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azione-civile-web0di Antonio Ingroia - 23 luglio 2013
Molti ci chiedono quale sia il programma di Azione Civile, quali sono le nostre soluzioni e le nostre richieste al governo e al Parlamento in tema di ambiente, lavoro, economia, legalità, giustizia.
Per le scorse elezione siamo stato redigenti, inseme alle altre forze che componevano Rivoluzione Civile, di un programma che io giudico avanzato, realizzabile e davvero progressista. Sono passati solo quattro mesi dalle elezioni e si è parlato molto, anche tra di noi, degli errori commessi in quella fase. Credo però che tra le cose che di quella esperienza vanno salvate e salvaguardate vi sia proprio il programma. Nessuna delle nostre proposte è stata presa in considerazione dal governo che, anzi, su molti versanti sta procedendo verso la direzione opposta, se si eccettua (ma solo parzialmente) il nostro riferimento all’abrogazione dell’Imu. Rileggendolo oggi non cambierei una virgola e aggiungerei solo un passaggio in più sulla Costituzione di cui in quel manifesto programmatico vi erano tracce ma non un capitolo specifico di salvaguardia. Del resto a febbraio a nessuno veniva in mente di stravolgere la nostra Carta. Poi in pochi mesi è cambiato il quadro e la nascita dei comitati “Viva la Costituzione”, di cui Azione Civile fa parte, rappresenta di per sé un’integrazione esaustiva. Ve lo riporto di seguito, in maniera tale che possiate considerarlo a tutti gli effetti come il programma di Azione Civile.

IL PROGRAMMA  DI AZIONE CIVILE

La lotta per l’eliminazione della mafia e della corruzione non è solo un obiettivo e un impegno per la legalità e la civiltà del paese, ma la precondizione per il suo rilancio economico. Dobbiamo liberare l’economia e lo sviluppo dalla criminalità organizzata, colpendola sia nelle strutture finanziarie che nell’intreccio con gli altri poteri, a partire da quello politico.

PER USCIRE DALLA CRISI La crisi economica che stiamo vivendo non è piovuta dal cielo. È la conseguenza delle politiche neoliberiste di tre decenni in cui attraverso la piena libertà di circolazione dei capitali, le deregolamentazioni e le privatizzazioni, si sono volutamente indeboliti i poteri pubblici a favore delle grandi concentrazioni di potere economico e finanziario privato. È cresciuta così un’economia di carta, utile solo alle speculazioni di pochi contro la grande maggioranza della popolazione. A causa di queste scelte, il lavoro ha perso diritti, reddito e potere, diventando sempre più precario, e le disuguaglianze sociali sono cresciute esponenzialmente: nei paesi Ocse, dal 1976 al 2006, dieci punti di Pil sono passati dai redditi da lavoro a profitti e rendite. Invece di costruire un’inversione di tendenza, in Europa, dall’esplosione della crisi, si sono messe in campo politiche ancora più liberiste, inique e recessive. La Banca Centrale Europea non ha contrastato la speculazione, operando come tutte le banche centrali del mondo da “prestatore di ultima istanza”, comprando cioè direttamente i titoli degli stati membri a bassi tassi di interesse. Ha invece fornito oltre 1000 miliardi alle banche private al tasso dell’1%, mentre le stesse banche prestavano agli stati a tassi fino al 6%, lucrando sulle differenze. Niente è stato fatto per la ripresa economica e l’occupazione, mentre gli stati europei si sono indebitati non per la spesa sociale, ma per gli oltre 4.500 miliardi di euro messi a disposizione per il salvataggio del sistema finanziario, cioè di quei grandi centri speculativi all’origine della crisi. Il Fiscal Compact vuole ora far pagare il debito accumulato alle lavoratrici, ai lavoratori e alla stragrande maggioranza della popolazione. La conseguenza è (sarebbe) il passaggio dalla recessione ad una vera e propria depressione, con la chiusura di migliaia di imprese e una disoccupazione strutturale di massa.  

 Per questo è necessario un cambio radicale di rotta.  

Vanno fatte politiche:

1. di regolazione, che contrastino la speculazione finanziaria;

2. redistributive, per ridurre drasticamente le diseguaglianze e salvaguardare i diritti sociali;

3. per una nuova alleanza tra lavoro, ambiente, conoscenza: beni comuni da cui dipende il nostro futuro.

Va costruito un piano per creare occupazione attraverso un nuovo intervento pubblico che investa in ricerca e sviluppo, in politiche industriali che innovino il nostro apparato produttivo e riconvertano l’economia nel segno della sostenibilità ecologica. È il nostro “nuovo corso”. Che non a caso fa riferimento a quel New Deal con cui negli Stati Uniti si rispose positivamente alla grande crisi del 1929, mentre l’Europa visse allora la sua stagione più buia con regimi che andarono al potere anche sull’onda della crescita della disoccupazione e disperazione sociale. È il nostro “nuovo corso” per attuare il principi di uguaglianza, libertà, democrazia della Costituzione Repubblicana ed antifascista e per costruire un’alternativa tanto all’iniquità e alla corruzione del ventennio berlusconiano, quanto alla distruzione dei diritti sociali, del lavoro e dell’ambiente che ha caratterizzato il governo Monti.

1. PER UN’EUROPA DEI DIRITTI

CONTRO L’EUROPA DELLE OLIGARCHIE ECONOMICHE E FINANZIARIE L’Europa della moneta, della finanza e delle banche ha fallito. La crisi lo ha dimostrato oltre ogni dubbio. L’unificazione doveva garantire a oltre 500 milioni di cittadini europei condizioni di vita migliori. Le politiche di austerity volute da Bce, Fmi e Commissione Europea, hanno invece portato disoccupazione di massa, smantellamento del welfare, eliminazione brutale dei diritti dei lavoratori, povertà per milioni e milioni di persone. Oggi, dopo cinque anni di durissima crisi, tutta la Ue si trova alle prese con una recessione economica senza prospettive. Da questo vicolo cieco si esce con un’Europa dei popoli e non delle banche, con un’Europa democratica e non oligarchica.  

 Berlusconi e Monti Le politiche imposte dall’Europa con la lettera diktat dell’estate 2011 sono state messe in opera da Berlusconi prima ancora che da Monti. Se le centrali di potere europee hanno voluto il cambio della guardia non è perché il governo della destra si opponesse ai loro ordini ma perché ritenevano, a ragione, che un governo sedicente tecnico e non screditato come quello di Berlusconi sarebbe stato più efficiente nell’applicare quel diktat. L’esperienza del governo Monti dimostra che avevano purtroppo ragione. Alla fine del 2011, in condizione di recessione già conclamata, il Pil registrava -0,7%. Dopo un anno di rigore montiano è balzato al -2,1%, mentre il debito è passato dal 120,6% al 126,26% (in rapporto al Pil), con un tasso di disoccupazione reale che supera abbondantemente il 13%.

La nostra Europa Vogliamo un’Europa che realizzi il benessere e la giustizia sociale entro i suoi confini, e che promuova una pace vera nel mondo. Vogliamo che si renda autonoma dai poteri finanziari e che si doti di veri organismi istituzionali democraticamente eletti da tutti i cittadini dell’Unione. Contro la speculazione la BCE deve operare come “prestatore di ultima istanza”, comprando titoli di stato sul mercato primario, senza sottoporre gli stati già in difficoltà a condizioni capestro.

Va complessivamente ri-regolata la finanza, ad esempio tornando alla separazione tra banche di credito e banche di investimento. La piena e buona occupazione deve diventare l’obiettivo prioritario delle politiche europee attraverso investimenti per la riconversione ecologica dell’economia.

