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scarpinato-roberto-web-c-barbagalloIl Plenum del CSM ha approvato la proposta di archiviazione avanzata dalla Prima Commissione nei confronti della pratica aperta a carico del dott. Scarpinato (Pratica 383/RR/2012 “Procedim. c/ Proc. Gen: SCARPINATO Roberto”) con i seguenti voti:

- 18 favorevoli
- 6 astenuti: Zanon, Marini, Palumbo, Romano, Albertoni e Ciani
- nessun voto contrario all’archiviazione

Finisce quindi con un’archiviazione una vicenda degna di un Paese del Terzo mondo.
Riportiamo di seguito la sintesi del “caso Scarpinato” e la relativa documentazione ufficiale.
Il 7 novembre 2012 il Plenum del Csm ha votato a favore dell'archiviazione della pratica relativa alle dichiarazioni del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Caltanissetta, Roberto Scarpinato, in occasione dell'anniversario di via D'Amelio. Quel giorno Scarpinato aveva letto una lettera a Paolo Borsellino. “Caro Paolo – si leggeva nel testo - stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti  riservati alle  autorità,  anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e  di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite – per usare le tue parole - emanano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà”. Parole ineccepibili, prive di alcun cenno offensivo o infamante, nella piena libertà di espressione che rientra in una democrazia compiuta. Ma non in Italia, dove, su decisione del Comitato di presidenza del Csm (su richiesta del laico del Pdl Nicolò Zanon), a seguito di quelle dichiarazioni, si era proceduto ad inviare gli atti riguardo la nomina del nuovo procuratore generale di Palermo al pg della Cassazione Gianfranco Ciani. In questo modo si metteva a rischio la domanda di trasferimento di Roberto Scarpinato da Caltanissetta al capoluogo siciliano, così da minare la sua nomina a procuratore generale di Palermo. A sostegno di Scarpinato era stata redatta una lettera-appello firmata da 530 magistrati, da diversi familiari di vittime di mafia (tra cui Agnese, Salvatore e Rita Borsellino) e numerosi esponenti della società civile; anche l'Anm aveva criticato l'apertura della pratica nei confronti del pg nisseno. La lettera-appello era stata infine inviata al CSM.

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La Prima Commissione, con i voti favorevoli dei Consiglieri Giostra, Borraccetti, Vigorito, Di Rosa, Sciacca e con il voto contrario del Consigliere Zanon, propone l'adozione della seguente delibera:
“In data 26 luglio 2012 il Comitato di Presidenza ha autorizzato, su richiesta del Consigliere Nicolò Zanon, l'apertura di una pratica relativa alle dichiarazioni rese il 19 luglio 2012 dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Caltanissetta in occasione della cerimonia pubblica per i 20 anni dalla strage ove morirono il dott. Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta.
Acquisito il testo della trascrizione dell'intervento commemorativo, la Prima Commissione, a maggioranza dei suoi membri, ha ritenuto non sussistente alcuno spazio per interventi di propria competenza.
Si riporta di seguito il testo del discorso del dott. Scarpinato:

Caro Paolo,

oggi siamo qui a commemorarti in forma privata perché più trascorrono gli anni e più diventa imbarazzante il 23 maggio ed il 19 luglio partecipare alle cerimonie ufficiali che ricordano le stragi di Capaci e di via D’Amelio.
Stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite – per usare le tue parole – emanano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà.
E come se non bastasse, Paolo, intorno a costoro si accalca una corte di anime in livrea, di piccoli e grandi maggiordomi del potere, di questuanti pronti a piegare la schiena e a barattare l’anima in cambio di promozioni in carriera o dell’accesso al mondo dorato dei facili privilegi.
Se fosse possibile verrebbe da chiedere a tutti loro di farci la grazia di restarsene a casa il 19 luglio, di concederci un giorno di tregua dalla loro presenza. Ma, soprattutto, verrebbe da chiedere che almeno ci facessero la grazia di tacere, perché pronunciate da loro, parole come Stato, legalità, giustizia, perdono senso, si riducono a retorica stantia, a gusci vuoti e rinsecchiti.
Voi che a null’altro credete se non alla religione del potere e del denaro, e voi che non siete capaci di innalzarvi mai al di sopra dei vostri piccoli interessi personali, il 19 luglio tacete, perché questo giorno è dedicato al ricordo di un uomo che sacrificò la propria vita perché parole come Stato, come Giustizia, come Legge acquistassero finalmente un significato e un valore nuovo in questo nostro povero e disgraziato paese.
Un paese nel quale per troppi secoli la legge è stata solo la voce del padrone, la voce di un potere forte con i deboli e debole con i forti. Un paese nel quale lo Stato non era considerato credibile e rispettabile perché agli occhi dei cittadini si manifestava solo con i volti impresentabili di deputati, senatori, ministri, presidenti del consiglio, prefetti, e tanti altri che con la mafia avevano scelto di convivere o, peggio, grazie alla mafia avevano costruito carriere e fortune.
Sapevi bene Paolo che questo era il problema dei problemi e non ti stancavi di ripeterlo ai ragazzi nelle scuole e nei dibattiti, come quando il 26 gennaio 1989 agli studenti di Bassano del Grappa ripetesti: “Lo Stato non si presenta con la faccia pulita… Che cosa si è fatto per dare allo Stato… Una immagine credibile?… La vera soluzione sta nell’invocare, nel lavorare affinché lo Stato diventi più credibile, perché noi ci dobbiamo identificare di più in queste istituzioni”.
E a un ragazzo che ti chiedeva se ti sentivi protetto dallo Stato e se avessi fiducia nello Stato, rispondesti: “No, io non mi sento protetto dallo Stato perché quando la lotta alla mafia viene delegata solo alla magistratura e alle forze dell’ordine, non si incide sulle cause di questo fenomeno criminale”. E proprio perché eri consapevole che il vero problema era restituire credibilità allo Stato, hai dedicato tutta la vita a questa missione.
Nelle cerimonie pubbliche ti ricordano soprattutto come un grande magistrato, come l’artefice insieme a Giovanni Falcone del maxiprocesso che distrusse il mito della invincibilità della mafia e riabilitò la potenza dello Stato. Ma tu e Giovanni siete stati molto di più che dei magistrati esemplari. Siete stati soprattutto straordinari creatori di senso.
Avete compiuto la missione storica di restituire lo Stato alla gente, perché grazie a voi e a uomini come voi per la prima volta nella storia di questo paese lo Stato si presentava finalmente agli occhi dei cittadini con volti credibili nei quali era possibile identificarsi ed acquistava senso dire “ Lo Stato siamo noi”. Ci avete insegnato che per costruire insieme quel grande Noi che è lo Stato democratico di diritto, occorre che ciascuno ritrovi e coltivi la capacità di innamorarsi del destino degli altri. Nelle pubbliche cerimonie ti ricordano come esempio del senso del dovere.
Ti sottovalutano, Paolo, perché la tua lezione umana è stata molto più grande. Ci hai insegnato che il senso del dovere è poca cosa se si riduce a distaccato adempimento burocratico dei propri compiti e a obbedienza gerarchica ai superiori. Ci hai detto chiaramente che se tu restavi al tuo posto dopo la strage di Capaci sapendo di essere condannato a morte, non era per un astratto e militaresco senso del dovere, ma per amore, per umanissimo amore.
Lo hai ripetuto la sera del 23 giugno 1992 mentre commemoravi Giovanni, Francesca, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Parlando di Giovanni dicesti: “Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché mai si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! La sua vita è stata un atto di amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato”.
Questo dicesti la sera del 23 giugno 1992, Paolo, parlando di Giovanni, ma ora sappiamo che in quel momento stavi parlando anche di te stesso e ci stavi comunicando che anche la tua scelta di non fuggire, di accettare la tremenda situazione nella quale eri precipitato, era una scelta d’amore perché ti sentivi chiamato a rispondere della speranza che tutti noi riponevamo in te dopo la morte di Giovanni.
Ti caricammo e ti caricasti di un peso troppo grande: quello di reggere da solo sulle tue spalle la credibilità di uno Stato che dopo la strage di Capaci sembrava cadere in pezzi, di uno Stato in ginocchio ed incapace di reagire.
Sentisti che quella era divenuta la tua ultima missione e te lo sentisti ripetere il 4 luglio 1992, quando pochi giorni prima di morire, i tuoi sostituti della Procura di Marsala ti scrissero: “La morte di Giovanni e di Francesca è stata per tutti noi un po’ come la morte dello Stato in questa Sicilia. Le polemiche, i dissidi, le contraddizioni che c’erano prima di questo tragico evento e che, immancabilmente, si sono ripetute anche dopo, ci fanno pensare troppo spesso che non ce la faremo, che lo Stato in Sicilia è contro lo Stato e che non puoi fidarti di nessuno. Qui il tuo compito personale, ma sai bene che non abbiamo molti altri interlocutori: sii la nostra fiducia nello Stato”.
