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1Incontro con Saverio Masi
di Savino Percoco - 24 gennaio 2014
“Un giorno questa terra sarà bellissima” citava Paolo Borsellino, e nel giorno del suo 74° compleanno, dal Palazzo della Cultura di Galatina, una sala Contaldo gremita soprattutto di giovani, lascia presagire che nonostante le recenti minacce stragiste, alcuni eroi, non sono morti invano.
L’incontro, moderato dal giornalista di ANTIMAFIADuemila Aaron Pettinari, ha trattato vari temi legati ai vari aspetti storici e presenti del ciclo mafioso, analizzando l’evoluzione del tessuto sociale che oggi evidenzia una maggiore presa di coscienza da parte della società civile.
Tra i relatori, Salvatore Borsellino, fratello del magistrato attentato in via D’Amelio nel ’92, la referente del Movimento agende rosse salentino, Anita Rossetti, l’ass. alla cultura del Comune di Galatina, Daniela Vantaggiato e per la prima volta ai microfoni, Saverio Masi, maresciallo dei carabinieri – capo scorta del Pm Nino Di Matteo.

Prima a intervenire è l’ass. Vantaggiato, che introduce con i saluti di rito e gli elogi per la presenza di Pettinari e della testata Antimafia Duemila affinché il percorso di attenzione sulleorganizzazioni criminali sia d’esempio per tutti. Ricordando lo striscione che pende sul balcone di Palazzo Città, con orgoglio ribadisce il suo messaggio: “Di Matteo non deve pensare mai, neanche per un’istante che il suo eccezionale lavoro e il suo impegno siano inutili. Non pensi mai, neanche per un istante di essere solo. Non lo pensi mai!!”. Continuando, cita delle affermazioni di Giancarlo Caselli, spiegando che se la democrazia sarà debole non saranno chiarite le dinamiche legate alla scomparsa di alcuni eroi antimafia. Conclude rimarcando i successi del metodo Falcone, grazie al quale, “centralizzando e specializzando le indagini, sono nate alcune norme sui pentiti” che hanno permesso di rendere l’Italia, un modello anche per altri Paesi.

Rosettini, rende gli onori di casa presentando Saverio Masi ed evidenziando la novità di una dibattito che ascolta la voce di un capo scorta, invece dello scortato, come siamo abituati, chiudendo con la lettura di una commovente lettera di amore e solidarietà che Salvatore Borsellino gli ha indirizzato.

Pettinari, introduce il suo intervento, raccontando la storia della rivista Antimafia Duemila, delineandone i cardinali obiettivi sociali e motivando i principi etici riguardo l’importanza sulle verità occulte delle stragi da cui è sorta la seconda Repubblica. Segue con una carrellata sulle fasi salienti del processo sulla trattativa Stato-mafia e i suoi protagonisti a cominciare dalla recente sentenza della Corte d'Assise che stabilisce la sua “indubbia” esistenza già tra il ‘92 e ‘94. Evidenzia che il tema appare attuale per via del recente processo, ma già noto in tempi non sospetti, come dimostra la mole di documentazioni (Informative di polizia, atti acquisiti negli archivi dell'amministrazione penitenziaria, testimonianze di investigatori dei reparti speciali, ministri, funzionari, pentiti, ecc). A rafforzare la tesi, dice, ci sono anche le 547 pagine che motivano le quindici condanne emesse dal collegio giudicante di Firenze, per le bombe di via dei Georgofili, su cui movente è sempre la trattativa. Continuando, sottolinea la rilevanza delle Procure di Caltanissetta e Firenze che attraverso le loro indagini, ritrovano gli stessi sospetti di negoziazione. Nel dettaglio la prima si occupa dei depistaggi della strage di via D’Amelio, del fallito attentato all'Addaura dell’89 contro Giovanni Falcone e sul massacro di Capaci, la seconda di scoprirne i "mandanti altri".
Descrivendo l’inchiesta dei pm di Palermo, Pettinari mostra le coincidenze avvenute tra le richieste nei punti del “papello” e l’effettiva assenza strategista dell’ultimo ventennio, elencando il 41 bis cancellato o alleggerito, la legge sui collaboratori di giustizia e il Governo Berlusconi accanto alla figura di Marcello Dell’Utri, anch’egli sotto processo.
Il giornalista si sofferma anche su fatti recenti come il clima di terrore che torna a respirarsi nell’aria dopo le continue intimidazioni ai magistrati e le minacce stragiste di Riina, giunte non solo al pool antimafia di Palermo, ma anche di Trapani e Caltanissetta. Forti le sue parole contro il Presidente della Repubblica, riguardo le telefonate con imputati al processo, la distruzione delle registrazioni intercettate e la generica solidarietà ai magistrati vittime di minacce senza mai nominarli. Conclude invitando la società civile a svolgere il compito scarsamente adempito dalle istituzioni, affinché le verità storiche possano ridare vita a chi ha sacrificato la propria vita.