Vanno realizzate politiche di convergenza fiscale e salariale, riaffermati i diritti del lavoro. Siamo contrari al Fiscal Compact che taglia di 47 miliardi l’anno per i prossimi vent’anni la spesa, pesando sui lavoratori e sulle fasce deboli, distruggendo ogni diritto sociale, con la conseguenza di accentuare la crisi economica.

Il debito pubblico italiano deve essere affrontato con scelte economiche eque e radicali, finalizzate allo sviluppo, partendo dall’abbattimento degli alti tassi di interesse pagati. Siamo per l’audit sul debito e per politiche che, attraverso il contrasto alla corruzione, all’evasione, all’economia illegale, reperiscano risorse da destinare allo sviluppo economico, diminuendo per questa via il rapporto tra debito e Pil. L’Italia dovrà battersi per estendere al perimetro dell’Unione le norme contro la grande evasione, il riciclaggio e l’esportazione di capitali illeciti. Proponiamo che accanto al Pil si crei un indicatore del benessere sociale e ambientale come criterio sul quale misurare lo sviluppo e il progresso umano.

In sintesi:

1. La Bce deve diventare “prestatore di ultima istanza”;

2. Va istituita una vera Tobin tax;

3. Vanno separate le banche di credito da quelle di investimento;

4. Va promosso l’audit sul debito;

5. Va rinegoziato il Fiscal compact;

6. Vanno utilizzate le risorse derivanti dalla lotta all’evasione, alla corruzione, all’economia illegale per politiche di sviluppo che diminuiscano il rapporto tra debito e Pil;

7. Va sostenuta la riconversione ecologica dell’economia, favorendo le attività a basso consumo di risorse ed ad alta intensità occupazionale; 8. Vanno promosse politiche di convergenza fiscale e salariale; 9. Va creato un indicatore del benessere sociale e ambientale.

 2. PER UNA GIUSTIZIA PIU’ EQUA E UNA POLITICA ANTIMAFIA CHE VOGLIA ELIMINARE LA MAFIA

CONTRO TUTTE LE MAFIE

La criminalità organizzata non è più solo il cancro che uccide l’economia del Meridione d’Italia. Si è estesa a tutto il Paese. Affligge il nord come il sud d’Italia. Secondo l’ultimo dato ufficiale disponibile l’economia sommersa, nel totale, ha toccato il 31,1% del Pil (18,5% del Pil dell’economia che fugge al fisco e il 12,6% legata a chi fugge dalla legge per ragioni criminali) e da allora la percentuale è certamente aumentata.

Quando il crimine mette in gioco capitali così immensi, ovviamente non tassabili, diventa un macigno che affonda più che mai tutti i conti pubblici italiani. L’economia che sfugge alle statistiche ufficiali sfiora i 457 miliardi di euro, 270 dei quali dovuti all’evasione fiscale e contributiva e circa 187 all’economia criminale legata alla prostituzione e alla vendita di stupefacenti. Per le imprese oneste, poi, competere con quelle malavitose è giocoforza impossibile. Ieri la mafia era un problema enorme sul piano della legalità e dell’etica. Oggi lo è anche su quello dell’economia e dei conti pubblici. Sconfiggere la criminalità organizzata e la corruzione a tutti i livelli è questione di vita o di morte, e non per modo di dire. Alla lettera.  

La guerra per finta contro la mafia Per quattro anni il governo Berlusconi si è vantato di aver combattuto la mafia come nessun altro esecutivo aveva fatto. Non è vero. Berlusconi e Maroni affermano di aver arrestato molti latitanti, colpendo così l’apparato militare delle organizzazioni mafiose. L’ex premier e l’ex Ministro dell’interno, dopo aver inferto pesanti tagli alla Sicurezza e alla Giustizia, si sono attribuiti il merito di questi arresti che spetta, invece, alla magistratura e alle forze dell’ordine.

È stata colpita esclusivamente la struttura militare della mafia, che è quella più facile da ricostruire, e Berlusconi e Maroni si sono ben guardati dallo scalfire gli interessi mafiosi o dal prendere di mira i vertici, la struttura finanziaria della criminalità organizzata e gli intrecci con gli altri poteri, a partire da quello politico. Al contrario, mentre da un lato si vantavano della cattura di qualche latitante, dall’altro varavano leggi che rendevano la vita più facile a mafiosi e corrotti. Il governo Monti ha proseguito sulla stessa strada, confermando quelle leggi e aggiungendone altre, ma senza cambiare linea politica. Una linea politica di convivenza, di fatto, con la mafia.  

Una battaglia da vincere La battaglia contro la criminalità organizzata e la corruzione non è di quelle che possono finire in parità. Bisogna vincerla e vincerla è possibile. Il nostro obiettivo non è circoscrivere le mafie per limitare il danno. È debellare criminalità e corruzione.

Per questo bisogna innanzitutto recuperare le armi eliminate dal governo Berlusconi, ovvero il falso in bilancio, e dal governo Monti, la concussione per induzione. Bisogna aggiungere strumenti nuovi e moderni, ad esempio l’inserimento nel codice penale dei reati contro l’ambiente e le fattispecie di reato come l’autoriciclaggio, figura, quest’ultima, che va inserita in un nuovo Testo Unico della legislazione antiriciclaggio.

Occorre, soprattutto, colpire senza pietà ogni intreccio tra criminalità e potere politico, mettendo finalmente la magistratura in grado di fare luce su quei legami senza più essere ostacolata e spesso fermata dalla politica.

Va per ciò reso efficace l’articolo “416 ter” del codice penale (scambio elettorale politico-mafioso), punendo il politico che promette favori al mafioso in cambio dell’appoggio elettorale. Altro impegno riguarda la riduzione dei tempi dei processi. Nessuno, finora, ha mai proposto una seria riforma della giustizia in grado di affrontare tale questione nodale, ovvero i tempi del processo.

Troppe volte l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti Umani per la durata biblica del processo e gli investitori stranieri si guardano bene dal venire nel nostro Paese, a causa dell’inefficienza della giustizia civile. Noi saremo i primi ad affrontare tale problema, ripristinando la regola dei tempi ragionevoli del processo, garantendo così alle vittime dei soprusi e agli imputati una sentenza definitiva in tempi ragionevoli.

Occorre inoltre abolire alcuni formalismi che non aggiungono nulla in termini di garanzia, ma che, piuttosto, aggravano i tempi. Occorre anche la riforma del sistema delle impugnazioni che contribuisce ad appesantire ulteriormente la durata del processo. Dobbiamo avere un processo breve e una prescrizione lunga, prescrizione che si deve interrompere non appena inizia il processo. Va fatta una robusta depenalizzazione degli illeciti minori con funzione deflativa della giustizia penale così sfoltendo il carico di lavoro di procure e tribunali che potranno meglio concentrarsi sugli illeciti più gravi. D’altra parte va restituita efficacia al sistema delle sanzioni amministrative che possono avere effetti non meno dissuasivi.

La lotta per la legalità, per la giustizia uguale per tutti, è l’opposto della logica di uno Stato “forte con i deboli e debole con i forti”. Siamo per l’introduzione del reato di tortura, in coerenza con la Convenzione dell’Onu.

Siamo perché sia garantita la trasparenza e la responsabilità di tutte le forze di polizia verso il proprio operato. Va risolto il sovraffollamento carcerario, non solo con provvedimenti tampone come la legge di amnistia, purché limitata ai reati più gravi e non estendibile in alcun modo alla categoria dei colletti bianchi, ma anche attraverso interventi di sistema come, ad esempio, la radicale revisione delle normativa in materia di stupefacenti, che oggi ingiustamente equipara droghe leggere e droghe pesanti, e l’abrogazione della legge Bossi-Fini che ha riempito le carceri di immigrati.  

