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cassata-franco-webFabio Repici - 30 novembre 2012
Ieri per me è stata l’udienza moralmente più pesante al processo Cassata. Erano previsti gli interventi conclusivi della collega Mariella Cicero e mio, nell’interesse della moglie, dei figli e dei fratelli di Adolfo Parmaliana, la cui memoria il corvo inizialmente anonimo voleva sfregiare con l’invio di un vomitevole dossier diffamatorio che, quale primo e principale scopo, mirava a ostacolare la pubblicazione del libro di Alfio Caruso, “Io che da morto vi parlo” (ed. Longanesi).

In fondo, basta rileggere l’ultima lettera di Adolfo (“chiedete all’avv. Mariella Cicero … chiedete all’avv. Fabio Repici”), per comprendere come ieri a me e Mariella toccava completare il gravoso onere che ci era stato lasciato con il testamento morale di Adolfo.
Naturalmente, non sto qui a ripetere quello che abbiamo detto ieri in udienza. Basti sapere che la collega ha dimostrato, con l’ausilio di una più che significativa consulenza tecnica grafologica, come la grafia con la quale vennero redatti i nomi e i recapiti dei destinatari sulle buste con le quali nel settembre 2009 fu divulgato l’indecoroso dossier anonimo appartenga proprio a Franco Cassata.
Quanto a me, di certo non elenco qui né sintetizzo le cose dette fino a tarda sera. Riporto, invece, solo le parole del testimone che Cassata ha portato davanti al Giudice per tentare di giustificare il possesso delle copie originali dell’esposto, sequestratigli nel suo ufficio il 17 novembre 2010 dal pubblico ministero e dal capitano dei carabinieri che hanno svolto le indagini, sicuramente esterrefatti quando si accorsero del materiale custodito nella vetrina del Procuratore generale di Messina. Interrogato dal dr. Pignatone e dal dr. Perrone Capano il 16 dicembre 2010, Cassata, che era assente il giorno del sequestro e che non aveva compreso cosa in particolare gli fosse stato sequestrato, davanti all’evidenza dei documenti  messigli davanti dalla Procura di Reggio Calabria, iniziò a balbettare, aggiungendo che non sapeva come mai quelle copie, a differenza del plico originale formalmente pervenuto alla Procura generale di Messina il 21 settembre 2010, non avessero il timbro del protocollo del suo ufficio. Addirittura il suo difensore, tentando di arrampicarsi sugli specchi, provò a convincere Pignatone che le fotocopie fossero state fatte di taglio e per questo fosse saltato il timbro del protocollo. Poi Cassata il giorno dopo chiese di essere risentito perché aveva trovato la spiegazione: così disse. Gliel’aveva fornita il suo fidato commesso Ciro Alemagna da Castellammare di Stabia, che il giorno dopo l’interrogatorio gli aveva ricordato che giusto quel plico, per la prima e unica volta, era stato aperto dal commesso, che aveva fiutato, da vero e proprio segugio, trattarsi di un esposto anonimo e che, riguardando Adolfo Parmaliana, era stato fotocopiato prima della sua protocollazione (???). Sentito a dibattimento, così si espresse il fido Ciro, che a dicembre 2010 era in realtà un pensionato e, dunque, non aveva ragione di trovarsi alla Procura generale: “io già ero in pensione, però il Dottore Cassata, dato che io ho avuto sempre un ottimo rapporto e anch’io per sbarcare il lunario, perché ho problemi economici, vado ogni tanto in ufficio”.
Nemmeno al processo Ruby, con le “olgettine” stipendiate dal ragioniere di Berlusconi, si erano sentite cose simili. Mi chiedo: un pensionato che lunario sbarca frequentando l’ufficio del dr. Cassata? Ci vuole altro perché il Ministro della Giustizia disponga un’ispezione? O forse ha già deciso di chiedere al Ministro dell’Interno di chiudere la Procura generale di Messina per ragioni di ordine pubblico?
La prossima udienza del processo Cassata sarà il 6 dicembre. Interverrà l’avv. Armando Veneto, difensore di Cassata. Poi le repliche del P.m. e delle altre parti e la sentenza.

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