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cassazione-webdi AMDuemila - 9 settembre 2014
Roma. Il reato di voto di scambio si configura anche senza "l'attuazione nè la esplicita programmazione di una campagna singolarmente attuata mediante intimidazioni". E' quanto ha stabilito la Cassazione, accogliendo il punto di vista della Procura di Palermo, con una nuova decisione depositata oggi, dopo quella del 28 agosto più 'favorevole' agli imputati.
Secondo la Sesta sezione penale della Suprema Corte - collegio presieduto da Franco Ippolito che è anche il segretario generale della Cassazione, relatore Guglielmo Leo - "la sufficienza dell'assoggettamento di aree territoriali e corpi sociali alla forza del vincolo mafioso costituisce, affinchè si determinino alterazioni del libero esercizio individuale e collettivo di diritti e facoltà, uno dei profili essenziali del fenomeno, ed è ampiamente recepita nella legislazione repressiva".

A seguito di questa decisione, e sulla scia di questi principi che contrastano con il precedente verdetto che riteneva elemento essenziale del reato il ricorso al potere di intimidazione, la Cassazione ha proceduto all'annullamento con rinvio dell'ordinanza di scarcerazione di Pietro Luca Polizzi, sul quale pende l'accusa di aver procurato voti mafiosi per le regionali del 2012 in favore di Doriana Licata, sorella dell'imprenditore Aldo Licata e candidata con l'Mpa di Raffaele Lombardo. I voti raccolti, - 4.686 - non furono ad ogni modo sufficienti per l'elezione al parlamentino siciliano. A parere del Tribunale del riesame nonostante il fallimento era stato promesso, e poi dato, denaro alle famiglie di Cosa nostra che si erano mosse per la raccolta dei voti. Siccome non era stato dimostrato il ricorso all'intimidazione, però, Polizzi doveva essere scarcerato. La Procura di Palermo, nel ricorso in Cassazione, ha affermato che non è necessario che "nello svolgimento della campagna elettorale vengano posti in essere singoli e individuabili atti di sopraffazione e minaccia, bastando che l'indicazione di voto sia percepita all'esterno come proveniente dalla consorteria mafiosa, e dunque come indicazione sorretta dalla forza intimidatrice del vincolo mafioso". La medesima posizione è stata adottata dai supremi giudici, i quali sottolineano come "la consumazione del reato precede l'effettiva acquisizione dei suffragi, essendo centrata sulla mera conclusione dell'accordo concernete lo cambio tra voto e denaro". "Dunque, - prosegue la Cassazione - l'esercizio in concreto del metodo mafioso, cioè il compimento di singoli atti di intimidazione e sopraffazione in danno degli elettori, potrebbe costituire al più l'oggetto di una intenzione del promittente, o del patto eventualmente concluso circa le modalità esecutive dell'accordo, ma non una componente materiale della condotta tipica, rispetto alla quale costituisce un 'post factum', punibile semmai con riguardo a diverse ed ulteriori fattispecie criminose". La 'ratio' della norma che punisce il voto di scambio - è quanto chiariscono gli 'ermellini' - "consiste nello specifico rischio di alterazione del processo democratico che si determina quando il voto viene sollecitato da una organizzazione mafiosa" ed elemento costitutivo del reato è il "comportamento di chi, per proprie esigenze elettorali, promette denaro ad una organizzazione criminale siffatta, ovviamente consapevole della sua natura e dei metodi che la connotano". "Del resto - conclude la Cassazione - non può certo teorizzarsi che il metodo mafioso venga meno ogni qual volta i singoli interlocutori dell'organizzazione criminale traggono un vantaggio, più o meno proporzionato, dalla propria accondiscendenza".

Fonte ANSA

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