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rita-int-18luglioLe responsabilità dell'informazione sotto accusa nell'intervista di Rita Borsellino ai giornalisti
di Aaron Pettinari - 19 luglio 2013
Ventuno anni dopo la strage di via D'Amelio, in cui persero la vita il fratello Paolo e gli agenti della sua scorta, nell'animo di Rita Borsellino lo squarcio è rimasto profondo con una sete di verità e giustizia inappagata. Oggi a Caltanissetta, su quei fatti, si celebra un nuovo processo e sono stati svelati i depistaggi messi in atto nel corso degli anni. La Borsellino, nell'incontro di Villa Niscemi, ha voluto smettere i panni della sorella del giudice e vittima di mafia prendendo il microfono “dalla parte del manico” ed essere lei a fare le domande ai giornalisti, Giuseppe Lo Bianco ed Anna Petrozzi, che in questi anni hanno raccontato la storia della mafia, delle stragi e dei processi che si sono susseguiti.

“Le mia testa è piena di domande da troppo tempo- ha detto la Borsellino - Da quando cominciò la campagna contro i pentiti e quasi si annullò uno strumento che era così importante, da quando le fughe di notizie iniziarono a serpeggiare in maniera sempre più violenta danneggiando inchieste delicatissime. Mi preme comprendere il punto di vista del giornalista perché io naturalmente ho una visione diversa, quella del cittadino comune che qualche volta apprezza, accoglie il lavoro importantissimo dei giornali ma qualche altra volta resta sconcertato davanti a delle situazioni che non si comprendono”.
Ad ascoltare il dialogo ragazzi e ragazze dell'Arci e di Libera Corleone, provenienti da più parti in Italia ed anche dall'estero, che in questi giorni si trovano a lavorare sui terreni confiscati alle mafie e che non hanno voluto perdere l'occasione di ascoltare “un pezzo di storia”. Il titolo dell'incontro,  “Parlate di mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene", non è casuale. In quella frase pronunciata da Paolo Borsellino oltre vent'anni fa può suonare come un messaggio per le giovani generazioni ma anche un richiamo agli addetti ai lavori, ai giornalisti, affinché non si tirino mai indietro e spieghino i fatti nel modo più chiaro e completo possibile. Ed è questa la richiesta che Rita Borsellino ha voluto rivolgere utilizzando questo metodo “inconsueto”, rompendo gli schemi.
Così la parola è passata a Peppino Lo Bianco, Anna Petrozzi e Teresa Di Fresco che hanno cercato di spiegare come in questi ventuno anni è cambiata la lotta alla mafia, a che punto si è arrivati oggi, mettendo in evidenza i punti oscuri ancora presenti nell'indagine sulla 'trattativa'.
In particolare ad emergere è stato il passo indietro che, a partire dal 1996, è stato compiuto dalla stampa e dalla politica. “Nei primi anni del post stragi una reazione c'era stata – ha ricordato Lo Bianco, giornalista del Fatto Quotidiano - Poi è come se improvvisamente su questo Paese fosse caduta una cortina di silenzio sulla mafia, sulle stragi e di quanto avvenuto tra il 1992 ed il 1994. Rileggendo tutte le dichiarazioni dei politici dal '96 in poi ci si rende conto di come serpeggiasse l'idea che la mafia fosse stata sconfitta per sempre. Fino a quando nel 2006 le telecamere di Anna La Rosa ci portarono dentro un casolare nascosto, apparentemente abbandonato. Era il covo di Provenzano. E allora viene da pensare che ci sia stata una grande mediazione illusionistica senza alcuna coerenza logica”. E poi ha aggiunto parlando della trattativa e delle difficoltà che la politica presenta nell'affrontare certi temi: “Prendiamo le Commissioni antimafia di questi anni. Quando ci sono stati come presidenti esponenti di sinistra paradossalmente i documenti sono spesso rimasti nei cassetti. Con Pisanu si è iniziato un certo percorso ma ancora oggi manca una relazione finale e oggi, a 21 anni dalle stragi, nella richiesta di apertura della Commissione antimafia fatta dal Pd e dal Movimento 5 stelle si parla, nonostante ormai sia accertata anche da sentenze, di "presunta" trattativa”.