Missione doppiamente compiuta, Paolo. Se riuscito con la tua vita a restituire nuova vita a parole come Stato e Giustizia, prima morte perché private di senso. E sei riuscito con la tua morte a farci capire che una vita senza la forza dell’amore è una vita senza senso; che in una società del disamore nella quale dove ciò che conta è solo la forza del denaro ed il potere fine a se stesso, non ha senso parlare di Stato e di Giustizia e di legalità.
E dunque per tanti di noi è stato un privilegio conoscerti personalmente e apprendere da te questa straordinaria lezione che ancora oggi nutre la nostra vita e ci ha dato la forza necessaria per ricominciare quando dopo la strage di via D’Amelio sembrava – come disse Antonino Caponnetto tra le lacrime – che tutto fosse ormai finito.
Ed invece Paolo, non era affatto finita e non è finita. Come quando nel corso di una furiosa battaglia viene colpito a morte chi porta in alto il vessillo della patria, così noi per essere degni di indossare la tua stessa toga, abbiamo raccolto il vessillo che tu avevi sino ad allora portato in alto, perché non finisse nella polvere e sotto le macerie.
Sotto le macerie dove invece erano disposti a seppellirlo quanti mentre il tuo sangue non si era ancora asciugato, trattavano segretamente la resa dello Stato al potere mafioso alle nostre spalle e a nostra insaputa.
Abbiamo portato avanti la vostra costruzione di senso e la vostra forza è divenuta la nostra forza sorretta dal sostegno di migliaia di cittadini che in quei giorni tremendi riempirono le piazze, le vie, circondarono il palazzo di giustizia facendoci sentire che non eravamo soli.
E così Paolo, ci siamo spinti laddove voi eravate stati fermati e dove sareste certamente arrivati se non avessero prima smobilitato il pool antimafia, poi costretto Giovanni ad andar via da Palermo ed infine non vi avessero lasciato morire.
Abbiamo portato sul banco degli imputati e abbiamo processato gli intoccabili: presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari nazionali e regionali, presidenti della Regione siciliana, vertici dei Servizi segreti e della Polizia, alti magistrati, avvocati di grido dalle parcelle d’oro, personaggi di vertice dell’economia e della finanza e molti altri.
Uno stuolo di sepolcri imbiancati, un popolo di colletti bianchi che hanno frequentato le nostre stesse scuole, che affollano i migliori salotti, che nelle chiese si battono il petto dopo avere partecipato a summit mafiosi. Un esercito di piccoli e grandi Don Rodrigo senza la cui protezione i Riina, i Provenzano sarebbero stati nessuno e mai avrebbero osato sfidare lo Stato, uccidere i suoi rappresentanti e questo paese si sarebbe liberato dalla mafia da tanto tempo.
Ma, caro Paolo, tutto questo nelle pubbliche cerimonie viene rimosso come se si trattasse di uno spinoso affare di famiglia di cui è sconveniente parlare in pubblico. Così ai ragazzi che non erano ancora nati nel 1992 quando voi morivate, viene raccontata la favola che la mafia è solo quella delle estorsioni e del traffico di stupefacenti.
Si racconta che la mafia è costituita solo da una piccola minoranza di criminali, da personaggi come Riina e Provenzano. Si racconta che personaggi simili, ex villici che non sanno neppure esprimersi in un italiano corretto, da soli hanno tenuto sotto scacco per un secolo e mezzo la nostra terra e che essi da soli osarono sfidare lo Stato nel 1992 e nel 1993 ideando e attuando la strategia stragista di quegli anni. Ora sappiamo che questa non è tutta la verità.
E sappiamo che fosti proprio tu il primo a capire che dietro i carnefici delle stragi, dietro i tuoi assassini si celavano forze oscure e potenti. E per questo motivo ti sentisti tradito, e per questo motivo ti si gelò il cuore e ti sembrò che lo Stato, quello Stato che nel 1985 ti aveva salvato dalla morte portandoti nel carcere dell’Asinara, questa volta non era in grado di proteggerti, o, peggio, forse non voleva proteggerti.
Per questo dicesti a tua moglie Agnese: “Mi ucciderà la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere, la mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno”. Quelle forze hanno continuato ad agire Paolo anche dopo la tua morte per cancellare le tracce della loro presenza. E per tenerci nascosta la verità, è stato fatto di tutto e di più.
Pochi minuti dopo l’esplosione in Via D’Amelio mentre tutti erano colti dal panico e il fumo oscurava la vista, hanno fatto sparire la tua agenda rossa perché sapevano che leggendo quelle pagine avremmo capito quel che tu avevi capito.
Hanno fatto sparire tutti i documenti che si trovavano nel covo di Salvatore Riina dopo la sua cattura. Hanno preferito che finissero nella mani dei mafiosi piuttosto che in quelle dei magistrati. Hanno ingannato i magistrati che indagavano sulla strage con falsi collaboratori ai quali hanno fatto dire menzogne. Ma nonostante siano ancora forti e potenti, cominciano ad avere paura.
Le loro notti si fanno sempre più insonni e angosciose, perché hanno capito che non ci fermeremo, perché sanno che è solo questione di tempo. Sanno che riusciremo a scoprire la verità. Sanno che uno di questi giorni alla porta delle loro lussuosi palazzi busserà lo Stato, il vero Stato quello al quale tu e Giovanni avete dedicato le vostre vite e la vostra morte.
E sanno che quel giorno saranno nudi dinanzi alla verità e alla giustizia che si erano illusi di calpestare e saranno chiamati a rendere conto della loro crudeltà e della loro viltà dinanzi alla Nazione.


