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dalla-chiesa-e-la-mogliedi Salvo Vitale - 4 settembre 2014
Ieri sera (3.9) a Cinisi, presso il salone municipale, è stato ricordato l’anniversario dell’omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa, di sua moglie Emanuela Setti Carraro e del militare di scorta Domenico Russo, ad opera della mafia. E’ stata l’occasione per coinvolgere il neo sindaco Giangiacomo Palazzolo in un’iniziativa ad alto livello culturale. Le cose più interessanti sono state dette da Francesco Forgione, già presidente della Commissione Nazionale Antimafia, che adesso vive a Palermo: egli ha ricordato le pagine ingiallite del verbale delle indagini che Dalla Chiesa nel 1948 fece sulla morte di Placido Rizzotto, da lui richieste, e le straordinarie intuizioni e anticipazioni che, sin da allora, si potevano leggere tra le righe di quel rapporto. Ha poi tentato un parallelo tra la ndrangheta calabrese, che oggi dimostra di essere ancora impermeabile a certi livelli di indagine e la mafia siciliana che non ha vinto grazie al crescente movimento di ribellione che, dalla morte di Dalla Chiesa e di Pio La Torre è cresciuto, sino a radicare una coscienza antimafia che ancora in Calabria stenta ad affermarsi.

Il P.M. Vittorio Teresi ha ripercorso, nel suo intervento alcuni momenti della trattativa stato-mafia, traendo spunto da quanto scritto nella sentenza di condanna di Dell’Utri, da dove si evince con chiarezza il ruolo di complicità e di lavoro comune che, nel 92, anno delle stragi, avvenne tra Berlusconi, il suo nascente partito e la mafia. Ha lamentato che ancora oggi il “pregiudicato” è un interlocutore privilegiato del governo e che quindi, ancora oggi, la mafia è al potere, con una serie di uomini che, a partire dagli inizi degli anni 90 ne hanno difeso gli interessi e non hanno esitato a ricorrere alle stragi per fermare tutti coloro che potessero minacciarla. Teresi ha parlato anche dell’incongruenza del tanto articolo 413 ter, che finisce con l’assolvere il mafioso per il quale non è dimostrabile l’appartenenza alla mafia. Nando Dalla Chiesa, a Palermo con un gruppo di studenti dell’Università di Milano, che albergano a “Marina di Cinisi” in un residence confiscato al mafioso Piazza e gestito dalla Cooperativa LiberaMente, ha ripercorso la vicenda dei depistaggi e delle anomalie verificatesi nel corso delle indagini sulla morte di suo padre, la scomparsa della borsa con i documenti, la cassaforte della prefettura prima chiusa, poi aperta con una chiave trovata in un cassetto dove prima non c’era niente, e infine una serie di interrogativi legati alle indagini su Andreotti e sui politici che lo mandarono allo sbaraglio in Sicilia, senza alcuna copertura. Il discorso di Dalla Chiesa si è sviluppato sul sentimento di stanchezza che si ingenera dalla ripetizione di rituali, di articoli di stampa, di indagini finte, di rifiuto di trovare verità e responsabilità, anche in considerazione delle ultime intercettazioni di Totò Riina, che mena vanto del delitto del Generale e che, secondo Nando, sa benissimo di essere intercettato e trasmette messaggi all’esterno per continuare a ribadire il suo ruolo di capo al corrente di una serie di segreti che gestisce sapientemente. La visita di Dalla Chiesa e dei suoi studenti, per la realizzazione del loro “campus”, organizzato da Libera, di cui Dalla Chiesa è vicepresidente,continuerà sino a sabato, con l’ascolto di testimonianze, con incontri e con la presentazione, sabato sera, a Casa 9 maggio, già casa Badalamenti, del libro: "Manifesto dell’Antimafia".

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