In sintesi:

1. Colpire la mafia nelle strutture finanziarie e nell’intreccio con la politica;

2. Ripristinare i reati di falso in bilancio e concussione per induzione ed abrogare le leggi ad personam;

3. Introdurre i reati contro l’ambiente e l’autoriciclaggio;

4. Introdurre il reato di tortura;

5. Garantire la trasparenza dell’operato delle forze di polizia;

6. Sostenere i processi di depenalizzazione e tutelare i diritti della popolazione carceraria;

7. Riformare il processo penale e il processo civile per renderli più celeri nel rispetto delle garanzie.

 

3. PER LA LAICITA’ E LE LIBERTA’

Vogliamo vivere in uno Stato rispettoso di ogni religione ma laico di fatto e non solo a parole, nel quale tutti abbiano gli stessi diritti e le stesse libertà indipendentemente dal colore della pelle, dal popolo a cui si appartiene, dalle identità di genere e dagli orientamenti sessuali, dalla religione.

Vogliamo vivere in un Paese in cui l’autodeterminazione delle donne sulle proprie vite e i propri corpi sia una realtà concreta: un paese in cui società e istituzioni siano permeate dall’intreccio tra uguaglianza e libertà di donne e uomini. La Costituzione dice che l’Italia deve essere un Paese così, libero, laico e che difende i diritti di tutti. Siamo per una cultura che valorizzi le differenze.

La realtà è ben diversa. Lo sanno bene gli omosessuali e le omosessuali che vorrebbero sposarsi e non possono, le donne che incontrano mille ostacoli se chiedono di ricorrere alla fecondazione assistita, i figli di immigrati che, pur essendo nati in Italia, cittadini italiani non sono. Per tutti loro, e per molti altri ancora, il nostro non è un Paese laico, non è un Paese libero, non è un Paese che rispetta la sua Costituzione. Berlusconi – Monti: diverso stile, stessa subalternità alle gerarchie vaticane Per tutti costoro, per tutti questi cittadini per un verso o per l’altro di serie B, non c’è stata alcuna differenza nel passaggio dal governo Berlusconi a quello Monti. Entrambi si sono opposti alla legge sulle unioni omosessuali e a quella che voleva permettere di porre fine alla propria vita in caso di malattia non più sopportabile. Entrambi hanno tolto soldi alla scuola pubblica e riempito di finanziamenti quelle private. Nessuno di loro si è preoccupato di garantire ai lavoratori immigrati i diritti che gli spettano.

La nostra proposta La laicità dello Stato, le libertà individuali e collettive non sono discorsi vuoti. Sono fatti da scelte precise e concrete. Sono una via lastricata dalle leggi che noi ci impegniamo ad approvare: quella che regolerà le unioni civili riconoscendo alle coppie omosessuali il diritto al matrimonio e ad avere bambini; quelle che permetterà realmente di ricorrere alla fecondazione medicalmente assistita; quella che darà piena attuazione alla legge sull’interruzione di gravidanza, inclusa la somministrazione della pillola Ru486 e della contraccezione d’emergenza; quelle sul testamento biologico, sulle cure mediche, sul fine vita e sulla piena libertà della ricerca scientifica.

Riteniamo necessario un cambiamento complessivo in materia di immigrazione che recida le storture del passato che spesso hanno assunto caratteri xenofobi. Nella società italiana di oggi e in quella che si va costruendo ci sono ormai milioni di uomini, donne e minori migranti che ne costituiscono una parte integrante dal punto di vista economico, sociale e culturale. Si deve intervenire in termini di modalità di ingresso e soggiorno, di mercato del lavoro, di libertà civili e sociali, di rapporti paritari con i paesi di emigrazione. Per rinsaldare legami e reti relazionali e di costruire un nuovo e plurale progetto culturale.  

 In sintesi:

1. Riconoscere le unioni civili delle coppie omosessuali, incluso il diritto al matrimonio e all’adozione;

2. Garantire la piena attuazione della Legge 194. Occorre una nuova legge sulla fecondazione medicalmente assistita;

3. Regolamentare il testamento biologico e il fine vita;

4. Abrogare la legge Bossi-Fini, chiudere i CIE, nuova legislazione in materia di immigrazione, che abolisca il reato di clandestinità. Legge per i diritto d’asilo e cittadinanza ai nati in Italia.

4. PER IL LAVORO

I lavoratori italiani hanno salari tra i più bassi d’Europa. Pagano tasse fra le più alte della Ue. Gli ultimi governi con il drammatico aumento della disoccupazione (al massimo storico con l’11,1% e 36,5% quella giovanile con punte del 50% nelle aree del mezzogiorno) e della cassa integrazione (oltre 1 miliardo di ore nel 2012 con una perdita di salario di circa 7.000 l’anno per ogni lavoratore) dimostrano l’incapacità di mettere in opera una seria politica industriale.

L’assenza dello Stato dai settori strategici per lo sviluppo industriale ci consegna il problema dell’estrema debolezza del nostro apparato produttivo. I lavoratori, i precari e i pensionati vivono sotto ricatto e sono costretti a sacrificare continuamente una parte dei loro diritti. È grave la condizione di discriminazione che le donne continuano a subire: per incidenza della precarietà, bassi livelli retributivi, per un tasso di occupazione femminile che ci vede al penultimo posto nell’Europa a 27. Si va in pensione sempre più tardi, anche dopo aver passato la vita a fare lavori usuranti, e così è ancora più difficile per le giovani generazioni, la “missione impossibile” di trovare un lavoro stabile, non precario né sottopagato, tale da permettergli di avere un futuro.

La riforma Fornero colpisce le donne in maniera intollerabile, e impedisce di andare in pensione a circa un milione di persone nei prossimi tre anni (2012/2014). È un blocco del turnover senza precedenti. Di conseguenza almeno 800mila giovani (calcolando che il 20% che se ne va non venga sostituito) in procinto di trovare lavoro, rimarranno disoccupati.

È questa la realtà del lavoro oggi in Italia. È questa l’emergenza del Paese. Così come costituisce un’emergenza il quadro che si è determinato in violazione dei diritti e delle libertà sindacali previsti dalle leggi e dalla Costituzione repubblicana. Berlusconi-Monti: un’aggressione senza precedenti al mondo del lavoro Per i lavoratori, tra Berlusconi e Monti c’è stata una sola differenza. Il secondo ha proseguito coerentemente l’opera del primo, ma grazie all’appoggio di una maggioranza bulgara è riuscito laddove l’altro aveva fallito. Ha portato a termine una controriforma delle pensioni che ha distrutto milioni di progetti di vita e lasciato senza lavoro né pensione centinaia di migliaia di persone. Ha cancellato l’art.18 dello Statuto dei lavoratori, permettendo così alle aziende di licenziare chi vogliono senza dover restituire il posto di lavoro neppure dopo una sentenza della magistratura.

Non ha senso chiedersi quale dei due governo è stato un po’ peggiore dell’altro. Sono stati la stessa cosa.  

 La nostra proposta Rimediare ai danni profondissimi provocati dalle controriforme dei governi Berlusconi e Monti è la priorità assoluta. Vogliamo che i lavoratori abbiano il contratto nazionale di lavoro e intendiamo ripristinare l’art. 18. Sono i referendum che abbiamo promosso, raccogliendo centinaia di migliaia di firme, i primi provvedimenti che prenderemo oltre all’abrogazione della riforma delle pensioni. Vogliamo approvare la legge sulla rappresentanza e la democrazia nei luoghi di lavoro, per consentire ai lavoratori di votare sempre gli accordi, i contratti che li riguardano e i loro rappresentanti. Vogliamo che le retribuzioni italiane aumentino, a partire dal recupero del fiscal drag e dalla detassazione delle tredicesime.

