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di Aaron Pettinari - 4 marzo 2014
E Fava lancia un allarme “scarcerazione” dei boss
Si è concentrata particolarmente sulla gestione dei beni confiscati la due giorni della Commissione parlamentare Antimafia, giunta a Palermo per ascoltare i magistrati, esponenti delle forze dell'ordine ed amministratori giudiziari. Un modo per fare chiarezza sulle parole espresse dal prefetto Giuseppe Caruso, direttore uscente dell'Agenzia per i beni confiscati, che parlando della gestione dei patrimoni requisiti ha accusato gli amministratori di privilegiare i propri interessi rispetto all'effettivo utilizzo dei beni. Durante la conferenza stampa conclusiva, che si è tenuta questa mattina presso la sede dell'Ars, la presidente Rosy Bindi ha ribadito ancora una volta la necessità di rivedere le norme in materia di sequestri e confische di beni dei mafiosi in quanto “seppur l'Italia sia un passo avanti rispetto agli altri Stati d'Europa, la legge va cambiata ed è una responsabilità che deve assumersi il Parlamento. Comunque non possiamo parlare di fallimenti del sistema che ha portato comunque ad alcuni risultati”.

Tra gli aspetti delle misure di prevenzione su cui intervenire il presidente si è soffermata sia sul tariffario degli amministratori giudiziari che sull'accesso al credito: “Bisogna creare nuovi rapporti, a partire dal credito, e qui la responsabilità delle banche è enorme perché non è possibile che certe aziende prima di essere confiscate ottengono finanziamenti particolari e poi, quando le stesse passano sotto il controllo dello Stato, i rubinetti vengono chiusi”. Quindi ha aggiunto: “Voglio ribadirlo non capiamo perché tanti beni confiscati non possiamo utilizzarli perché ci sono ipoteche delle banche. Ad ognuno di noi, quando ci si presenta ad un istituto per chiedere un mutuo, ci rivoltano come un calzino prima di concederlo. Mentre qui mancano i controlli. Mi devono spiegare perché mettono le ipoteche sui beni dei mafiosi o danno i mutui. Perché in quella circostanza non hanno fatto abbastanza indagini? Sono loro responsabili, non la comunità. E' per questo che abbiamo deciso che i prossimi che verranno ascoltati saranno quelli dell’Abi perché ognuno deve fare la sua parte perché se la mafia c’è vuol dire che qualcuno li aiuta”.
In merito al “caso Caruso” il presidente della Commissione Antimafia ha comunque confermato di aver chiesto al prefetto spiegazioni sulle sue affermazioni arrivate a fine mandato. “Sono affermazioni che possono delegittimare un intero sistema. Inizialmente le sue risposte non ci avevano convinti, ma ieri Caruso ha presentato un voluminoso dossier che la Commissione esaminerà nei prossimi giorni”. La Bindi ha anche espresso un parere sul fondo unico di giustizia: “Il fondo unico di giustizia è di 3 miliardi e 100 milioni ma solo un miliardo può essere utilizzato perché proviene sia da confische che da sequestri. Serve un fondo di rotazione per impiegare le risorse per la gestione delle aziende. Occorre prioritariamente tutelare i lavoratori di queste aziende. Bisogna mantenerle sul mercato per garantire le buste paga. In questo modo si crea il consenso sociale. Perché una gestione corretta garantisce i lavoratori”.


La mafia “ancora forte” e il rischio scarcerazioni
Parlando dei due giorni di lavori la presidente ha poi aggiunto: “La mafia è ancora forte e pericolosa per la sua capacità di mutare e adeguarsi alle situazioni storiche del momento come la crisi e la globalizzazione. Il lavoro di questi giorni è anche servito ad analizzare dei nuovi assetti mafiosi e ad approfondire i temi dei sequestri e delle confische di beni ai boss”.
Alla conferenza stampa di Palazzo dei Normanni è intervenuto anche il vicepresidente della commissione nazionale Antimafia, Claudio Fava che ha denunciato “il rischio che si possa andare in galera per associazione mafiosa, e uscire dopo due anni, ed essere nuovamente sul campo con un titolo di legittimazione in più che ti rende ancora più forte e più autorevole”. Il riferimento è all'elenco di 36 boss di primo piano che negli ultimi 18 mesi hanno lasciato le carceri d'Italia presentato ieri mattina dal capo centro della Direzione investigativa antimafia, il colonnello Giuseppe D’Agata. Una lista che presenta nomi di primissimo piano di Cosa nostra come Giuseppe Guttadauro, l’ex aiuto primario del Civico che era diventato capomandamento di Brancaccio, Salvatore Gioeli, reggente di Porta Nuova, Vito Galatolo, figlio del capomandamento dell’Acquasanta, Nicolò Salto, reggente di Partinico, Nunzio Milano, di Porta Nuova, Pietro e Cosimo Vernengo, di Santa Maria di Gesù, ed altri.
“Questo è un punto su cui occorre un intervento normativo, che è stato molto sollecitato dai magistrati della procura di Palermo, - ha concluso Fava - ed è anche un punto di oggettiva preoccupazione”.
Alla conferenza stampa è intervenuto anche il presidente della Commissione regionale Antimafia, Nello Musumeci che ha ribadito: “Ci stiamo attrezzando per creare un ufficio regionale, una mini agenzia regionale, sui beni confiscati affinché si arrivi ad assistere i Comuni e le associazioni nel rapporto con l’Agenzia nazionale, per accedere ai fondi del Pon sicurezza e per la gestione dei beni stessi. Abbiamo inoltre chiesto al prefetto Caruso di collaborare con la Commissione Antimafia regionale per quei temi e per quelle esigenze che si dovessero presentare nei prossimi anni. Con la sua esperienza di direttore dell’Agenzia nazionale di beni confiscati sarà utile e lui ha dato ampia disponibilità, a titolo ovviamente gratuito, e ciò vale per tutti gli altri consulenti”.
A margine è intervenuto anche il vicepresidente Ferrandelli che ha chiesto alla Bindi “un’attenzione particolare ai testimoni di giustizia, ricordando il caso di Ignazio Cutrò, delle gestioni commissariali dei comuni e delle aziende e dell’esigenza di investire in attività sociali in favore dell’infanzia e l’adolescenza, soprattutto nelle zone povere delle nostre città”.

Foto © Studio Camera

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