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gulotta-giuseppedi Nicola Biondo - 28 gennaio 2013
Era stato accusato di averli uccisi trentasette anni fa. E con un verdetto definitivo la giustizia lo aveva condannato all’ergastolo, marchiandolo come assassino. Poi una sentenza di revisione, lo scorso febbraio, ha rimesso tutto in gioco, restituendogli, dopo ventidue anni di carcere, l’onore.

Oggi Giuseppe Gulotta, 55 anni, parla per la prima volta di quella strage, di quei due giovani carabinieri uccisi ad Alcamo Marina, provincia di Trapani. Dei segreti e dei silenzi che ancora avvolgono la strage. Era il 27 gennaio 1976 quando Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta vengono uccisi nella caserma dove prestavano servizio. A finire dentro sono cinque ragazzi, torturati e costretti a firmare un verbale di confessione. Per Gulotta, una vita passata dietro le sbarre per un reato mai commesso, oggi è un giorno particolare. Pieno di ricordi, rimpianti e accuse che vanno dritte al cuore dello Stato.

“Io sono la terza vittima di quell’eccidio. Ho passato 22 anni in carcere da innocente. E se fossi in Sicilia andrei a deporre un mazzo di fiori per quei ragazzi”.    

Lei è stato torturato dai Carabinieri per ottenere una confessione e poi è finito all’ergastolo. Una vita bruciata.
Chi mi ha torturato voleva consegnare un falso colpevole alla giustizia, voleva chiudere come in un delitto perfetto il caso di Alcamo Marina: i colpevoli fuori, gli innocenti in carcere, il vero movente completamente oscurato.

Sta dicendo che qualcuno all’interno dell’Arma sapeva il perché delle morti di Apuzzo e Falcetta?
Oggi finalmente conosco i nomi di chi con una divisa addosso mi ha torturato e ha falsificato la mia confessione. La lista è lunga. Vede questo documento? Attesta la presenza di una decina di carabinieri presenti alle torture a cui io e gli altri sospettati siamo stati sottoposti: botte, minacce, finte esecuzioni, scariche elettriche, acqua e sale versati in gola. Il mistero è nascosto nel ventre oscuro dell’Arma dei carabinieri. Gli abusi dovevano consegnare alla giustizia i colpevoli perfetti, così da chiudere il caso. Il mistero della caserma di Alcamo Marina nasce e muore dentro l’Arma. Nessuno si è mai esposto nemmeno dopo la mia definitiva assoluzione che afferma che contro di me non c’era una sola prova, solo la confessione  a suon di botte che ho subito ritrattato.

Tutti zitti tranne Renato Olino, un brigadiere presente alle torture che nel 2008 ha raccontato tutto ai giudici
Aveva provato a dire la verità molto prima, ma nessuno voleva ascoltarlo. Anche per lui le responsabilità della strage vanno cercate all’interno dello Stato, le torture servivano a creare dei falsi colpevoli.

Che fine hanno fatto gli altri militari?
Alcuni sono morti, altri sono stati indagati ma è passato troppo tempo e l’indagine è ormai prescritta perché in Italia non c’è il reato di tortura. Ma che Stato è quello che condanna un innocente e non fa nulla contro chi ha macchiato la divisa con atti inumani che hanno deviato per sempre la ricerca della verità? Io sono stato un capro espiatorio.

Lei punta il dito sulla squadra del colonnello Ninì Russo, l’uomo che guidò le indagini e la torturò. Ufficialmente è un’icona della lotta antimafia.
Né Russo né i suoi uomini mi sono apparsi come eroi antimafia. Mi hanno torturato, picchiato, puntato una pistola in faccia. Avevo diciotto anni, dopo una notte d’inferno mi sono fatto la pipì addosso e sono svenuto. Quando sono rinvenuto mi sono arreso, “vi dico tutto quello che volete basta che la finite”. E loro si sono inventati un verbale e me l’hanno fatto firmare.

