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borsellino-agnese-manfredidi Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza - 6 maggio 2013
É andata a raggiungere Paolo. Adesso saprà la verità sulla sua morte”. Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, ha così salutato su facebook la cognata Agnese. Era il 25 giugno del ’92 quando nel piccolo televisore di casa, in cucina, vide suo marito nell’atrio della biblioteca comunale di Palermo pronunciare l’ultimo discorso pubblico, drammatico e al tempo stesso profetico: “Ma che dice Paolo, così lo ammazzano”, si lasciò sfuggire. Era una donna schietta, Agnese Borsellino, forte e disillusa: una vita accanto al marito le aveva aperto gli occhi sui rischi di un’antimafia giudiziaria autentica, sostenuta da valori e profonde convinzioni civili.
LO DIMOSTRÒ subito, poche ore dopo la strage di via D’Amelio, quando Nicola Mancino, ministro dell’Interno nel 1992, le si avvicinò per le condoglianze sussurrandole: ‘’lo Stato è a sua disposizione’’. “L’uccisione di mio marito è una dichiarazione di guerra contro la mia città – rispose – se è guerra, guerra sia: inviate i militari per presidiare il territorio e difendere gli obiettivi a rischio”. Ma aveva capito già che era una guerra diversa dalle altre, in cui il nemico era in grado di assumere mille volti, compreso quello delle istituzioni. Glielo aveva confidato il marito, nell’ultima passeggiata insieme, venerdi 17 luglio, sulla battigia a Villagrazia di Carini, mano nella mano: “Ad ammazzarmi sarà la mafia, a volere la mia morte saranno altri. Mi disse che aveva vomitato, perché aveva visto la mafia in diretta”. Si erano conosciuti nei salotti buoni della città, lei figlia di un autorevole magistrato, lui giovane e promettente giudice all’inizio della carriera.

borsellino-matrimonio-torta“Agnese è cresciuta nella buona borghesia, suo padre le ha trasmesso una autentica venerazione per le istituzioni – ha raccontato Rita Borsellino – lei era una moglie perfetta, ma nel senso tradizionale del termine: si occupava della casa, dei ragazzi, dei contatti sociali, non molti, perché Paolo, col suo lavoro, doveva stare attentissimo alle frequentazioni’”. Perfetta, ma senza sudditanze di genere: quando, dopo la sua candidatura al Quirinale votata da 47 deputati di An, il marito rispose duramente a Falcone che al telefono lo prendeva in giro, lei lo riprese: “Non puoi essere così duro con i tuoi amici”. La sua vita cambiò quel 19 luglio di 21 anni fa: ai magistrati raccontò la solitudine del marito, i contrasti con il procuratore Giammanco, la corsa contro il tempo delle indagini, dell’agenda rossa “da cui non si separava mai”, il cruccio per non essere stato convocato dai colleghi di Caltanissetta che indagavano su Capaci.
Ma non disse subito tutto quello che sapeva, e a chi glielo rimproverò rispose schietta: ‘”Il mio primo dovere è stato quello di proteggere i miei figli”. Visto l’esito dei processi, non le si può dare certo torto. E al protagonista di quei depistaggi, Vincenzo Scarantino, che 2 anni fa le scrisse chiedendo perdono, rispose: “Caro Vincenzo, ti perdono ma tu racconta tutta la verità”.
NEGLI ULTIMI tempi la malattia l’aveva costretta in casa, in occasione del ventennale inviò un messaggio ai giovani, con cui ha sempre mantenuto un filo diretto: “Dopo alcuni momenti di sconforto ho continuato e continuerò a credere e rispettare le istituzioni di questo Paese come mio marito sino all'ultimo ci ha insegnato.
Non indietreggiando nemmeno un passo di fronte anche al solo sospetto di essere stato tradito da chi invece avrebbe dovuto fare quadrato intorno a lui”. Aveva fatto del riserbo la cifra della sua vita, ma quando vennero a galla le telefonate tra Mancino e Napolitano, di fronte ai commenti dell’ex ministro non volle trattenersi: ‘”Sento di avere il diritto – disse – e forse anche il dovere, di manifestare tutto il mio sdegno per un ex ministro, presidente della Camera e vice presidente del Csm, che a più riprese nel corso di indagini giudiziarie, che pure lo riguardavano, non ha avuto scrupoli nel telefonare alla più alta carica dello Stato, cui oggi io ribadisco tutta la mia stima, per mere beghe personali”.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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