Saverio Masi, introduce il suo intervento, motivando le ragioni che lo portano per la prima volta nelle vesti di relatore, spiegando l’importanza del sostegno della gente che “costituisce un vero e proprio deterrente di inestimabile valore e indubbia efficacia contro chi sarebbe intenzionato a far rivivere agli italiani gli anni bui del periodo stragista”. A questo, aggiunge la rilevanza dello sbobinamento delle verità celate per l’ottenimento di democrazia e libertà civile; in particolar modo per i nostri figli, affermando che la “trattativa”, “nonostante il silenzio imposto e ciò che alcuni giornali autorevolissimi e sovvenzionatissimi lasciano intendere, continua infatti a gravare sul nostro presente e ipotecare il nostro futuro”. Infine, per la preoccupazione del silenzio istituzionale e mediatico, riguardo le minacce del boss corleonese, “si tratta dello stesso silenzio fatto calare intenzionalmente e a più riprese anche prima delle stragi del ’92”.
Cambiando argomento, analizza la delegittimazione dell’antimafia, affermando che i palinsesti televisivi, trattano in forma secondaria determinati temi, insabbiando la conoscenza dei rapporti tra lo Stato e la mafia ormai comprovati anche in sentenza. A suo parere, vige una strategia offensiva contro i magistrati con il fine di screditare e ignorare i loro successi, impedendogli di poter svolgere serenamente il loro lavoro. Interrogandosi poi, sulle intenzioni che Riina pone con le minacce, concorda con il pm Scarpinato riguardo una sorta di insofferenza all’interno di “Cosa Nostra” che unita a fattori esterni all’organizzazione potrebbe generare due forme diverse di pericolosità.
La prima, legata al presente della mafia e quindi al contesto della seconda Repubblica, la seconda invece, al passato proveniente dalla mafia della prima Repubblica e Totò Riina. Spiegando, evidenzia che anche la mafia, come l’intero Paese è vittima delle problematiche causate dalla crisi economica e costretta a minori introiti sia dai fondi pubblici come la gestione illecita degli appalti, che private (es. estorsioni). Secondo tale ipotesi, la mafia dichiara guerra alla magistratura, rea di indagini e confische, ma anche ai vertici della cupola criminale, “accusati di pensare solo ai propri affari e disinteressarsi del popolo di cosa nostra” che invece auspicherebbe un ritorno alla strategia della tensione, abbandonata sotto la guida di Provenzano. Le parole del capo dei capi quindi, si potrebbero interpretare come un’investitura e una forma di legittimazione alla linea stragista. Inoltre, Masi appunta l’allarmate rinnovo degli ordini di morte di Totò “u ‘curt” anche dopo aver appreso le sue intercettazioni per mezzo stampa, senza ridimensionare la portata delle sue parole neanche in videoconferenza processuale.
Continuando, evidenzia che se il processo sulla “trattativa” dovesse giungere a sentenza di condanna, a Riina spetterebbero pene di pochi anni e del tutto irrilevanti in considerazione della lunga mole di ergastoli già accumulati, pertanto, “una eventuale strage contro i magistrati di Palermo, sarebbe in realtà controproducente”, e confermerebbe tutto l’impianto accusatorio dei pm di Palermo. Prosegue dicendo che a prescindere, la sua immagine di boss, uomo forte e autorevole agli occhi del popolo di “Cosa Nostra” non sarebbe comunque intoccata. Il Maresciallo dei Carabinieri, chiude l’analisi, affermando che sulla base di queste ipotesi, sia complesso comprendere le reali motivazioni dell’atteggiamento di Riina, ma non esclude l’interesse di qualcuno intimorito dall’eventuale rivelazione di altre indicibili verità, ”nell’oscuro gioco di potere dove talvolta omicidi politici vengono fatti passare di mafia“.
Su quest’ultima frase costruisce la lettura della sua ultima analisi della serata a cui segue un impressionante elenco di casi intrecciati nel connubio Stato-Mafia. Ricorda il pentito Luigi Ilardo, morto pochi giorni prima della sua ufficiale deposizione, dopo aver riferito nomi eccellenti riguardo convergenze della mafia con personaggi occulti. Pippo Calò, I cui rapporti con massoneria e destra eversiva sono stati accertati, come altrettanto lo sono i depistaggi delle stragi da parte di esponenti delle istituzioni. Le testimonianze di Elio Ciolini coinvolto nelle indagini per la strage di Bologna e che già otto giorni prima dell’omicidio di Salvo Lima, preannunciava ai magistrati, l’inizio di una nuova fase della strategia della tensione con l’omicidio di un’esponente politico della DC e l’eventuale invece, del futuro presidente della Repubblica. Successivamente, Ciolini rivelava che il piano fu deciso da esponenti di massoneria politica e mafia, come altrettanto per le stragi del centro/Nord puntualmente avvenute. Chiede Masi: “Come faceva Ciolini a sapere con largo anticipo fatti realmente accaduti”? Continuando, racconta che nel 1991, alcuni collaboratori di giustizia rivelarono un “summit del gotha di Cosa Nostra che aveva deciso di aderire ad un progetto di destabilizzazione politica che aveva tra i suoi artefici esponenti di massoneria deviata, del mondo politico e imprenditoriale”.
Prosegue, “Chi decise che Falcone invece di essere ucciso a Roma doveva morire in modo eclatante a Palermo e come mai due giorni prima della strage di Capaci, un’agenzia di stampa vicina ai servizi segreti anticipò in 2 articoli che stava per verificarsi un bel botto esterno per influenzare l’elezione del Presidente della Repubblica”. Il capo scorta evidenzia che fu proprio uno degli esecutori materiali della strage di Capaci a dichiarare che la tempistica consentì di mettere fuori gioco Giulio Andreotti, e domanda ancora, “chi aveva suggerito a Riina, modalità esecutive e tempistiche”?
Interroga anche sul soggetto esterno a “Cosa Nostra” che secondo le deposizioni di Spatuzza, assistette al caricamento dell’esplosivo per la vettura utilizzata nella strage di via D’Amelio.
“Chi suggerì di compiere gli attentati del 27 e 28 Luglio 1993 ai danni delle chiese di San Giovanni Laterano e San Giorgio al Velabro, tenendo presente la coincidenza con i nomi di battessimo degli allora Presidenti di Camera e Senato, Spadolini e Napolitano? Sarà anche questo un caso, ma Spadolini nel '92 aveva fatto riferimento ad resoconto dei servizi segreti, sul rapporto intrecciato tra alcuni settori della P2 e la mafia siciliana, indicandola come un grave pericolo per la democrazia. Come si spiega che nella stessa notte si verifico un black out nei centralini di alcune sedi del Governo, al punto che l’allora Premier Ciampi pensò al colpo di stato. Cosa si nasconde dietro lo stranissimo suicidio in carcere del mafioso Antonio Gioè, esecutore della strage di Capaci e depositario di scottanti segreti e in contatto con i servizi segreti due giorni dopo le stragi di Milano e Roma”?
Masi conclude dicendo che dietro queste domande, potrebbe nascondersi la ragione per cui qualcuno teme la rivelazione di altre indicibili verità e il motivo per cui Riina ordina la morte dei magistrati del pool antimafia.