Torture e false confessioni a cui i giudici hanno creduto.
Non sono solo vittima di un errore giudiziario, ma di una frode processuale. Le prove sono state costruite con le torture e su dati falsi. I magistrati, pur con le loro colpe, sono anch’essi “vittime” di questa storia, sono stati presi in giro. Ma non dimentico che sono stati altri magistrati a dichiararmi innocente, a fare giustizia mentre altri uomini di Stato tacevano.

Lei alla fine ha avuto giustizia seppure 36 anni dopo i fatti.
Sì, mentre per Apuzzo e Falcetta non c’è giustizia né verità.

Dopo la sua assoluzione le istituzioni si sono fatte vive, anche solo per darle un segno di solidarietà?
Nessuno. Solo il direttore del carcere di San Gimignano, dove ho scontato la mia pena, mi ha chiamato. E’ stato bello sentire la sua voce, quella dell’ unico uomo delle istituzioni che ha sentito il bisogno di chiamarmi.

E l’Arma dei Carabinieri?
Dall’Arma non ho avuto nessun segnale. Dovrebbero chiedere scusa alle famiglie di Apuzzo e Falcetta, per averli illusi con una falsa verità, per aver dato loro dei falsi colpevoli, per non aver reso loro giustizia. E’ così che hanno creduto di onorare la loro morte?

Per 36 anni lei è stato un assassino. Ha subito nove processi, una condanna all’ergastolo, ha passato 22 anni in carcere. E’ entrato in questa storia che aveva 18 anni e ne è uscito da innocente che ne aveva 54. Adesso ha chiesto un risarcimento record allo Stato, 69 milioni di euro.
Qualcuno dice che è un’enormità ma lei per quale cifra è disposto a sacrificare gli anni più belli della sua vita? Voglio dare vita ad un’associazione che si occupi di chi giovane e con pochissimi mezzi come ero io deve fronteggiare una disgrazia come questa. E fare del bene a chi ha aiutato la mia compagna e i miei figli cresciuti senza di me, mentre io avevo il marchio dell’infamia.

Lei si è fatto un’idea del perché della strage?
Per ricostruire una parte della mia vita ho dovuto fare un viaggio infernale nei buchi neri di questo paese. Intorno alla strage si muovono, secondo le nuove indagini, apparati di stato e uomini di mafia. Io sono stato stritolato da questo tritacarne ma ho fiducia nella giustizia. Lei non sa cosa darei per sapere la verità su quei poveri ragazzi.

Due dei condannati, anche loro torturati, hanno scelto di fuggire. Perché lei no?
Ho fatto come Socrate, ho accettato la condanna ingiusta, ho bevuto la cicuta. Ma lo rifarei. Non volevo fuggire, volevo giustizia. Mi hanno piegato ma non mi sono fatto bruciare l’anima dalla rabbia. Non sono impazzito perché io ero, sono pulito.

Come ha fatto a resistere?
Ho combattuto per non farmi schiacciare dal buio, non ho mai dimenticato che anche io avevo diritto ad essere felice. Nonostante il dolore non sono riusciti a cambiarmi. Se non avessi avuto la mia compagna e i miei figli non ce l’avrei fatta. Ho resistito per loro e grazie a loro. E oggi mi sento di dire che posso pubblicamente onorare la morte di quei due poveri ragazzi.

BOX
I Carabinieri Carmine Apuzzo, 19 anni, e Salvatore Falcetta 35, vengono uccisi la notte del 27 gennaio 1976 ad Alcamo Marina, all’interno della caserma dove vivevano. Gulotta con altri quattro ragazzi viene accusato di essere il killer. Nel 1990 dopo nove processi finisce all’ergastolo. Il 13 febbraio 2012 una sentenza di revisione lo assolve dopo 22 anni di carcere. L’inchiesta sulla strage è stata riaperta dalla procura di Trapani. La storia di Giuseppe Gulotta sarà raccontata in un libro in uscita il prossimo mese di Marzo per la casa editrice Chiarelettere.
 
Tratto da: L’Unità

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