Per contrastare sul serio la precarietà cancelleremo tutti i contratti atipici lasciati in vigore dalla Riforma Fornero facendo dell’apprendistato il contratto di avvio al lavoro principale. I giovani in cerca di occupazione devono poter contare, come in quasi tutta l’Europa, su un reddito minimo garantito e tutte le donne devono poter contare su un assegno universale di maternità.

Occorre un Piano straordinario per il lavoro. Va promosso un nuovo intervento pubblico con investimenti in ricerca e sviluppo, politiche industriali che difendano i settori strategici, dalla chimica alla siderurgia, innovino il nostro apparato produttivo e riconvertano l’economia nel segno della sostenibilità ecologica.

La spesa per ricerca e sviluppo va progressivamente raddoppiata: oggi è al 1,26% del Pil, noi intendiamo portarla almeno a livello di quella francese, al 2,2%. Efficienza energetica e politiche per la produzione di energia da fonti rinnovabili, mobilità sostenibile attraverso le autostrade del mare e lo sviluppo della cantieristica, trasporto pubblico su ferro e per le città, rete idrica, gestione dei rifiuti, messa in sicurezza del territorio: sono questi i settori in cui si possono creare posti di lavoro che guardino al futuro.

Il settore dei green jobs (lavori verdi) rappresenta oggi un volano per creare occupazione e uscire dalla crisi. In questo senso è necessario creare anche un “cuneo fiscale ecologico” che preveda un abbassamento della fiscalità sul lavoro in base ai vantaggi per il sistema paese ottenuti, ad esempio dalla diminuzione della CO2, dell’inquinamento e dei consumi energetici, colpendo invece chi inquina.

Va promossa la “filiera corta” dell’industria, contrastando le delocalizzazioni attraverso una legge che preveda la restituzione dei contributi pubblici ricevuti dalle imprese, in caso di delocalizzazione produttiva.

Va salvaguardato il lavoro nei servizi essenziali a partire dalla stabilizzazione dei precari nella pubblica amministrazione, contrastando la falsa affermazione che il settore pubblico sia sovradimensionato rispetto alla media europea.  

In sintesi:

1. Ripristinare l’articolo 18, cancellare l’articolo 8 e la riforma delle pensioni

2. Approvare la legge sulla democrazia nei luoghi di lavoro

3. Cancellare la precarietà, istituire un Reddito minimo garantito per i giovani e un’assegno di maternità universale le donne

4. Piano straordinario per il lavoro, nei settori del risanamento idrogeologico, della manutenzione ed efficientamento del patrimonio pubblico, della mobilità sostenibile

5. Aumentare la spesa per ricerca e sviluppo

6. Stabilizzare i precari della scuola e della Pubblica Amministrazione

 

5. PER LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE E LE ATTIVITA’ ARTIGIANALI E AGRICOLE

La frammentazione delle piccole e medie imprese e il ridimensionamento della grande industria italiana mettono in luce i limiti del nostro sistema: dalla dimensione alla capitalizzazione e alla capacità di ricerca. Le piccole e medie imprese sono la spina dorsale dell’economia italiana, luogo di creatività e intraprendenza del nostro sistema industriale. Possono essere un volano di ripresa se sostenute da governi capaci di mettere in campo politiche e strategie industriali lungimiranti. Invece le Pmi sono vittime di un sistema che da decenni favorisce gli interessi delle banche, punisce quelli dell’economia reale e vengono continuamente tirate a fondo dal peso della burocrazia, dalla mancanza di credito e da una fiscalità che non riconosce gli investimenti in innovazione.  

Berlusconi – Monti: più tasse a chi produce e regali a banche e finanza I governi Berlusconi e Monti non sono stati capaci di intervenire su nessuna delle emergenze denunciate dai piccoli e medi imprenditori e dagli artigiani. I tempi della burocrazia, della giustizia civile e dei pagamenti da parte della Pubblica amministrazione sono rimasti lunghissimi. La palla al piede della corruzione è diventata più pesante.

Non si è fatto nulla per creare alternative industriali ai settori in crisi, né per favorire l’aumento della dimensione di impresa e la costruzione di filiere o per sostenere il “saper fare” italiano, cioè la manifattura di qualità e le filiere della green economy, della moda, dell’agricoltura, del turismo e del grandissimo patrimonio artistico.

La piaga peggiore è stata l’assenza di credito da parte delle banche, che hanno usato le decine di miliardi di euro prestategli dalla Bce a condizioni di estremo favore per coprire i buchi dei propri bilanci invece che per intervenire a favore delle imprese e dell’economia reale. La conseguenza è che tra il 2010 e il 2013 hanno chiuso decine di migliaia di piccole e medie imprese.  

La nostra proposta La priorità numero uno è sbloccare l’accesso al credito per i piccoli e medi imprenditori e artigiani, che continuano a investire e produrre in Italia. È fondamentale liberare l’economia reale dalla corruzione e dall’infiltrazione criminale e bonificare con la massima drasticità la palude burocratica.

Riteniamo che lo Stato debba fare la sua parte nelle scelte di politica industriale e creditizia riattivando gli investimenti pubblici nei settori portanti della conoscenza, del risanamento del territorio e dell’ambiente e nelle infrastrutture fondamentali quali la banda larga per tutti. I tempi di pagamento dei fornitori da parte dei committenti pubblici e privati devono allinearsi a quelli europei. Infine, vanno premiate fiscalmente le imprese che investono in ricerca, innovazione e creano occupazione a tempo indeterminato.

Serve un programma forte di “Agricoltura bene comune”, dall’agricoltura contadina che valorizza la biodiversità, che dice no agli OGM, che racchiude all’interno dei propri obiettivi anche il paesaggio e la sua preservazione. Lo sviluppo equilibrato di agricoltura contadina, turismo, cultura, gastronomia, è la chiave di volta per la valorizzazione del territorio, contro monocolture, turismo irresponsabile, svendita del territorio. Per difendere la terra, e chi ci lavora e ci abita, dallo sfruttamento della grande distribuzione, dalle multinazionali dell’agroindustria e dall’agrofarma. Insomma un programma forte e alternativo. Oggi l’agricoltura deve essere rimessa al centro come fece Giuseppe Di Vittorio con la sua riforma agraria.  

 In sintesi:

1. Snellire le procedure burocratiche, sbloccare il credito alle imprese e i pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione,

2. Intervenire sulla PAC per sostenere la valorizzazione delle filiere di qualità sul solco della green economy

3. Investire sulla banda larga gratuita per tutti

4. Sostenere la tutela e la valorizzazione del paesaggio, l’agricoltura, la biodiversità

5. Premiare le imprese che investono in ricerca, innovazione e creano occupazione a tempo indeterminato.

 

6. PER L’AMBIENTE

L’AMBIENTE È IL FUTURO Difendere l’ambiente significa scegliere l’opposto di un modello di sviluppo distruttivo basato sullo sfruttamento senza limiti delle risorse. L’ottimizzazione dell’uso delle risorse, riducendo gli sprechi, rappresenta una strada obbligata per ridare competitività al nostro settore produttivo.

L’Italia è al bivio fra il declino e il rilancio. Occorre riportare gli impatti ecologici del nostro modello di produzione e di consumo entro i limiti della sostenibilità. Ciò significa ridurre la nostra impronta ecologica e la dipendenza verso l’estero per l’approvvigionamento di materie prime o intermedie.

Lo straordinario successo dei referendum del giugno 2011 contro il nucleare e per l’acqua pubblica ci indica quale nuovo modello di sviluppo sostenere con l’azione di governo, per rilanciare imprese innovative e posti di lavoro stabili, tutelare la salute e limitare il consumo di suolo e di risorse.