Salvatore Borsellino interviene in videoconferenza e introducendo con parole di affetto ed elogio riguardo la chiarezza e la profondità delle parole del Maresciallo Masi afferma: “mi chiedo come si possa permettere l’Arma dei Carabinieri di rinunciare all’apporto di una persona come Saverio che faceva parte di una squadra investigativa e che è stato invece passato al servizio di scorta”.
Prosegue, rispondendo ad alcune domande di Pettinari su ottimismo, minacce di Riina e “salva carceri” specificando prima un suo pensiero generale: “Paolo ormai lo hanno ucciso, contro di lui non possono più nulla, oggi è molto più importante proteggere e richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica che sostenga e faccia le veci dello Stato, per quei magistrati che rischiano la vita cercando le verità”.
Riguardo l’ottimismo innanzi all’ennesima riproposizione di un clima di terrore in cui perse la vita anche suo fratello, evidenzia che dopo le stragi, per dieci anni perse la speranza, recuperandola quando comprende che non fosse prioritario vedere giustizia necessariamente in vita. A riguardo spiega l’importanza dei giovani e specifica il suo entusiasmo mentre racconta la lotta contro la mafia, da parte delle nuove generazioni , dicendo: “sono sicuro che continueranno a lottare finché la verità non sarà scoperta”. Continuando dice che anche Paolo, nel suo ultimo giorno di vita era ottimista e lo evidenziava in una lettera dove emergeva che la “sua speranza era qualcosa di diverso da quello che intendiamo noi”. Su questo aspetto, Salvatore spiega che aveva perso la speranza, “perché era una speranza egoistica, vedere io la verità, vedere io giustizia” mentre l’ottimismo del magistrato ucciso era diverso, si contava nei giovani come evidenzia la fase conclusiva del suo scritto: “quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di combattere di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta”.
Riguardo le recenti minacce di Riina, l’ingegnere si dice triste nell’osservare le sedie vuote di Scarpinato e Di Matteo in occasione del Processo di Milano dove quest’ultimo avrebbe dovuto interrogare Giovanni Brusca e nella gremita conferenza di Torino, accolta dall’affetto di oltre 1200 persone.
Entrando nel merito, afferma che considerando l’impossibile “clemenza” nei riguardi di Riina, indipendentemente dall’esito del processo sulla trattativa, risulta assai difficile comprendere l’interpretazione delle minacce. Procede dicendo che il corleonese, seppur rinchiuso nel carcere di Opera, è tutt’ora il capo di “Cosa Nostra”, pertanto le minacce vanno osservate con attenzione e potrebbero fungere da ordini per l’esterno o messaggi subliminali verso finti uomini delle istituzioni. A suo parere quindi, il significato di quelle parole, sono un’offerta di negoziazione verso gli apparati occulti delle Stato, attraverso il sangue di Di Matteo e altri magistrati impegnati nella lotta alla mafia. Nel dettaglio “noi siamo disponibili a fare ancora il gioco sporco come fatto” in occasione delle stragi del ’92 e “prenderci la responsabilità anche dell’uccisione di Di Matteo”, in modo che “non vengano messe alla luce le connivenze” tra Stato e criminalità organizzata come già avvenuto in passato, quando “lo stesso Stato chiese alla mafia un armistizio, concluso poi con un diktat espresso attraverso punti del papello che nel corso degli anni sono diventati provvedimenti legislativi" col fine di ricevere “cambiali” ancora non pagate, ovvero i punti non realizzati.
Infine, sul “salva carceri” Salvatore esclude che possa trattarsi di un segno legato alla trattativa odierna, difatti, a suo parere, sarebbe un segnale troppo debole in quando non mirato esclusivamente ad agevolare mafiosi, ma anche condannati per altri reati. Al contrario, ritiene un segno di disponibilità alla negoziazione, il silenzio delle più alte cariche istituzionali, come avvenuto nel discorso di fine anno del Presidente Napolitano e da cui attende di depositare, durante il processo che lo vede accusato da Sgarbi per il “reato” di vilipendio al Capo dello Stato”. Per la cronaca, il critico d’arte, ha querelato Borsellino per la sua frase contro il Quirinale, dove affermava come Napolitano fosse il garante della trattativa.