E lo stesso concetto lo ha ribadito Anna Petrozzi, caporedattrice di ANTIMAFIADuemila: “Se vogliamo trovare una spiegazione su quanto accaduto sta nel fatto che il nostro Paese vive di segreti, è imprigionato in un ricatto che è diventato sistema. Sulle stragi invece di fare un passo avanti ne è stato fatto uno indietro. Ci vuole coraggio ma il fatto che continuiamo a chiamare la trattativa 'presunta' è sintomo evidente di come la paura abiti i corpi e le menti dei cittadini. Siamo paralizzati di fronte ad una verità che abbiamo davanti agli occhi e che preferiamo mettere sotto il tappeto. A volte manca il coraggio di affrontare la verità. Pensiamo a quanto accaduto in questi anni. C'è voluta una figura come Massimo Ciancimino, personaggio sicuramente dai contorni strani, che con le sue dichiarazioni ha fatto tornare alla memoria certi fatti a tanti altri politici che si erano trincerati nel silenzio per 17 anni. E non è questo lo Stato che meritano i nostri giovani. Il Paese del domani sarà senza futuro senza la verità e la responsabilità è nostra. Anche perché non possiamo sempre delegare a pochi magistrati il compito di trovare la verità”.
All'incontro è intervenuta anche Teresa Di Fresco, vicepresidente dell'Ordine dei giornalisti di Sicilia secondo la quale bisogna uscire dalla corazza di “indifferenza e omertà” costruita nel corso degli anni: “Dobbiamo far sì che i giovani crescano con la coscienza del male che esiste ma che può essere combattuto e sconfitto – ha concluso Di Fresco -. La mafia è una grande famiglia che vive nell'ombra e quindi più difficilmente attaccabile. I giovani hanno il dovere di credere in un futuro libero dalla criminalità. I mezzi ci sono. Usiamoli”.
Ad offrire un contributo per i giovani ha preso la parola anche il Presidente del Tribunale di Palermo, Leonardo Guarnotta che ha parlato di trattativa ed anche della sentenza d'assoluzione degli ufficiali dei carabinieri Mori ed Obinu: “E' importante dare le giuste informazioni e condivido le analisi dei giornalisti. A certificare l'esistenza della tratativa c'è una sentenza della corte d'Assise di Firenze che non solo ci dice che è esistita ma che a prendere l'iniziativa sono stati uomini dello Stato e non i mafiosi. Sulla sentenza del processo sul mancato blitz a Mezzojuso non si dice che non è stato commesso il fatto e che il fatto non sussiste. Si dice che il fatto non costituisce reato, ovvero che non c'è il dolo, ma comunque il fatto è vero. Almeno questa è l'analisi che possiamo fare senza leggere le motivazioni della sentenza”.
Poi Guarnotta ha voluto ricordare il giudice Borsellino ricordandone la sicilianità e l'appartenenza alla città che questi esprimeva ogni volta. “Lui voleva liberare la nostra terra da quel bubbone malefico che era ed è la mafia. E diventa importante ricordare oggi. La memoria è utile per comprendere il passato, capire il presente e preparare il futuro. E diventa fondamentale conoscere la verità perché un Paese senza verità è un Paese senza futuro”.
Il dibattito si è concluso con l'inaugurazione della sede del “centro studi Paolo Borsellino” nei locali delle ex Scuderie di Villa Niscemi, a Palermo. Negli spazi offerti dal Comune di Palermo saranno allestite mostre, esposizioni e iniziative di carattere socio-culturale per 'fare memoria'. “Sono sicura che a Paolo sarebbe piaciuta l'idea di un luogo prestigioso come questo delle ex Scuderie di Villa Niscemi e lui vive qui - ha detto Rita Borsellino, presidente onoraria - insieme al grande patrimonio che in questi anni le scuole, enti e associazioni hanno prodotto sui temi della giustizia e della legalità che qui confluiranno perché siano a disposizione di tutti”.

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