 Berlusconi-Monti I governi dell’ultima legislatura hanno condiviso la stessa ispirazione iperliberista e arcaica di fronte alla modernità ambientale. Entrambi hanno penalizzato lo sviluppo delle rinnovabili e il riciclaggio dei rifiuti, né hanno saputo mettere in programma interventi in materia di risanamento ambientale e valorizzazione del paesaggio. Hanno tentato lo sciagurato ritorno al nucleare, bloccato solo dal referendum, e rilanciato le trivellazioni.

Ma il governo Monti ha superato tutti i precedenti con il decreto anticostituzionale che, aggirando la legge, permette all’Ilva di continuare ad avvelenare i lavoratori e i cittadini di Taranto. La sfida della modernità è nella conversione ecologica del sistema industriale italiano La difesa dell’ambiente e quella dell’economia e dell’occupazione non sono obiettivi in conflitto tra loro. Al contrario, si tratta di un’unica sfida.

Vogliamo archiviare opere come la Tav in Val di Susa e il Ponte sullo Stretto di Messina. Vogliamo investire sul risparmio energetico, sulle rinnovabili, sulla salvaguardia dai rischi idrogeologici, sulla politica dei rifiuti ispirata alla prevenzione al riuso e al riciclo, per difendere l’ambiente dai cambiamenti climatici e dalle conseguenze letali dell’effetto serra con un sostegno alla fase due del Protocollo di Kyoto.

Dobbiamo impedire che la nostra industria e il nostro sistema produttivo restino indietro rispetto a quelli dei Paesi concorrenti. Occorre promuovere la riconversione ecologica come nuovo modello di sviluppo, in tutte le sue applicazioni: all’urbanistica, all’edilizia, alle infrastrutture e ai trasporti. La difesa idrogeologica deve diventare la più grande opera pubblica italiana, all’interno di un “grande piano delle piccole opere” che crei occasioni di lavoro diffuse nel nostro paese, garantendo la sicurezza della popolazione. Abbiamo bisogno di una lotta senza quartiere ai crimini ambientali e alla penetrazione in questo campo delle organizzazioni criminali di stampo mafioso.

Occorre rivedere il piano energetico nazionale, indirizzandolo verso la decarbonizzazione e stabilendo obiettivi di eliminazione delle emissioni dei gas climalteranti. Vogliamo dare attuazione e risorse alla Strategia nazionale per la biodiversità e renderla pervasiva in tutti i comparti produttivi. Riteniamo infine necessario un cambiamento complessivo della legislazione in materia di territorio e urbanistica: – imponendo un stop al consumo del suolo; – Uscendo dalle pratiche derogatorie degli strumenti di pianificazione pubblica generale. – Rendendo le VAS (Valutazione Ambientale Strategica) degli strumenti di pianificazione generale di lungo periodo, sovraordinate e cogenti rispetto ai provvedimenti attuativi. – Sancendo l’interesse legittimo dei cittadini a ricorrere a tutela della qualità urbana e ambientale, dando piena attuazione alla Convenzione di Aarhus ed incentivando le forme di partecipazione attiva alle formazione delle scelte insediative e progettuali su città e territorio.

Dobbiamo anche adottare una normativa che assicuri un’effettiva tutela dei diritti degli animali e per il superamento della vivisezione per costruire una società rispettosa di tutti gli esseri viventi. Il Ministero dell’ambiente negli ultimi 4 anni ha subito un taglio dei finanziamenti pari al 75%. È stato il più colpito dalle politiche di rigore. Occorre rifinanziare il suo bilancio per consentire di promuovere la riconversione ecologica dell’Italia e investire sulla tutela del nostro patrimonio naturale. Lo stesso deve avvenire per il Ministero dei beni culturali e ambientali che ha subito durante lo stesso periodo una decurtazione degli stanziamenti di circa il 66%.  

In sintesi:

1. No alla Tav e al Ponte sullo Stretto di Messina

2. Investire sulla prevenzione del rischio idrogeologico e su un Piano delle piccole opere

3. Lotta contro i crimini ambientali

4. Adottare una road map per l’uso efficiente delle risorse, come è stato fatto dall’Unione Europea

5. Archiviare la stagione delle deroghe agli strumenti di pianificazione urbanistica

6. Sostenere i green jobs in tutte le filiere produttive

7. Aumentare gli stanziamenti del Ministero dell’ambiente.

 

7. PER L’UGUAGLIANZA E I DIRITTI SOCIALI

UNA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA Già prima della crisi la nostra società era diventata sempre più ingiusta. Nella crisi la situazione è peggiorata, perché a pagarne le spese sono stati e sono quelli che avevano poco. Chi aveva molto o moltissimo, invece, è stato difeso e protetto.

L’Italia è un Paese ricco con molti poveri che stanno diventando moltissimi perché metà della ricchezza è in mano al 10% delle popolazione e l’altro 90% deve dividersi la metà restante. Il 20% degli italiani (12 milioni di persone circa), rientrano nella fascia di povertà o quasi povertà. La diseguaglianza sociale è stata la causa prima della crisi. Il tentativo di sanarla con gli stessi sistemi che l’hanno provocata ha solo provocato altri disastri. È ora di invertire la direzione di marcia. È ora di tornare a una società equa e giusta.  

Robin Hood al contrario Berlusconi e Monti sono stati due Robin Hood al contrario. Hanno preso ai poveri e donato ai ricchi. Il primo ha depredato la scuola pubblica per rimpinzare quella privata. Il secondo ha colpito duro gli esodati ma ha salvato gli scudati, gli evasori che, grazie al condono di Berlusconi, avevano riportato in Italia i capitali depositati illegalmente all’estero senza pagare quasi niente. Le pensioni d’oro sono rimaste intatte, i poveracci hanno dovuto rimandare la pensione di anni e anni. Le tasse hanno spremuto come limoni i proprietari di una sola casa. I grandi patrimoni non sono stati toccati e le banche hanno anzi ricevuto miliardi. Lo Stato sociale è stato tagliato con l’accetta da tutti e due i governi, senza alcuna distinzione.  

Per la giustizia fiscale Vogliamo eliminare l’IMU sulla prima casa, estenderla invece agli immobili commerciali della Chiesa e delle fondazioni bancarie.

Vogliamo una patrimoniale progressiva che colpisca le grandi ricchezze immobiliari e finanziarie ed in particolar modo il 5% della popolazione super ricca. Vogliamo alleggerire la pressione fiscale sul lavoro e sull’impresa ed aumentarla sulle rendite e i grandi patrimoni.

Vogliamo contrastare l’evasione fiscale. L’Italia ha un’evasione doppia rispetto a Francia e Germania e quadrupla rispetto a Austria e Olanda. L’evasione fiscale è straordinariamente iniqua: penalizza chi deve pagare integralmente le tasse come i lavoratori dipendenti e i pensionati, e penalizza le imprese e i lavoratori autonomi onesti. Il recupero anche solo della metà dell’evasione fiscale e anche solo della metà dei costi della corruzione, consentirebbe quasi 100 miliardi di maggiori entrate, che potrebbero essere destinate sia allo sviluppo e al welfare, che alla diminuzione della pressione fiscale, che alla riduzione del debito.

Vogliamo rimodulare le aliquote, diminuendo il prelievo fiscale per i redditi medio-bassi. Siamo contrari all’aumento della tassazione indiretta che colpisce in maniera non progressiva e dunque colpisce di più chi ha di meno.  

Per il diritto alla salute, alla casa, alle prestazioni sociali. Vogliamo difendere e rafforzare il sistema sanitario pubblico e universale. Per questo è necessario invertire la politica dei tagli, oltre 30 miliardi di euro negli ultimi anni. La spesa va migliorata, vanno controllati rigorosamente gli accreditamenti.