Seguono due interventi da parte dei ragazzi del Liceo classico Pietro Colonna. Il primo evidenzia il lavoro del loro giornale studentesco, con una linea priva di condizionamenti dei vertici scolastici o di finanziamenti esterni che potrebbero minare la libertà di pensiero. Continuando, afferma che le motivazioni secondo cui la politica è disallarmata innanzi alle minacce stragiste di Riina trovano risposta nell’ottimo lavoro svolto dal pm Di Matteo. Difatti, a suo parere, è più allarmata dalle indagini che dalle minacce se consideriamo che le stesse evidenziano che mafia e politica non sono in conflitto tra loro. Elenca poi, le ragioni della loro presenza al dibattito: solidarietà per il pool antimafia, chiedere maggiore trasparenza al Capo dello Stato, per denunciare il sostegno ipocrita da parte di alcuni membri delle istituzione “se si pensa ai favori che Cosa Nostra ha ricevuto negli anni come ad esempio scudo fiscale e revoche 41 bis”.
Chiude citando Paolo Borsellino “se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia, svanirà come un incubo”.

Il secondo, evidenzia la mafia inconscia presente in molti di noi con quegli atteggiamenti poco nobili che talvolta passano inosservati perché divenuti abitudini della normalità, ed afferma, “esiste nella società, ed imperante nella quotidianità, un forte individualismo che porta ognuno di noi a compiere azioni e avvallare situazioni che sono embrioni del sistema mafioso”. Prosegue evidenziando come mafia e omertà, siano un binomio legato tra essi, in controtendenza a ciò che invece l’etica richiederebbe. Cita esempi come clientelismo, diffuso e costante compromesso morale e sottolinea che omertà non sia solamente” tacere e pagare il pizzo” o non denunciare reati, droga, ecc, perché si evidenzia ii suo connubio con la mafia “anche in industria che distrugge il territorio a livello ambientale e poi per assicurarsi una buona immagine tra la popolazione, indice concorsi di scrittura per studenti, assegnando denaro ai vincitori con il totale avallo delle scuole e delle famiglie”. Sempre sulla tesi di argomentazione, evidenzia lo stesso atteggiamento, “quando il malavitoso Luciano Coluccia può muoversi tra le gente come vuole ricevendo appalusi dai cittadini” invece che denunce quando infrange la più banali regole sociali.

La serata si chiude con gli interventi di Matilde Montinaro, sorella di Antonio, agente di scorta di Giovanni Falcone, morto nella strage di Capaci, e Sabrina Matrangola, figlia di Renata Fonte, assessore al Comune di Nardò, uccisa il 31 Marzo 1984 per essersi opposta allo sfruttamento edilizio del parco naturale di Porto Selvaggio.

Foto © Anita Rossetti

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