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dalla-chiesa-carlo-alberto-c-ansadi AMDuemila - 6 ottobre 2013
"Riina mente su dalla Chiesa". Il collaboratore di giustizia di Altofonte, Franco Di Carlo, ne è convinto. Le parole del Capo dei capi, pronunciate durante l'ora d'aria trascorsa con la "dama di compagnia", il pugliese Alberto Lorusso, non vanno prese in considerazione. Il motivo è semplice "Mi trovavo in Inghilterra, quel 3 settembre 1982, il giorno della strage di via Carini e immediatamente un mio ex soldato della famiglia di Altofonte mi raccontò cosa fosse successo veramente - scrive su articolotre.com - Prima di tutto è bene precisare che Riina non ha partecipato alla strage, lui non ha partecipato all'omicidio, anche se vuole far credere il contrario, lui non si muoveva mai di casa. Il commando era formato da uomini d’onore agli ordini dei  Madonia, Galatolo e Ganci". Riina, intercettato al carcere Opera di Milano raccontava: "Lui stava con  sua moglie, lo abbiamo seguito a distanza. Potevo farlo là, per essere più spettacolare, nell’albergo, però queste cose a me mi danno fastidio”.  "A primo colpo, a primo colpo – aggiungeva – ci siamo andati noialtri… eravamo qualche sette, otto di quelli terribili, eravamo terribili. Nel frattempo lui era morto ma pure che era morto gli abbiamo sparato là dove stava, appena è uscito fa … ta … ta .. , ta … ed è morto. Poi gli abbiamo sparato pure da morto".

Di Carlo smentisce categoricamente la versione detta dal capomafia corleonse:  "Voglio fare chiarezza perché lo devo al generale dalla Chiesa. Il  mio soldato mi raccontò di una lite tra Greco e Madonia in quanto quest’ultimo non lo aveva aspettato e Pino Greco sparò al corpo senza vita del generale dalla Chiesa. Non c’era nessun motivo, tengo a sottolineare, per uccidere Carlo Alberto dalla Chiesa (in foto), non aveva nessun potere, né d’indagine, tantomeno esecutivo: era stato mandato allo sbaraglio e abbandonato. In quel momento, con tutta la grancassa mediatica da Roma, il superprefetto di ferro veniva decritto come colui che avrebbe fatto a pezzi la mafia". Il ricordo del pentito prosegue contestualizzando quel periodo di morti eccellenti: "Giorni di morti ammazzati, quelli  di dalla Chiesa a Palermo, veniva rappresentata una nuova guerra di mafia, ma tale non era, si trattava di uno sterminio di persone invise al Totuccio Riina, persone a lui vicine, sia nel passato che nel presente. Riina e i corleonesi dovevano dimostrare, nella loro dissennatezza, che solamente loro potevano comandare, loro e non lo Stato, non comprendendo che con la morte dei politici, Michele Reina nel 1979, del mio caro amico Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia, sino a Pio La Torre, e non dimentichiamo la strage di via Pipitone Federico nel 1983 in cui perse la vita il consigliere Rocco Chinnici, si stavano creando i presupposti per la distruzione di Cosa Nostra. Solo per ignoranza si poteva forzare tanto la mano contro lo Stato, quello stesso Stato che per anni aveva cercato di ostacolare la legge La Torre, sul sequestro dei beni mafiosi, legge che infatti venne immediatamente approvata dopo la morte di Carlo Alberto dalla Chiesa, segnando in tal senso l’inizio della fine di una parte di Cosa Nostra, quella di Riina".

Foto © Ansa

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