Va rilanciata la sanità territoriale e l’integrazione socio-sanitaria, sviluppata l’assistenza domiciliare. Le liste d’attesa vanno ridotte delimitando la pratica ambigua dell’intramoenia. Vogliamo ridurre i ticket, divenuti insopportabili per le fasce più deboli.

Vogliamo affermare il diritto alla casa. 650 mila nuclei familiari in graduatoria per una casa popolare sono senza risposta perché non esiste più finanziamento dell’edilizia residenziale pubblica, mentre sono state azzerate le risorse per il contributo all’affitto per i redditi bassissimi. Tutto questo mentre crescono gli sfratti, oltre 200.000 nel prossimo triennio, e in particolare quelli per morosità, divenuti il 90%. Per questo abbiamo l’obiettivo strategico di portare l’Italia nella media europea nel campo delle abitazioni sociali, prioritariamente attraverso il recupero del patrimonio pubblico esistente. Vanno sospesi gli sfratti, rifinanziato il fondo sociale.

Vanno riportate le politiche sociali al centro dell’agenda politica. I tagli dei governi Berlusconi e Monti, oltre 2 miliardi di euro ai fondi sul sociale e 20 miliardi agli enti locali, stanno causando la chiusura dei servizi.

Va rilanciato un sistema di servizi e prestazioni sociali, partendo dalla definizione dei livelli essenziali di assistenza per rendere esigibili i diritti uniformemente sul territorio nazionale.

Va definito un piano sulla non autosufficienza e rifinanziato il fondo per le politiche sociali.

Va permesso ai comuni di svincolare dal patto di stabilità gli investimenti sul sociale per rafforzare la rete dei servizi, dall’assistenza alle persone con disabilità agli asili nido.

Va sostenuta l’attività del terzo settore votata alla solidarietà, alla tutela dell’ambiente, alla cooperazione, all’educazione, all’assistenza delle categorie disagiate. A tale scopo si deve stabilizzare il 5×1000 sulla base dell’effettiva imposizione fiscale.  

In sintesi:

1. Redistribuire la ricchezza, attraverso le politiche fiscali, del lavoro e del welfare;

2. Eliminare l’IMU sulla prima casa estendendola agli immobili commerciali della Chiesa e delle fondazioni bancarie, istituire una patrimoniale sulle grandi ricchezze;

3. Contrastare evasione e elusione fiscale;

4. Nel complesso, alleggerire il carico fiscale sui redditi medio-bassi, il lavoro, l’impresa, aumentandolo su rendite e grandi patrimoni. No all’aumento della tassazione indiretta;

5. Rafforzare la sanità pubblica, finanziandola adeguatamente, ridurre tickets e liste di attesa. Rilanciare la sanità territoriale;

6. Adeguare l’Italia alla media europea nel campo delle abitazioni sociali, sospendere gli sfratti, rifinanziare il fondo per l’affitto.

7. Definire i livelli essenziali di assistenza, rifinanziare il fondo per le politiche sociali, definire un piano per la non autosufficienza, svincolare gli investimenti sul sociale dei Comuni dal patto di stabilità.

8. Stabilizzare il 5×1000 per le ONLUS.

8. PER LA CONOSCENZA E LA CULTURA, PER UN’INFORMAZIONE LIBERA

La conoscenza, la cultura e l’informazione sono beni comuni, patrimonio di tutti, non privatizzabili e non mercificabili: sono diritti fondamentali e inalienabili. A tutti va garantito il diritto all’istruzione, il diritto di accesso all’informazione, alla produzione e alla fruizione della cultura. Solo l’intervento pubblico può garantire un reale pluralismo e una reale indipendenza della produzione e dell’offerta di cultura e di informazione. Anche su questo si misurano oggi disuguaglianza e deficit di democrazia in Italia: non solo tra chi ha e chi non ha, ma anche tra chi sa e chi non sa.  

 

SCUOLA: TORNARE ALLA COSTITUZIONE Le controriforme varate dal ministro Gelmini a partire dal 2008 hanno rappresentato il più profondo ed organico attacco alla scuola pubblica, disegnando un sistema scolastico impoverito – nelle risorse, nel tempo e nella qualità – di ispirazione apertamente classista. Esse si iscrivono in un disegno, che viene da lontano, di frantumazione del sistema scolastico e di distruzione dei suoi fondamenti costituzionali portato avanti anche dal governo Monti, con il concorso delle forze politiche che lo hanno sostenuto.

Non è un caso che l’Italia sia uno dei Paesi europei che spende sempre meno per l’istruzione in rapporto alla ricchezza prodotta. Sul versante parlamentare, la maggioranza PD-PDL-UDC si è resa responsabile, con l’approvazione alla Camera del disegno di legge ex-Aprea, di una ulteriore spinta verso la privatizzazione del sistema scolastico, la sua frammentazione e la negazione della democrazia scolastica.  

Un nuovo inizio Vogliamo invertire questa tendenza. Nell’immediato, devono essere recuperati i pesanti tagli operati dai governi Berlusconi e Monti, mentre vanno eliminati i finanziamenti pubblici, diretti ed indiretti, alle scuole private.

Vanno ritirate le riforme Gelmini e il blocco degli organici imposto dalle ultime leggi finanziarie, diminuito il numero di alunni per classe, restituito alla scuola primaria quanto le è stato sottratto a partire dal tempo pieno e dalla eliminazione del maestro unico, accrescendo contemporaneamente l’offerta formativa.

Occorre fermare definitivamente qualsiasi progetto di privatizzazione del sistema di istruzione, come era stato tentato dal governo Monti. La scolarizzazione fino al 18° anno di età è condizione imprescindibile per garantire a tutte e a tutti un livello di formazione adeguato per essere cittadini consapevoli.

Vogliamo riportare subito il Fondo nazionale per il diritto allo studio ai livelli precedenti al 2008 e incrementarlo progressivamente per estendere la platea dei beneficiari.

Vogliamo che sia rispettato il limite di 25 alunni per classe, 20 in presenza di alunni con disabilità, e che si torni indietro dalla costituzione di mega-istituti scolastici, ingovernabili e didatticamente inadeguati.

È indispensabile garantire alle nostre scuole stabilità degli organici per contrastare la discontinuità didattica e la conseguente dispersione scolastica, partendo dalla stabilizzazione del personale precario che, a pieno titolo, da anni, garantisce il funzionamento delle nostre scuole, e valorizzare la professionalità dei docenti e del personale ATA. Vogliamo, perciò, introdurre l’organico funzionale.

Occorre, inoltre, istituire percorsi di formazione e reclutamento, trasparenti e strettamente connessi tra loro, in modo da evitare la formazione del nuovo precariato scolastico e fornire a nuove generazioni di insegnanti la garanzia di un impiego stabile nella scuola. La libertà di insegnamento, garantita dalla Costituzione, è sempre più esposta al rischio di interferenze esterne ed ai condizionamenti di valutazioni come i test INVALSI. Essa deve, invece, potersi esplicare pienamente, nell’ambito e nei limiti delle scelte didattiche adottate collegialmente.

La scuola pubblica deve rimanere luogo di incontro e di confronto tra le diverse culture. Vogliamo perciò che recuperi fino in fondo la sua ispirazione pluralista, contro ogni ingerenza confessionale e qualsiasi forma di discriminazione.Vogliamo ridare ruolo e poteri agli organi collegiali a tutti i livelli per un governo democratico e partecipato delle scuole e dell’intero sistema.  

