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cutro-ignazio7Ignazio Cutrò: “Segnale forte, Stato deve essere vicino a chi denuncia”
di Miriam Cuccu - 25 luglio 2014
A breve in Sicilia i testimoni di giustizia potranno essere assunti dalla pubblica amministrazione: questo, oltre ad altri benefici, fa parte del ddl presentato dal governo e scritto dagli stessi testimoni che hanno denunciato le minacce mafiose. È stato il frutto di un incontro tra il presidente dell'Assemblea regionale siciliana, Giovanni Ardizzone, una delegazione di testimoni di giustizia (Ignazio Cutrò (in foto), Piera Aiello, Vincenzo Conticello e Giuseppe Carini), e i parlamentari siciliani, Fabrizio Ferrandelli e Baldo Gucciardi (Pd) e Giovanni Digiacinto (il Megafono).
Il testo ha ottenuto l’approvazione da parte delle commissioni Antimafia, Bilancio ed Affari istituzionali, e potrebbe ottenere il sì definitivo a seguito dell’approvazione finanziaria, oggetto della discussione di oggi, già lunedì e comunque prima della pausa estiva che prenderà il via il 29 luglio.
“Un segnale forte, un sogno che è diventato realtà – ha commentato Ignazio Cutrò, presidente dell’Associazione nazionale testimoni di giustizia e imprenditore di Bivona che ha denunciato la mafia – questo emendamento dà lustro e dignità ai testimoni di giustizia” un passo avanti con il quale “la Sicilia è la prima a dedicarsi a queste questioni”, per questo “ho ringraziato i politici che appartengono alla parte sana, perché anche grazie a loro abbiamo raggiunto questo risultato, come il presidente Ardizzone e il presidente della Regione Crocetta”.

Ma tutto questo non basta: il provvedimento riguarda infatti l’assunzione all’interno delle pubbliche amministrazioni. Ci sono molti imprenditori però che vorrebbero riprendere la propria attività e probabilmente, ha spiegato Cutrò, “non saranno interessati a questi posti di lavoro”, “sarebbe bello – ha poi proseguito – affidare dei lavori a norma di legge alla ditta Cutrò, specialmente a Bivona”. Un segnale, quello di far ripartire le imprese di coloro che sono stati minacciati da Cosa nostra “con il quale lo Stato dimostrerebbe di essere presente e di stare vicino a chi denuncia”, e invece “qualcuno dimentica che io sono un imprenditore che sta lottando per un’economia sana, ma i miei mezzi sono a casa” mentre io “vorrei riuscire a riportare l’azienda com’era”. Senza contare che “sono quattro anni che aspetto gli aiuti antiracket che ancora non arrivano, cinque giorni fa mi sono state consegnate delle nuove cartelle esattoriali che ammontano a quasi 15mila euro, noi non riusciamo più a sfamare la nostra famiglia”. Il testimone di giustizia ha dunque specificato che “anche da Roma devono arrivare segnali forti, i miei diritti tutt’oggi sono negati. Mi hanno detto che entro fine luglio avrò una risposta”. Cutrò, che a seguito delle minacce mafiose ha visto fallire la sua azienda e tutt’ora vive insieme ai suoi familiari in condizioni precarie lancia infine un appello alle istituzioni competenti: “Dateci una risposta, dobbiamo sapere quale sarà il nostro futuro”.

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