1. Il discorso del Procuratore Scarpinato costituisce espressione della libertà di manifestazione del proprio pensiero. Va ribadito che i magistrati, come gli altri cittadini hanno diritto di manifestare liberamente in pubblico il proprio pensiero, che peraltro essi devono esercitare in modo da non collidere con i principi costituzionali di indipendenza e imparzialità, cioè con i valori essenziali che caratterizzano lo status degli appartenenti all'ordine giudiziario. In questo senso va richiamato quanto affermato dal Presidente della Repubblica il 27 aprile 2010 ai magistrati in tirocinio - per cui la manifestazione del pensiero deve sempre caratterizzarsi da un responsabile atteggiamento individuale che impone di non cedere ai protagonismi e alle esposizioni mediatiche (così il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel saluto agli uditori giudiziari del 12 maggio 2008). Occorre “fare attenzione a non cedere ad “esposizioni mediatiche” o sentirsi investiti di missioni improprie esorbitanti oppure ancora ad indulgere in atteggiamenti impropriamente protagonistici o personalistici che possono offuscare e mettere in discussione la imparzialità dei singoli magistrati, dell'ufficio giudiziario cui appartengono, della magistratura in generale” (così il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel saluto ai magistrati in tirocinio del 27 aprile 2010).
Ciò premesso, occorre allora valutare se nella condotta posta in essere dal dott. Scarpinato sia rinvenibile il “fumus” di una situazione disciplinarmente rilevante (con conseguente archiviazione e contestuale trasmissione degli atti agli organi competenti ) ovvero - in caso di risposta negativa - sia configurabile una condotta “incolpevole” ma rilevante ai fini della apertura della procedura di trasferimento per incompatibilità ambientale o funzionale ex art. 2 L.G.
Nessuna delle due ipotesi pacificamente ricorre con riferimento alla vicenda che qui occupa.

