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ingroia-antonio-big7E intanto Riina parla anche di lui a Lorusso
di Aaron Pettinari - 2 settembre 2014
“Cosa nostra non dimentica. La mafia è una pantera. Agile, feroce, dalla memoria di elefante”. A dire queste parole altri non era che Giovanni Falcone, nel maggio 1992, nella sua ultima intervista per l'inserto napoletano di cultura di Repubblica. “Corleone non dimentica” lo ha ricordato poco meno di un anno fa anche Totò Riina, parlando al suo compagno di passeggiate Alberto Lorusso. Allora si riferiva al sostituto procuratore di Palermo Antonino Di Matteo ma nella lista dei “nemici” di Cosa nostra figurano anche altri nomi di magistrati che hanno condotto o conducono ancora oggi importanti inchieste in prima linea. In questo elenco figura anche l'ex procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, oggi avvocato e leader del movimento Azione civile. Cosa nostra non dimentica ma forse lo Stato sì tanto che ad Ingroia è stato abbassato il livello di protezione passando dal secondo al terzo livello. Ciò significa che diminuirà il numero di agenti che avranno il compito di scortarlo durante i suoi spostamenti.

E dell'ex pm ha anche parlato recentemente il Capo dei capi, Totò Riina che, sempre dal carcere Opera di Milano in merito alle inchieste e riferendosi ad Ingroia diceva: “Loro lo sanno che Berlusconi non è colluso con la mafia”.
Non è ancora stata resa nota la motivazione per cui si è deciso di adottare questo nuovo livello ma se si considerano le minacce ricevute in passato ecco che la decisione può apparire quantomeno discutibile. Nel febbraio 2013 una lettera minatoria anonima era stata spedita presso la sede del partito dei Comunisti italiani. “Ingroia comunista di merda ritirati (si era sotto elezioni, ndr) o ti facciamo fare la fine di Falcone e Borsellino. 1000 kg di Tnt-T4 sono pronti…”.
Oggi Ingroia non è più magistrato ma la sua battaglia affinché venga scoperta la verità sulle stragi non si è esaurita anche se si è spostata in altri campi.
“Se non avremo condizioni diverse rispetto al modo di essere del nostro Stato avremo sempre silenzi ed omertà – aveva ribadito quest'estate al convegno organizzato dalla nostra testata a 22 anni dalla strage di via D'Amelio - Verità e democrazia camminano assieme e se è vero, come è vero, che siamo un Paese senza verità, ciò vuol dire che siamo un Paese senza democrazia. E il cambiamento parte dalla società civile, dobbiamo sostenere questi magistrati ma non basta il tifo e il sostegno. In quell’aula bunker in cui si celebra il processo trattativa le gabbie sono vuote perché molti dei veri colpevoli di quelle stragi non ci sono in quell’aula. E se non ci sono è perché sono all’esterno dell’aula bunker a circondare quel luogo, quei magistrati quei pm e quei giudici. Sono i membri di quella parte di Stato colpevole che non vuole il processo. Perché se è vero che non abbiamo uno Stato complice ma assassino è ovvio che questo pretende la propria impunità e la propria improcessabilità. E quel processo non si potrà mai ottenere veramente finché non cambia lo Stato”.

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