonio Ingroia e Gaetano Paci. Il giorno seguente i due magistrati avevano dato mandato ai propri avvocati di agire per vie legali contro l’ex Governatore ritenendo “infamanti e gravemente lesive della dignità e correttezza professionale” le sue parole.

Dal canto suo Paci aveva immediatamente smentito di avere “sottoscritto un manifesto a sostegno la candidatura di Rita Borsellino alle elezioni regionali del 2006” in occasione della presentazione a Palermo del Dvd “La mafia è bianca”. “E’ assolutamente falso – aveva replicato il pm – come del resto è stato ufficialmente comunicato in precedenza dal Procuratore della Repubblica”. Altrettanto “falsa”, per Ingroia, era la circostanza riferita dall’ex presidente della Regione di “una sua partecipazione ad una cena con l’ingegnere Michele Aiello (all’epoca sotto processo per mafia e successivamente condannato a 15 anni per associazione mafiosa, ndr) tre giorni prima dell’arresto di quest’ultimo”. L’ex pm aveva ugualmente smentito che quella circostanza fosse stata riferita “da un questore nel corso di un dibattimento penale”. Nella sua paradossale difesa – sonoramente bocciata dal giudice nisseno Andrea Gilotta – Cuffaro aveva sostenuto che “l’intento delle proprie dichiarazioni non era quello di diffamare l’Ingroia, bensì unicamente quello di difendersi dalle accuse di connivenza con l’Aiello, mossegli dalla conduttrice televisiva Rula Jebreal”. Dopo anni di battaglie a suon di carte bollate il Tribunale civile di Caltanissetta ha accolto in toto la ricostruzione oggettiva di Antonio Ingroia. Per il dott. Gilotta Cuffaro “ha preferito strutturare la propria ‘difesa’ veicolando l’attenzione degli spettatori direttamente sulle figure dell’Aiello e dell’Ingroia e suggerendone un rapporto di frequentazione”. Il giudice ha sottolineato che quanto sostenuto dall’ex Presidente della Regione nel corso dell’intervista, in merito al periodo in cui sarebbe avvenuta la cena, alla quale parteciparono (tra gli altri) Michele Aiello, e Antonio Ingroia, “risulta smentito tanto dal contenuto delle dichiarazioni rese dallo stesso Ingroia (il quale riferisce che la cena si tenne circa un anno prima delle dichiarazioni del novembre 2002 rese agli inquirenti da Antonino Giuffré in ordine ai rapporti tra l’Aiello e la criminalità organizzata) quanto dalle dichiarazioni del teste Pietro Grasso (all’epoca dei fatti Procuratore Nazionale Antimafia) il quale, pur avendo collocato l’audizione del Giuffré nel 2003, ha riferito di averne messo a conoscenza l’Ingroia nel settembre del 2003”. Quindi per il Tribunale quella cena “non può in ogni caso essere avvenuta tre giorni prima del suo arresto (avvenuto il 5 novembre del 2003). Né può parlarsi di ‘breve discrepanza’ nelle dichiarazioni del Cuffaro o di verità putativa”. “La portata realmente lesiva delle affermazioni del Cuffaro – è scritto nel documento – si apprezza nella progressione enfatica” con la quale lo stesso ex Governatore “ha suggerito i sentimenti di scandalo e di riprovazione per l’episodio narrato”. “Esprimendosi in tal modo – ha ribadito il giudice Gilotta –, il Cuffaro ha provocato, e inteso provocare, nell’opinione pubblica, sentimenti di sconcerto legati, quantomeno in termini dubitativi, alla possibilità che una parte della Procura e in particolare il dott. Ingroia, istituzionalmente a presidio della legalità, si trovasse in rapporti di contiguità con l’ambiente della criminalità organizzata”. “Un attacco di tal guisa – ha concluso il Tribunale –, realizzato in danno di un magistrato, figura istituzionalmente posta a presidio dell’osservanza della legge”, è “assolutamente devastante, tanto per la reputazione dello stesso (la cui legittimazione presuppone un costante riconoscimento in termini di competenza, correttezza e imparzialità), quanto – e di riflesso – per l’istituzione giudiziaria e per la funzione giurisdizionale nel suo complesso, le quali a seguito delle predette accuse vengono revocate in discussione, con conseguente rischio di delegittimazione agli occhi dell’opinione pubblica”. Fine del film. Per Cuffaro non resta ora che versare 60 mila euro di risarcimento ad Antonio Ingroia con l’obbligo di pubblicazione della sentenza e il pagamento delle spese legali. Nel frattempo si è in attesa della conclusione della causa intentata dall’attuale procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Gaetano Paci.

Tratto da: loraquotidiano.it

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