2. Il ricordo delle idee, dell'abnegazione e del coraggio del dott. Paolo Borsellino, con il richiamo delle precise parole pronunciate in manifestazioni pubbliche, unitamente al proclamato impegno a proseguire il percorso iniziato da lui, da Giovanni Falcone e dagli altri magistrati che hanno perseguito efficacemente la criminalità organizzata, costituiscono un modo per ricordare a tutti che la tutela della convivenza civile e del sistema democratico richiede che tutte le Istituzioni contrastino nei fatti i fenomeni criminali più diffusi e più pericolosi, che si sono rivelati connessi con il tessuto sociale ed economico del paese.
E' un impegno che il sacrificio di tanti servitori dello Stato ha reso indefettibile e che, come ha affermato il dott. Scarpinato nel suo discorso, è servito a ridare credibilità alle Istituzioni e alla stessa Magistratura.
L'appello al recupero di credibilità da parte delle Istituzioni, da raggiungere anche attraverso la ferma azione dello Stato contro ogni compromesso con ambienti criminali può considerarsi l’esplicitazione di un comune sentire, che diviene tanto più efficace nella sua valenza diffusiva, in quanto proveniente da un magistrato intensamente impegnato in una quotidiana azione di contrasto alla criminalità organizzata.
Queste affermazioni, da tutti condivise, non sono in contrasto con l'indipendenza e l'imparzialità del dott. Scarpinato nell'esercizio delle funzioni di Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Caltanissetta.
Il Capo della Stato nell'intervento alla cerimonia “Per non dimenticare” nell'ambito della giornata per la legalità, tenutasi a Palermo all'Aula bunker il 23 maggio 2009, ha ricordato che “il ricordo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino è dedicato … all'altro versante fondamentale della lotta contro la mafia: quello della mobilitazione collettiva, del costante dispiegamento delle migliori energie della società civile, allo scopo di trasmettere e diffondere la memoria storica delle drammatiche e tragiche vicende vissute dall'Italia negli scorsi decenni, di alimentare la cultura della legalità, di affermare l'imperativo del resistere e reagire alle intimidazioni della mafia”.
E' pur vero che le delicate attribuzioni del Procuratore Generale richiedono senso della misura e una particolare cura nelle esternazioni pubbliche in dipendenza del ruolo istituzionale ricoperto, ma la testimonianza, resa nella forma di una lettera ideale indirizzata a Paolo Borsellino, seppur caratterizzata da toni emotivi e fortemente evocativi comprensibili per il contesto commemorativo in cui sono stati usati, non incide sulle funzioni giudiziarie esercitate dal dott. Scarpinato, appannandone imparzialità e indipendenza.
Queste considerazioni inducono a disporre l'archiviazione della pratica, non essendovi provvedimenti del Consiglio da assumere.

Tanto premesso, il Consiglio delibera l'archiviazione della pratica.”

(CSM, seduta del 7.11.2012)


 
Composizione CSM

Primo Presidente: Ernesto Lupo
Procuratore Generale presso la Cassazione: Gianfranco Ciani

Componenti “laici” (eletti dal Parlamento)
Ettore Adalberto Albertoni (Lega)
Guido Calvi (PD)
Annibale Marini (PDL)
Filiberto Palumbo (PDL)
Glauco Giostra (PD)
Nicolò Zanon (PDL)
Bartolomeo Romano (PDL)

Componenti “togati” (eletti dai magistrati)
Vittorio Borraccetti MD (Magistratura Democratica)
Tommaso Virga MI (Magistratura Indipendente)
Paolo Enrico Carfì (Movimento per la Giustizia)
Francesco Cassano (MD)
Francesco Vigorito (MD)
Paolo Corder “indipendente”
Paolo Auriemma UNICOST (Unità per la Costituzione)
Giuseppina Casella (UNICOST)
Giovanna Di Rosa (UNICOST)
Roberto Rossi (Movimento)
Alberto Liguori (UNICOST)
Angelantonio Racanelli (MI)
Alessandro Pepe (MI)
Mariano Sciacca (UNICOST)
Aniello Nappi (Movimento)
Riccardo Fuzio (UNICOST)


Il Plenum del CSM ha approvato la proposta di archiviazione avanzata dalla Prima Commissione nei confronti della pratica aperta a carico del dott. Scarpinato (Pratica 383/RR/2012 “Procedim. c/ Proc. Gen: SCARPINATO Roberto”) con i seguenti voti:

18 favorevoli
6 astenuti: Zanon, Marini, Palumbo, Romano, Albertoni e Ciani
nessun voto contrario all’archiviazione

Riportiamo di seguito il testo integrale della discussione al Plenum del Csm.

Foto © Giorgio Barbagallo

SCARICA IL DOCUMENTO: Trascrizione discussione Csm


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