UNIVERSITÀ E RICERCA L’università pubblica, disegnata dalla Costituzione, è un presidio insostituibile di democrazia. Allo stesso modo il carattere pubblico della ricerca deve essere garantito in quanto asse strategico di sviluppo.

Vogliamo una radicale inversione di tendenza, politiche costruite sulle proposte dei soggetti che nell’università lavorano e studiano e che in questi anni si sono mobilitati contro i tagli.  

Gelmini-Profumo: la continuità nella distruzione La “riforma Gelmini” dell’università – avversata da un grande movimento di studenti, precarie e precari, ricercatori – ha introdotto nuovi e pesantissimi elementi di precarizzazione, e privatizzazione. Il ruolo dell’Anvur, e una discutibile interpretazione della valutazione, rischia di essere, assieme alla precarizzazione, un altro grimaldello per disciplinare e subordinare la ricerca a criteri di mercato. Monti ha solo aggravato la politica dei tagli e della sudditanza al mercato e oggi siamo al rischio default per molte università

Un’altra università è possibile Occorre un’altra idea di università, fondata sul sapere bene comune e sull’investimento di risorse sulla conoscenza. L’Italia ha bisogno di buone università, non di poche università “eccellenti” e magari private: occorre un piano pluriennale di investimenti, che adegui il FFO alla media OCSE e lo ripartisca equamente, garantendo una periodicità almeno triennale dei finanziamenti ordinari e sospendendo l’applicazione della quota premiale del fondo di finanziamento che negli scorsi anni ha coperto la politica dei tagli e penalizzato non le università peggiori, ma le università più povere, invertendo l’impianto neoliberista del Processo di Bologna e della strategia di Lisbona.

Proponiamo la difesa del valore legale del titolo di studio; l’istituzione di un ruolo unico della docenza; lo sblocco del turnover; un piano straordinario per il reclutamento; l’elevamento del fondo per il diritto allo studio, per coprire tutti gli aventi diritto e l’abolizione del prestito d’onore; l’introduzione di una sola tipologia contrattuale a tempo determinato; la radicale riforma degli organismi di autogoverno universitario, escludendo qualsiasi presenza di privati; il blocco immediato dei finanziamenti alle università private.

Vogliamo il ripensamento radicale dell’ANVUR e delle politiche di valutazione: ossia un sistema di valutazione, partecipato e condiviso, che serva a orientare gli investimenti e migliorare il sistema.

Vogliamo soprattutto riaprire le porte dell’università ai nuovi docenti, oggi costretti a un precariato senza fine o addirittura al lavoro gratuito (bisogna eliminare i dottorati senza borsa e le assistenze gratuite di cattedra), avviando procedure di selezione del corpo docente trasparenti, comparabili e fondate sulla legalità, eliminando ogni conflitto di interesse  

Sugli enti pubblici di ricerca Occorre, inoltre, tornare a investire sulla ricerca pubblica e sugli enti pubblici di ricerca, salvaguardando in primo luogo la committenza sociale della ricerca stessa, la ricerca libera, quella fondamentale. La ricerca degli enti ha, infatti, la funzione di monitorare e fornire elementi per rendere più efficaci le politiche istituzionali sul territorio. È essenziale la stabilizzazione dei precari e una riforma della governance degli enti pubblici di ricerca.  

PER LA CULTURA E UN’INFORMAZIONE LIBERA. I governi Berlusconi hanno portato un attacco di inaudita violenza alla cultura e all’informazione, perché la cultura e l’informazione servono a rendere le persone “cittadini consapevoli”.

Il Fondo unico dello spettacolo è stato ridotto alla metà circa: da 500 milioni di euro in totale – cifra che in Francia serve a finanziare il solo cinema – è stato portato a poco più di 200 milioni. Si sono messe pesantemente “le mani” sul servizio pubblico radiotevisivo portandolo verso una lenta privatizzazione e accentrando enormente i poteri nelle sole mani del direttore generale.

In Italia la spesa per la cultura è di 1 miliardo e ottocentomila euro, pari allo 0,2 % del Pil, mentre la Francia stanzia 12 miliardi di euro l’anno, la Germania 8,6 miliardi, la Gran Bretagna 5,3. Serve un nuovo inizio per la cultura e il sistema delle comunicazioni.

Dobbiamo portare l’investimento nella cultura almeno all’1% del Pil. I settori della produzione culturale devono essere finanziati tramite la fiscalità generale e la fiscalità di scopo. – Per tutti i settori culturali (teatro, cinema, musica, spettacolo viaggiante, artisti di strada, editoria libraria e carta stampata) vogliamo leggi di sistema che garantiscano risorse certe e pluralismo dell’offerta culturale e delle strutture produttive, sostegno alla produzione e distribuzione indipendente, normative antitrust, formazione professionale e del pubblico, sostegno all’associazionismo culturale, rilancio delle istituzioni culturali pubbliche. – Vogliamo leggi che garantiscano finalmente ai lavoratori della cultura i diritti di tutti i lavoratori: ammortizzatori sociali, malattie professionali, infortuni sul lavoro, maternità, diritto alla pensione, e riconoscano il carattere “intermittente” del loro lavoro.

Vogliamo la defiscalizzazione degli investimenti in cultura e l’Iva al 4% per tutte le opere e alle attività culturali.

Proponiamo leggi di tutela, conservazione e valorizzazione dei beni culturali ed artistici da parte dello Stato e delle strutture pubbliche, che garantiscano tra l’altro investimenti certi per la riconversione del nostro territorio e la sua messa in sicurezza. E nell’immediato un piano straordinario di manutenzione ordinaria del patrimonio culturale con lo sblocco delle assunzioni per le sovraintendenze e il riconoscimento di tutte le professionalità del settore del restauro e dell’archeologia.

Leggi che tutelino da un lato la possibilità di scaricare opere audiovisive o musicali dalla rete ad uso personale e dall’altro il diritto d’autore come compenso economico del lavoro creativo ed artistico e come diritto morale a difesa dell’integrità e del destino della propria opera.

Per quanto riguarda il sistema delle comunicazioni vogliamo innanzitutto la legge sul conflitto di interessi e una legge antitrust che rompa gli attuali oligopoli, riapra il mercato della pubblicità e impedisca la nascita di nuove posizioni dominanti lesive della concorrenza e del pluralismo. Una riforma che ribadisca la centralità del servizio pubblico radiotelevisivo e che garantisca una gestione democratica e partecipata, pluralista e decentrata della Rai. Eliminare l’ingerenza dei partiti nominando i membri del cda su curricula e progetti editoriali scelti tra personalità della cultura, del lavoro, dell’informazione, della produzione culturale. Assunzioni per concorso pubblico sia nelle reti che nelle testate.

In sintesi:

1. Riaffermare che conoscenza, cultura, informazione sono beni comuni, diritti fondamentali non privatizzabili e mercificabili

2. Difendere la libertà di insegnamento minacciata da procedure arbitrarie di valutazione (Invalsi, Anvur)

3. Abrogare le controriforme Gelmini di scuola e università. Aumentare i finanziamenti a scuola, università, ricerca pubbliche, recuperando i tagli operati da Berlusconi e Monti, eliminare i finanziamenti agli istituti privati. Bloccare ogni tentativo di privatizzazione e frammentazione del sistema scolastico-uiversitario e riaffermare la democrazia interna

4. Innalzare l’obbligo scolastico a 18 anni

5. Introdurre l’organico funzionale, stabilizzare il personale precario nelle scuole di ogni ordine e grado, nelle università e negli enti pubblici di ricerca

6. Portare l’investimento nella cultura almeno all’1% del Pil, sostenere la produzione e distribuzione indipendente e le istituzioni culturali pubbliche, varare un piano straordinario di manutenzione del patrimonio culturale con lo sblocco delle assunzioni

7. garantire ai lavoratori della cultura i diritti di tutti i lavoratori, dagli ammortizzatori sociali alle malattie professionali, dagli infortuni sul lavoro al diritto a maternità e pensione. Riconoscere il carattere “intermittente” del loro lavoro

8. Rompere gli oligopoli nel sistema della comunicazione, varando la legge sul conflitto di interessi e una legge antitrust. Ribadire la centralità del servizio pubblico radiotelevisivo, eliminando l’ingerenza dei partiti, e garantendo una gestione democratica e partecipata della Rai. Assunzioni per concorso pubblico

9. PER I DIRITTI UMANI, LA PACE E IL DISARMO

Vogliamo tagliare le spese militari, bloccare tutti i programmi di acquisto di nuove armi come i cacciabombardieri F35 e destinare le risorse risparmiate al lavoro e alla lotta contro la povertà. Vogliamo far rispettare ed attuare l’articolo 11 della Costituzione, e ritirare immediatamente le nostre Forze Armate dall’Afghanistan. Vogliamo passare dalla sicurezza militare alla sicurezza umana, dalla sicurezza nazionale alla sicurezza comune.

Contro la legge Di Paola che ipoteca più di 230 miliardi nei prossimi 12 anni, il Parlamento deve riappropriarsi del diritto di riorganizzare in senso riduttivo le nostre forze armate tenuto conto della situazione internazionale e delle necessità di contenimento della spesa pubblica, mettendo fine agli sprechi, ai privilegi e agli scandali che investono la Difesa e riducendo le basi militari americane presenti sul nostro territorio, a partire dalla base di Vicenza.

L’Italia non deve dare alcun sostegno militare all’intervento francese in Mali. Al contrario l’Italia deve sostenere tutte le forze che stanno operando per ottenere l’immediato cessate il fuoco e creare le condizioni per una soluzione politica.

L’Italia deve inviare aiuti umanitari alle centinaia di migliaia di profughi causati dalla guerra. L’intervento dell’Onu deve essere trasparente e slegato dagli interessi delle potenze ex coloniali. Vogliamo reinserire l’Italia nella comunità delle nazioni che cooperano per la soluzione dei gravi problemi globali aperti (fame, miseria, ambiente, diritti umani, democrazia…), per la prevenzione dei conflitti e la loro risoluzione pacifica, per un’economia di giustizia, per l’equa gestione dei beni comuni globali e che vogliono costruire nuovi rapporti di giustizia e fratellanza tra gli stati e tra i popoli.

Vogliamo progettare e organizzare il Sistema-Italia della cooperazione internazionale approvando una nuova legge e promuovendo la cooperazione comunitaria, partecipata e diffusa.

Vogliamo che l’Italia s’impegni con grande determinazione per costruire la pace in Medio Oriente a partire dal riconoscimento dello Stato Palestinese secondo quanto previsto dal diritto internazionale e dalle risoluzioni delle Nazioni Unite. Due Stati per due popoli: stessa dignità, stessi diritti, stessa sicurezza; costruire un’Europa dei cittadini, solidale e nonviolenta; costruire la Comunità del Mediterraneo che trasformi quest’area di grandi crisi e tensioni in un mare di pace e benessere per tutti; promuovere la riforma e la democratizzazione delle Nazioni Unite e delle istituzioni finanziarie internazionali; promuovere la cooperazione per la lotta contro la grande criminalità organizzata transnazionale, anche in vista della creazione di organismi di coordinamento internazionale per una antimafia globale contro la globalizzazione delle mafie.

Vogliamo rafforzare le istituzioni internazionali dei diritti umani e creare le istituzioni nazionali per i diritti umani a cominciare dalla Commissione diritti umani e dal Difensore civico nazionale secondo i principi raccomandati dalle Nazioni Unite, dal Consiglio d’Europa e dall’Unione Europea. Con lo stesso spirito ci impegniamo a realizzare l’Agenda dei diritti umani proposta da Amnesty International.  

In sintesi:

1. No all’acquisto degli F35, No al DdL Di Paola- Monti sulla riforma delle Forze Armate

2. Ritiro immediato delle truppe italiane da tutte le missioni di guerra. No all’intervento militare in Mali.

3. Riduzione delle basi militari sul territorio italiano.

4. Nuova legge sulla cooperazione

5. Riconoscimento dello Stato Palestinese. Due Stati per due popoli.  

 

10. PER UNA NUOVA QUESTIONE MORALE ED UN’ALTRA POLITICA

UNA POLITICA SENZA PIU’ CASTE Neppure ai tempi di Mani pulite, la politica era stata sommersa da una simile ondata di giustificato discredito. Gli scandali esplosi a ritmo quotidiano hanno dimostrato che grazie alla cultura berlusconiana si è diffusa in tutti i partiti una classe politica sempre attenta ai propri interessi e mai a quelli dei cittadini. Il Parlamento si è riempito di indagati in percentuale molto superiore a quella dei quartieri più malfamati. Mentre i cittadini si impoverivano sempre di più, i privilegi dei politici e gli sprechi della politica sono stati tutt’al più scalfiti ma spesso neppure sfiorati. La situazione ha superato di tanto il livello di guardia da rappresentare ormai una minaccia per la tenuta stessa della democrazia.  

L’immobilismo di Berlusconi e il falso movimento di Monti Di fronte al proliferare degli scandali e alle proteste per i privilegi dei politici e gli sprechi della politica Berlusconi e Monti hanno seguito strategie opposte per raggiungere il medesimo obiettivo. Il primo ha negato che il problema esistesse e non ha mosso un dito. Il secondo ha preso impegni fragorosi e poi o non ha fatto nulla o ha varato leggi morbidissime spacciandole per severe. I privilegi della politica sono tutti al loro posto, stipendi di parlamentari e consiglieri regionali ed auto blu incluse. La sua legge sull’ineleggibilità dei condannati è tanto dura che permette praticamente a tutti i condannati a meno di due anni, a tutti i condannati con sentenze non ancora definitive e a tutti quelli che hanno patteggiato di candidarsi. Tutti no, però quasi tutti sì.  

Ripulire le istituzioni Le istituzioni, prima fra tutte il Parlamento, devono essere ripulite. Devono diventare al di sopra di ogni sospetto, non al di sotto come sono oggi. I condannati non devono potersi candidare e così i rinviati a giudizio per reati gravi, finanziari o contro la Pubblica amministrazione. Indagati e inquisiti non devono poter ricoprire cariche di governo né nazionale né locale.

La diaria per i parlamentari, un doppio stipendio di fatto, va abolito. I compensi dei rappresentanti, sia parlamentari che consiglieri regionali, devono essere drasticamente diminuiti. Vogliamo introdurre per legge il limite di due mandati per parlamentari e consiglieri regionali. In particolare va aggredita la clientela, colpendo le consulenze inutili e la pletora di consigli d’amministrazione fatti solo per foraggiare amici e clienti. La politica deve smettere di essere il regno degli interessi privati e tornare ad essere passione civile.

Va costruita una nuova stagione di protagonismo dei movimenti, delle associazioni, delle tante forme di partecipazione e cittadinanza attiva, con spazi pubblici permanenti.

In sintesi:

1. incandidabilità dei condannati e dei rinviati a giudizio per gravi reati contro la pubblica amministrazione

2. abolizione della diaria dei parlamentari

3. diminuzione drastica dei compensi di parlamentari e consiglieri regionali

4. limite di due mandati per parlamentari e consiglieri regionali

5. taglio drastico di consulenze d’oro e consigli di amministrazione inutili

6. Costruire spazi di partecipazione permanenti, valorizzando la democrazia diretta e partecipativa

Tratto da: azionecivile.net

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